01. Intercettare la domanda nell'Italia che cambia: le relazioni al convegno annuale Indicod-Ecr
«Nei prossimi anni non ci annoieremo». Ha detto bene Valerio Di Natale, Vice Presidente di Indicod-Ecr ed Amministratore Delegato di Kraft Foods Italia, in apertura di tavola rotonda, dopo aver ascoltato le analisi e le riflessioni dei relatori chiamati ad animare il convegno “Intercettare la domanda nell’Italia che cambia”, organizzato da Indicod-Ecr al Teatro Grassi di Milano il 15 novembre scorso e abilmente coordinato da Alan Friedman.
Il nostro Paese sta vivendo un passaggio cruciale: deve imboccare senza indugio strade che gli consentano di stare al passo con l’Europa e con la globalizzazione dei mercati, ovvero con i profondi cambiamenti di cui è stato protagonista il mondo negli ultimi anni.
Profondi cambiamenti, ha sottolineato Giulio Giorello, Docente di Filosofia della Scienza dell’Università degli Studi di Milano, introdotti dal progresso tecnico-scientifico sia nei nostri rapporti, che si creano e si sciolgono in modo molto più veloce di quanto potevamo pensare prima dell’epoca di internet, sia nel mercato, che non è più né locale né nazionale, ma transnazionale. «Oggi – ha detto Giulio Giorello – abbiamo un modo di comunicare e di trasferire le informazioni che mette di fronte chi produce il sapere a una serie di domande estremamente articolate. L’approccio flessibile da raffinatezza è diventato necessità. Non è più importante la quantità del risultato, ma anche la qualità. Non le tematiche, ma anche le modalità d’analizzarle. In un mondo variegato e complesso, lavorare è più difficile. Richiede creatività, immaginazione e capacità di cogliere l’occasione. Qualità che, sono convinto, non ci mancano».
Un messaggio d’ottimismo, quello di Giulio Giorello. Nel frattempo, però, come ha sottolineato Dario Rinero, Presidente di Indicod-Ecr e Presidente e Amministratore Delegato di Coca-Cola HBC Italia, le 33mila imprese industriali del largo consumo e della moderna distribuzione aderenti alla nostra associazione si trovano a fare i conti con un Sistema Paese che non è all’altezza della situazione.
«Purtroppo – si è rammaricato Dario Rinero – abbiamo la crescita del Pil più bassa d’Europa, il debito pubblico più elevato, la produttività più bassa, uno scarso livello di liberalizzazione dei mercati, ridotte dimensioni delle imprese e bassi investimenti in ricerca e sviluppo».
Che contributo può dare ciascuno di noi per far in modo che l’Italia torni ad essere un paese competitivo? Le imprese sono chiamate a incrementare ulteriormente il loro livello d’efficienza e d’efficacia. Indicod-Ecr, per parte sua, s’impegnerà a favorire la diffusione delle soluzioni abilitanti GS1 e la loro corretta implementazione, accelerando questo processo tramite sei progetti principali (Electronic product code, Electronic data interchange, Catalogo elettronico, Optimal shelf availability, Shelf ready packaging e Nuovo modello relazionale); si candida, inoltre, a svolgere il ruolo d’interfaccia delle istituzioni per tutte le problematiche di filiera.
«Dall’esecutivo – ha detto Dario Rinero – ci aspettiamo la creazione di condizioni che consentano alle imprese di competere alla pari con i concorrenti presenti nelle altre nazioni industrialmente avanzate. Perché pur in un’economia in ripresa, senza riforme strutturali il mondo delle imprese non potrà trarre benefici duraturi, con ripercussioni pesanti sulla competitività del Sistema Paese, dell’occupazione e del livello di benessere complessivo della popolazione».
Criticità, ma anche ampi margini di miglioramento, per l’economia italiana
In effetti, il quadro della situazione in cui versa l’Italia, presentato alla platea di oltre 600 manager e imprenditori del largo consumo da Tito Boeri, Docente di Economia dell’Università Luigi Bocconi di Milano, è di una certa gravità. La dinamica della produttività del nostro paese dal 1960 è andata costantemente calando. Il reddito pro capite, alla fine degli anni Novanta, è sceso al di sotto della media UE. Anche le quote di mercato del nostro paese nel commercio mondiale seguono un trend negativo. L’avanzo primario, alto a metà degli anni Novanta, è oggi quasi del tutto eroso. «Nonostante la situazione sia difficile – ha detto Boeri – ci sono margini d’ottimismo. In moltissimi settori dell’economia italiana ci sono spazi per recuperare».
