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Distributori di concorrenza

l'opinione di

La benzina è cara perché costa molto il petrolio. E chi vende il carburante al consumatore è strettamente controllato dalle compagnie petrolifere. Anche l'apertura alla grande distribuzione non ha dato grandi risultati. Si potrebbero però spingere le società petrolifere a cedere le loro reti di distribuzione, magari attraverso incentivi fiscali. Un gestore finalmente libero dagli attuali vincoli potrebbe cercare benzina a prezzi inferiori, mettendo in concorrenza diretta i produttori. A dare il buon esempio potrebbe essere l'Eni.
E se per abbassare il prezzo della benzina provassimo a usare la concorrenza?
Mi rendo conto che in questo periodo l’intervento pubblico diretto va molto di moda. I miliardi pubblici per Alitalia, l’accordo con le banche per rinegoziare i mutui, la “Robin tax” per punire i petrolieri, non sono che episodi con una logica comune di vigoroso intervento nell’economia. A favore di chi, dipende da caso a caso, ma certo non è la passione per il mercato che lega questi provvedimenti.
Anche nel campo della benzina qualcuno grida alla speculazione (parola che non significa nulla, ma che per qualcuno evoca la madre di tutti i complotti) e reclama improbabili interventi sui prezzi. Dimenticando, forse, come la principale impresa del settore sia controllata dal Tesoro, il quale per altro conta su Eni non tanto per dimezzare il prezzo degli idrocarburi, ma piuttosto per rimpinguare i conti pubblici.
La concorrenza in sé non è un fine, ma può essere un buon mezzo per tutelare i consumatori. È evidente che nel settore petrolifero ce ne è poca, ma perché non provarci?

Chi decide il prezzo

Il settore petrolifero è complesso perché buona parte del prezzo dipende da quanto avviene all’estero (dai paesi arabi al terzo mondo), e quello che possiamo fare in Italia è limitato. Vero, però…
Intendiamoci, la benzina costa molto perché costa molto il petrolio, ed è proprio lì che i profitti sono quasi illimitati. Si consideri che se il barile costa 110 dollari, i costi di estrazione saranno, a seconda delle zone, da 2 a 10 dollari al barile. La differenza, in buona sostanza, è il profitto di chi ha i pozzi. Ovviamente questi soggetti, consapevoli delle conseguenze, fanno di tutto per evitare di farsi concorrenza tra loro. E non è facile impedire che questo avvenga.
Un punto chiave è che chi vende la benzina al consumatore è strettamente controllato dalle compagnie petrolifere. Dei circa 25mila distributori, circa il 90% è direttamente integrato, e chi gestisce le pompe o è un dipendente, o ha margini risicatissimi (spesso, netti, forse 5 centesimi al litro) e forti limitazioni ai prezzi finali.
I consumatori sanno che gli affari migliori si fanno o con alcuni degli “indipendenti” (il 10% del mercato, ma quelli che hanno un “loro” marchio sono molti meno) o nei centri commerciali, ovvero nei punti vendita spesso chiamati “pompe bianche”. Pier Luigi Bersani aveva puntato sulla grande distribuzione, che però “risponde” poco: purtroppo, si contano forse un centinaio di punti vendita nel paese, in parte per difficoltà logistiche, per normative regionali ancora penalizzanti, ma anche per un limitato interesse della grande distribuzione a investire molto in questo campo.

Se l’Eni dà il buon esempio

Si potrebbe però suggerire un’altra strada per aumentare la concorrenza, ovvero spingere le compagnie petrolifere a cedere la loro rete. In questo modo i gestori, liberi dagli attuali vincoli, potrebbero cercare loro la benzina a prezzi inferiori, mettendo in concorrenza diretta i produttori, come fanno ora le pompe bianche. E allora, liberi da vincoli sia sugli acquisti, sia sui prezzi finali, oggi pesantemente controllati dalle grandi compagnie, forse i benzinai potrebbero veramente avere interesse a farsi concorrenza, nell’interesse del consumatore.
Due questioni sono rilevanti.
Una prima obiezione è che ogni benzinaio è troppo piccolo per avere potere contrattuale. Vero, ma fino a un certo punto: oggi gli affari migliori si fanno dalle pompe bianche, non certo da chi è legato a una grande marca. L’integrazione verticale tra i petrolieri e il punto vendita oggi conduce a prezzi più alti. E comunque nulla vieterebbe ai benzinai di consorziarsi (cooperative, consorzi di acquisto e così via: le forme possono essere diverse) in modo da avere un maggiore volume di acquisti e forse spuntare condizioni anche migliori.
Il secondo punto critico è come spingere le compagnie petrolifere a cedere la rete. Le risposte sono almeno due.
Da un lato, se la sola Eni, controllata dal Tesoro, ricevesse dal suo azionista di controllo una indicazione in tal senso, già si libererebbe quasi un terzo del mercato. Basterebbe una telefonata di Giulio Tremonti. A parte questo, che forse non sarebbe impeccabile rispetto all’autonomia delle imprese in mano pubblica, nulla vieterebbe di introdurre incentivi fiscali a chi ceda la rete di distribuzione. Sul dettaglio si potrebbe evidentemente ragionare a lungo, ma fra tanti interventi di “fiscal suasion” del governo, forse averne uno pro-competitivo non sarebbe poi uno scandalo.

(Tratto dal sito www.lavoce.info)