consumi

Provaci ancora, Ministro !

l'opinione di

Il ministro Bersani ha al suo attivo una riforma del commercio che ha rappresentato un punto di svolta importante per la regolamentazione del settore, il primo serio tentativo di uscire dal regime di protezione esteso e minuzioso che lo ha caratterizzato per trenta anni. Ora ci riprova, con una serie di provvedimenti che intervengono su alcune tematiche specifiche che la riforma del 1998 non aveva toccato. E, cosa che ha potenzialità anche più significative, stabilisce alcune regole generali in materia di attività commerciali.

Farmacie: nessun danno irreparabile alla categoria

La questione specifica più rilevante è naturalmente quella relativa alla possibilità di vendere prodotti farmaceutici che non richiedono ricetta medica, i cosiddetti Otc: “over the counter”, al di fuori delle farmacie e di portare la titolarità di farmacie nell’evo moderno, eliminando restrizioni davvero estreme anche per un paese con così forti tradizioni corporative.

La caduta del monopolio sull’Otc merita qualche considerazione non solo per i vantaggi che ne verranno per il consumatore (prezzi più bassi) e per i farmacisti meno fortunati (quelli che non hanno ereditato una farmacia, che avranno nuove occasioni di lavoro), ma anche per una questione più generale. Ogni volta che si interviene su un’attività protetta viene sollevato un problema di equità in ordine alla svalutazione dell’investimento fatto sulla base di diverse “regole del gioco”. Così, come il taxista paventa una svalutazione della sua licenza, il farmacista teme la perdita di valore della sua farmacia. Una preoccupazione che in linea di principio ha una sua giustificazione e su cui gli interessi colpiti fanno leva per resistere ai provvedimenti di liberalizzazione. Ma, nel caso specifico come in altri molto simili, è vero?

La risposta va cercata uscendo dalla prospettiva “statica”, che viene assunta da chi difende posizioni di rendita garantite da restrizioni. Il problema dovrebbe essere posto in termini diversi, valutando se le dinamiche di mercato nel nuovo contesto possono consentire, dimostrando una qualche reazione proattiva, di recuperare la temuta svalutazione del proprio investimento. Provare a seguire questa logica nel caso delle farmacie può forse essere utile a titolo esemplificativo. Basta infatti lasciare per un momento una visione inchiodata allo stato di fatto generato dalle regolamentazione per vedere ampie possibilità di recupero nella vastissima area di prodotti legati alla crescente attenzione per il benessere fisico. Alcuni farmacisti sembrano considerarli con una certa sufficienza, come un rischio di banalizzazione di quella funzione di consulenza che essi rivendicano. Al contrario, un consiglio per una crema, un prodotto dietetico o, perché no, di bellezza non è meno importante di quello che riguarda una compressa per il mal di testa. È un’area di mercato in grande espansione, che ha generato un bisogno di servizio come quello che le farmacie possono dare a motivo della loro competenza e della fiducia di cui godono da parte dei loro clienti.

Accettare un cambiamento in questa direzione comporta naturalmente affrontare nuovi problemi (acquisire competenze su altre categorie di prodotto, rivedere i parametri di gestione, ripensare i criteri con cui viene usato lo spazio di vendita) e cambia in parte il mestiere di farmacista, ma si può fare. Nel valutare - per le farmacie, per i taxi, per le panetterie e, speriamo, in futuro anche per la vendita di carburanti e di prodotti a stampa - se si pongono problemi di equità, qualche test sulle possibilità di recupero, dimostrando un minimo di reattività alle nuove condizioni di mercato, andrebbe fatto. Rafforzerebbe la cogenza dei provvedimenti di liberalizzazione.

Commercio e concorrenza

Le norme di interesse per il commercio del nuovo decreto non si limitano però a interventi specifici. Anzi, le più importanti in prospettiva sono quelle contenute nell’articolo 3 del Titolo I, significativamente intitolato “Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale”. L’intento è ambizioso perché si vuole stabilite una serie di principi generali da porre alla base dello svolgimento di qualunque attività di distribuzione commerciale, fondati sulla tutela della concorrenza. È evidentemente una linea di intervento che nasce dall’esperienza della riforma del settore del 1998, la cui forte spinta di liberalizzazione ha finito per essere decisamente depotenziata dalle Regioni che avevano una rilevante delega nella sua attuazione. Non solo, ma con la revisione del Titolo V della Costituzione e il definitivo passaggio alle Regioni della competenza in materia di commercio, si è aperta una fase che si preannuncia involutiva. Le Regioni si sono dimostrate molto esposte alle pressioni degli interessi in causa e poco sensibili ai valori della concorrenza. Queste prime disposizioni cercano di porvi rimedio.

Sono cinque i punti fermi indicati, rivolti ad altrettante potenziali barriere: eliminazione di requisiti professionali intesi a rendere più difficile l’accesso al mercato di nuove imprese; soppressione delle distanze minime tra esercizi commerciali, spesso usate per creare aree di protezione per chi è già sul mercato; libertà di definire l’assortimento, per evitare un ritorno alle tabelle merceologiche (vendita limitata ad alcune tipologie di prodotto); eliminazione dei divieti e limitazioni di vario genere alle attività promozionali (fatti salvi quelli che riguardano le vendite sottocosto e i saldi); divieto di fissare limitazioni alle quote di mercato a livello sub-regionale. Va notato, in particolare, l’effetto combinato del divieto di stabilire distanze minime e limitazioni di quote di mercato per aree sub-regionali: rende di fatto impossibile stabilire contingenti per nuove aperture, pratica adottata da molte Regioni. Se a ciò si aggiunge la “libertà di assortimento”, si toglie alle Regioni una parte molto rilevante degli strumenti che hanno usato per rallentare nuove aperture di grandi punti vendita. Sulla base delle regole stabilite dal decreto, la valutazione di nuovi investimenti commerciali non potrà che essere fatta su considerazioni di carattere urbanistico.

È facile prevedere che le nuove norme, a cui gli enti locali dovranno adeguarsi entro il 1° gennaio 2007, porteranno alla creazione di contenzioso, anche per qualche ambiguità che può nascere dalla lettura del testo del decreto. Ma un punto importante è stato stabilito: lo Stato rivendica con forza la propria competenza in materia di tutela della concorrenza e del consumatore e stabilisce dei “paletti” per le Regioni. Data la competenza esclusiva che hanno in materia di commercio, è l’unica strada percorribile. Può forse essere percorsa con ancora maggiore determinazione, non solo nel caso del commercio, ma nei confronti delle tante attività economiche ormai “federalizzate”.

(tratto dal sito www.lavoce.info)