Risorse potrebbero provenire dal risanamento dei conti pubblici. Soltanto un controllo della spesa, infatti, può interrompere il circolo vizioso in cui l’Italia s’è avvitata: più spesa, più tasse, meno ossigeno per la crescita economica. E dal maggior valore prodotto da un capitale umano più qualificato. «E quando parlo di valorizzare il nostro capitale umano qualificato – ha precisato Tito Boeri – non intendo soltanto assumere lavoratori più specializzati, ma anche investire nel nostro sistema d’istruzione, per frenare l’esodo di cervelli e, anzi, per attirarne dall’estero. Cosa fattibile senza spendere di più, ma spendendo meglio». Ulteriori risorse potrebbero provenire da un’accresciuta produttività, frutto di un aumento dell’occupazione, e dalle liberalizzazioni, in particolare nel settore dei servizi. Ed è proprio su questo punto che Tito Boeri ha insistito nella sua presentazione. «In Italia – s’è rammaricato – c’è ancora poca consapevolezza del fatto che le liberalizzazioni non sono un gioco a somma zero».
I motivi per i quali finora in Italia si sia proceduto troppo timidamente sulla strada del ripristino della libera concorrenza sono di natura culturale e politica, piuttosto che tecnica. Ad opporsi allo smantellamento di rendite di posizione sono spesso porzioni della stessa amministrazione pubblica, come il Ministero del Tesoro, le Regioni o altri Enti locali che figurano nell’azionariato di aziende attive nei settori da liberalizzare, ed anche soggetti privati, ma soprattutto i “futuri ex monopolisti”.
Dal quadro economico ai comportamenti di consumo
L’intervista registrata a Giuseppe De Rita, Segretario Generale del Censis, ha segnato il momento di passaggio del convegno Indicod-Ecr dall’analisi macro a quella micro degli italiani e dei comportamenti di consumo emergenti. Giuseppe De Rita si è detto scettico sul reale impoverimento dei nostri concittadini e sull’intensità della polarizzazione dei consumi, che hanno segnato la dialettica e anche la politica italiana negli ultimi anni. Secondo il sociologo, il processo di cetomedizzazione della società italiana, che ha portato a consumi all’insegna della medietà, si è completato negli anni Novanta. I comportamenti d’acquisto, ora razionali ora emotivi, così come le difficoltà di rapporto con il fisco di noi italiani sarebbero riconducibili a una sorta di stigma della povertà. «Per non sentirci poveri – ha detto Giuseppe De Rita – rifiutiamo d’indietreggiare nei consumi, oscillando fra primi prezzi e prodotti di lusso».
Giuseppe Cogliolo, Amministratore Delegato di McCann Erickson si è detto d’accordo con Giuseppe De Rita sul fatto che i problemi dei brand nell’intercettare la domanda dei consumatori siano solo in minima parte legati all’impoverimento degli italiani. In presenza di un eccesso d’offerta e in assenza di forti stimoli derivanti da vere innovazioni, la domanda langue.
Da dove verrà allora la crescita del futuro? McCann Erickson lo ha chiesto a 200 top manager di tutto il mondo e la risposta più frequente è stata: dalla creazione di domanda per prodotti e marche esistenti. «Se questo è il punto di partenza – ha detto Giuseppe Cogliolo – è indispensabile, da un lato, ricreare un clima di fiducia nei consumatori. E questo si traduce, per le marche, nel comunicare trasparenza, accessibilità ed eticità di comportamento. Dall’altro, entrare in diretto contatto con il proprio target. Ma attenzione. Fare marketing di relazione probabilmente oggi non è l’ultima frontiera. La fascia più evoluta dei consumatori ora vuole interagire con la sua marca. Vuole intervenire positivamente sulle scelte dei brand». Qualche esempio? Boeing che interpella via web gli americani per progettare un nuovo aereo e riceve 120mila suggerimenti, oppure i milioni di bambine di tutto il mondo che, sempre via internet, hanno contribuito a inventare il fidanzato di Barbie.
