Diamo spazio alla cultura del merito
l'opinione di
L’economia italiana, per uscire da una lunga fase di sviluppo fragile e stentato, ha bisogno di profonde riforme. Di sistema Paese. E di modello produttivo. Con un obiettivo principale: fare crescere una moderna cultura di mercato. E liberare tutte le risorse, mettere in circolo tutte le energie finora compresse da costumi e abitudini da economia delle protezioni, delle corporazioni. Più concorrenza meno assistenza, dunque. Maggior premio al merito. E non più alle rendite di posizione.
Con le culture liberali della competizione e del mercato e con il gioco delle regole l’Italia non ha mai avuto particolare dimestichezza, per storia, peso delle culture politiche dominanti, attitudini familistiche, distorsioni clientelari. L’aperture del gioco economico globale e l’esaurirsi delle risorse pubbliche da destinare contemporaneamente alla protezione e allo sviluppo hanno determinato, già da tempo, la fine dei vecchi modelli di sviluppo. Abbiamo purtroppo tardato a prenderne atto. L’ombrello protettivo dell’euro ci ha evitato derive sudamericane. E oggi, dunque, oltre che insistere perché il Governo segua politiche pubbliche di equilibrio e rigore, tocca agli attori dell’economia scommettere su una politica di sviluppo reale.
Come? Una robusta iniezione delle culture del merito – negli apparati pubblici, nelle strutture di formazione, sui mercati, nelle imprese – può dare una mano. Merito come privilegio delle capacità e delle competenze, innanzitutto: dei professori e degli studenti migliori, per esempio, liberando così scuola e università dalle logiche perverse dell’egualitarismo che seleziona non i più capaci e meritevoli (come prescrive la nostra Costituzione) ma i più protetti, per famiglia, censo, relazioni. Merito come criterio di crescita delle imprese, fuori dai meccanismi di un capitalismo familiare da “piccolo è bello” e da ereditarietà del ruolo di comando (più manager capaci, dunque e minor peso dei figli dell’imprenditore solo perché figli). Merito come regola del gioco su un mercato caratterizzato da un processo profondo di liberalizzazioni, nell’industria, nel commercio, nelle professioni. Merito come scommessa sull’innovazione, la ricerca, le produzioni a maggior valore aggiunto in grado di reggere la competizione sui mercati internazionali.
Merito, insomma, come riforma di qualità. È un buon segno, che se ne parli più spesso che nell’immediato passato. Che all’ultimo convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria, a Santa Margherita, sulla selezione per merito abbiano molto insistito, tra grandi applausi, sia il padrone di casa, il presidente dell’organizzazione Matteo Colaninno, sia il vicepresidenmte del Consiglio Massimo D’Alema, è un segnale di rinnovamento, uno stimolo culturale da non sottovalutare. E da prendere come disponibilità di una parte significativa dell’opinione publica a cambiare: riforme da “onore al merito”