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Sulle marche commerciali è l'ora della partnership di lungo periodo con i copaker

Le rilevazioni di Iri, relative ai primi otto mesi dell'anno, registrano una quota di mercato delle private label negli ipermercati e supermercati del 12,9%, con un aumento di quasi un punto percentuale sull'anno precedente. Un risultato significativo per l'Italia, dove la marca commerciale è ancora molto lontana da paesi come Regno Unito, Spagna, Francia e Olanda nei quali la penetrazione è tra il 26 e il 30%, anche se alcune insegne del nostro Paese si avvicinano a questi valori.

La performance italiana ha fatto da sfondo al seminario organizzato recentemente da Marca (la manifestazione dedicata alla private label, a Bologna Fiere dal 12 al 16 gennaio prossimo) dedicato a “Come creare valore con la marca commerciale”. In particolare, Guido Cristini, ordinario di Marketing operativo all'Università degli Studi di Parma, ha concentrato l'attenzione su alcuni degli aspetti di forte cambiamento in essere nei mercati dove le private label sono più sviluppate, coma appunto Francia e Regno Unito.
Fatte salve le differenze di struttura con l'offerta distributiva italiana, gli esempi analizzati portano a una considerazione di fondo: le private label stanno sempre più ampliando il loro territorio di riferimento e vi è un'estensione dell'offerta a segmenti tematici (come quelli dei prodotti anti-allergie delle maggiori insegne inglesi) o premium, con il potenziamento dell'alto di gamma gastronomico e con l'aumento delle referenze in ciascuno di essi, o per bambini, o ancora con l'ingresso nel tessile-abbigliamento o negli oggetti della casa con collezioni su disegno. Tanto che, secondo Cristini vi è un cambiamento del paradigma sul quale si è creato in passato il successo delle private label.

Tra i fattori in evoluzione, una competizione di posizionamento e di prezzo che non ha più come riferimento la marca leader (anche perché in alcune categorie è la private label ad essere tale), ma ha riferimenti diversi a seconda dei mercati e della marca e un posizionamento di prezzo a seconda della categorie e del segmento. Ma c'è dell'altro, aggiunge Guido Cristini: «I mutamenti in atto, anche se non sono per ora un modello scientifico, ci dicono che la competizione non si gioca più sul canale-formato, ma sull'adattamento del prezzo al territorio, all'area di riferimento del superstore o dell'ipermercato. Il prezzo in sostanza si allinea nei punti vendita sui livelli dell'area di riferimento ove operano le diverse catene. I modelli stranieri in sostanza ci indicano una traiettoria verso la quale si dovranno indirizzare anche i retailer italiani».

Se questo è lo scenario del “nuovo paradigma” della marca commerciale, vi sono alcune conseguenze importanti, che coinvolgono altri protagonisti del processo distributivo. Da un lato l'industria di marca, che avrà sempre meno zone franche, in particolare dove l'innovazione industriale è limitata e imitabile. Cosa che, secondo il docente, imporrà alle marche di "fare le marche", di battere cioè il territorio dell'innovazione per intercettare i bisogni dei consumatori e di sviluppare nuova categorie, per continuare a essere punto di riferimento solido per il consumatore italiano.

Dall'altro il rapporto con i copacker, destinato a diventare sempre più strategico per i distributori che vogliano aumentare la propria presenza nei segmenti premium. «Se un distributore vuole creare vantaggio competitivo - spiega Guido Cristini - è difficile pensare che lo possa fare cambiando ogni anno il copacker per ottenere migliori condizioni di acquisto. In questa chiave, soprattutto nell'alimentare, siamo di fronte a un cambiamento veramente epocale. Perché lo snodo non è dato dal prodotto, ma dagli elementi di processo come la logistica, i lotti di produzione, l'innovazione funzionale nel packaging. Sono tutte fasi che richiedono investimenti di medio-lungo termine, perché è lì che si realizza il valore dell'impresa. Investimenti che dovranno interessare, gioco-forza, anche le strutture organizzative, le competenze e le capacità delle persone che se ne occupano, perché occorrono expertise, per esempio nel packaging, che non si improvvisano».

Ma le relazioni di lungo termine con i copacker sono decisive anche su un altro fronte, quello della sicurezza alimentare e della sostenibilità: la cura dell'ambiente, i risparmi interni generati, i sistemi di certificazione per azioni coerenti ed etiche sono tutte azioni legate allo sviluppo delle marche commerciali. Che si fonda essenzialmente sulla fiducia del consumatore nei confronti dell'intera filiera. Garantita dal distributore.