Le scelte future per intercettare la domanda
Al di là della comunicazione, quali strategie possono attuare le imprese del largo consumo per competere in un mercato globalizzato che, da un lato, vede il fattore prezzo sempre più in primo piano e, dall’altro, un consumatore più che mai sfuggente a clusterizzazioni a priori? Joanne Denney-Finch, Ceo di Igd, l’istituto di ricerca inglese che riunisce le imprese commerciali al dettaglio e all’ingrosso e i loro fornitori, ha delineato le tendenze rilevate a livello internazionale. Per Igd l’imperativo categorico delle aziende del largo consumo sarà continuare a perseguire l’efficienza, non limitandosi a tagliare i costi e gli sprechi al proprio interno, ma agendo anche di concerto con i propri partner per eliminare quelli lungo l’intera filiera distributiva. «Per quanto la ricerca dell’efficienza sia una ricetta universalmente valida per essere competitivi – ha avvertito Joanne Denney-Finch – non è l’unica perseguibile. Oltre al prezzo, i consumatori cercano anche dell’altro».
Le aziende industriali che desiderano assicurarsi la preferenza dei consumatori dovranno puntare non solo sulla capacità dei loro brand di rispondere prontamente alle esigenze emergenti e d’essere vicini ai loro clienti, ma anche arricchire i loro prodotti di contenuti di servizio, stringere alleanze con brand di altri settori e reinventare il loro modo di fare marketing.
Per i retailer che non sono in grado d’offrire in assoluto i prezzi più bassi o che non vogliono focalizzarsi su questa leva, un’alternativa di successo in diversi angoli della terra, dalle Americhe all’Asia, dall’Europa all’Oceania, è puntare su un’offerta premium, distintiva nella qualità e nel servizio.
Un’analisi quella di Igd, in linea con quanto emerso dall’indagine “Intercettare la domanda dei consumi”, realizzata da Bain & Company in collaborazione con la società Dinamiche per conto di Indicod-Ecr. La ricerca, che si pone l’obiettivo di delineare la possibile evoluzione della distribuzione in Italia, ha individuato tre aree d’intervento prioritarie. La prima è quella del lavoro sui format. «In presenza di consumi polarizzati e di comportamenti d’acquisto trasversali – ha detto Marco Costaguta, partner di Bain & Company - per intercettare la domanda in Italia i retailer sono chiamati a focalizzarsi alternativamente su format distributivi incentrati sul prezzo o sulla qualità, a rinnovare i modelli mainstream, oggi i più diffusi nel nostro paese, e a procedere a un’ulteriore taratura fine dei diversi concept, per adattarli alle peculiarità territoriali».
La seconda area d’intervento è lo sviluppo del giro d’affari, da perseguire tramite la ricerca di una maggiore efficienza (portata avanti anche in collaborazione con l’industria), e di una più elevata redditività al mq, possibile estendendo l’offerta a merceologie e servizi come abbigliamento, calzature, elettronica di consumo, prodotti farmaceutici, servizi di telefonia, finanziari e assicurativi, che potrebbero generare 50 miliardi di euro di fatturato in più per la gdo.
La terza area d’intervento individuata da Bain & Company è quella della razionalizzazione sul territorio. «La redditività della rete della moderna distribuzione italiana – ha messo in guardia Marco Costaguta – già oggi è inferiore di quasi 30 punti rispetto a quella delle migliori catene distributive britanniche. E rischia di calare ulteriormente, in conseguenza di una politica di sviluppo della rete dettata più spesso da valutazioni tattiche, piuttosto che strategiche». Una nuova stagione di fusioni e acquisizioni nel panorama distributivo italiano è all’orizzonte e richiederà lungimiranza, coraggio e voglia di rimettersi in discussione.
Ma che ruolo può avere l’industria nel processo evolutivo della gdo italiana? Secondo quanto emerso dall’indagine, può assecondarlo, fra l’altro, puntando sull’innovazione e sullo sviluppo di nuove nicchie, cavalcando trend emergenti come la ricerca del benessere o la multietnicità, sviluppando brand ad elevata notorietà e applicando politiche di canale molto flessibili e differenziate per insegna.
Un lavoro, quello dei manager d’oggi certo più difficile di quanto lo fosse trent’anni fa. «L’atipicità dei comportamenti di consumo degli italiani – ha detto Giuseppe De Rita – deriva dalla loro abitudine a tornare costantemente alle origini, al borgo, per quanto la Gdo abbia incorporato nella sua offerta prodotti di marca di elevata qualità. Le strategie di marketing atte a sostenere la domanda dei propri brand dovranno quindi necessariamente essere molto mirate».