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Acquistare online non è più un fenomeno di nicchia

Dopo anni di crescita, nell’anno della pandemia l’e-commerce diminuisce del -3%. Ma con dinamiche diverse: crescono i prodotti, diminuiscono i servizi. Il vero cambiamento è quello dei consumatori: comprare online non è più un’alternativa è un’abitudine

L’e-commerce in futuro sarà concentrato sui prodotti e meno sui servizi. Il trend già evidenziato nelle precedenti edizioni dell’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano, si rafforza nell’anno della pandemia.

In totale gli acquisti online nel 2020 si sono assestati su 30,6 miliardi di euro, in riduzione del -3% sul 2019. Ma i prodotti hanno registrato acquisti per 23,3 miliardi con un balzo del +31% (+5,5 miliardi), mentre i servizi (viaggi, turismo e ticketing eventi i principali artefici) sono scesi del -41% a 7,1 miliardi di euro. E se dovesse esserci un altro lockdown, anche parziale, con l’aggravamento della seconda ondata della pandemia, il gap tra prodotti e servizi potrebbe aumentare ancora, a vantaggio dei primi.

Nei prodotti, i settori più maturi crescono con un tasso sostenuto ma sotto la media di mercato: nel 2020 l’informatica ed elettronica di consumo vale online 6,2 miliardi di euro (+20%), l’abbigliamento 3,9 miliardi (+22%) e l’editoria 1,2 miliardi (+18%). I comparti emergenti registrano ottimi risultati con ritmi di crescita molto più alti: in particolare il food & grocery genera 2,7 miliardi di euro (+70% rispetto al 2019) e l’arredamento e home living 2,4 miliardi (+32%). Buona anche la crescita delle categorie racchiuse in “Altri prodotti” (+37% rispetto al 2019), come beauty e pharma, ma anche giochi e ricambi d’auto.

La maturità dell’e-commerce

In valore assoluto sono tre i comparti che contribuiscono maggiormente alla crescita: dei 5,5 miliardi di euro di incremento totale, 1,1 miliardi sono realizzati dal food & grocery, 1 miliardo dall’informatica ed elettronica di consumo e 700 milioni dall’abbigliamento.

Figura 1 – La crescita degli acquisti online per comparto

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio eCommerce B2c” 2020

Altri indicatori: i flussi gestiti dall’e-commerce riguardano oltre 100 milioni di spedizioni con più di un milione di pacchi gestiti ogni giorno. Dallo smartphone si acquistano prodotti per 13 miliardi (+45%), ponendo all’attenzione dei merchant la necessità di riprogettare strategia e usabilità dei siti a misura dello strumento preferito dagli italiani.

Per quanto riguarda i prodotti, l’incidenza dell’online sul totale delle vendite retail passa dal 6% all’8%, con un salto che normalmente si otteneva in due anni e anche la penetrazione dei servizi passa dal 10,7% all’11%.

«Possiamo affermare che l’e-commerce è un settore maturo», afferma Valentina Pontiggia, direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c. Nel 2020, nei comparti più sviluppati online, la penetrazione vale il 40% nel turismo e trasporti, il 34% nell’informatica ed elettronica, il 29% nell’editoria e il 15% nell’abbigliamento. Nei comparti meno maturi, l’arredamento e home living raggiunge il 13%, le assicurazioni l’8% e il food & grocery l’1,7%. 

Anche a livello internazionale l’Osservatorio registra la crescita dei prodotti e la diminuzione dei servizi, individuando tre tendenze principali. «In primo luogo vi è maggiore consapevolezza dell’importanza dell’e-commerce da parte dei retailer – sostiene Pontiggia – sia da parte di chi era più restio a dar vita a progetti di e-commerce (Aldi nel Regno Unito per la vendita di box alimentari) o a potenziarlo da chi era già online dando vita a collaborazioni (Carrefour con Uber Eats per la consegna a domicilio), a potenziare le strutture (Tesco ha assunto 16 mila nuovi addetti), a trasformare i negozi in punti di ritiro (Lululemon). In secondo luogo sono intervenuti profondi cambiamenti nei processi e nelle operations con consegne in orari predefiniti fuori dalla porta (Instacart), con acquisti tramite Instagram Checkout (Target), con sessioni di virtual shopping (John Lewis) o di live chat (Albertson), ma anche nei pagamenti (utilizzo della biometria). Infine vi sono nuovi equilibri nella struttura dell’offerta, con la crisi di catene retail, il ridimensionamento della rete fisica (Zara, H&M) per rafforzare quella digitale e il consolidamento di grandi dot.com (135 mila nuovi assunti da Amazon Usa)».

«Nel 2020, nella sola componente di prodotto, l’incidenza dell’e-commerce B2c sul totale vendite retail, indice della maturità dell’online, passa dal 6% all’8% (+2 punti percentuali rispetto al 2019). Significa che in un solo anno abbiamo avuto un salto evolutivo che generalmente ottenevamo in almeno 2 anni. Il 2020, inoltre, è il primo anno in cui le imprese tradizionali crescono più delle dot.com. Il 57% dei negozi chiusi durante il lockdown unito alle esigenze dei consumatori ha prodotto uno dei cambiamenti più profondi e radicali nel retail, con una ibridazione molto forte tra i due mondi», aggiunge Pontiggia.

Gli acquirenti da saltuari ad abituali

Proprio il comportamento degli acquirenti ha trasformato gli acquisti online da alternativa a necessità. «La crisi sanitaria – spiega Roberto Liscia presidente di Netcomm – ha generato un’evoluzione digitale senza precedenti degli stili di vita degli italiani, andando a modificare profondamente anche i comportamenti di acquisto. Con l’ingresso nel paniere degli acquisti dei prodotti comuni è aumentata la sensibilità al prezzo (diverso da quello cui l’online ci aveva abituati), al servizio, alla qualità del prodotto».

Secondo una ricerca di IRI per Netcomm, se nel 2019 le vendite online erano sbilanciate verso gli acquisti di prodotti per la cura della persona e il cibo per animali domestici, il 2020 ha visto un’esplosione nelle vendite digitali di prodotti confezionati di largo consumo, che settimanalmente hanno tenuto una crescita che non è mai scesa sotto il 50%, con il canale virtuale che ha raggiunto picchi del 288%. E questo cambiamento nelle abitudini di acquisto non è venuto meno nella fase successiva: il 36% ha continuato a fare la spesa online, privilegiando i siti web della GDO, con un aumento della customer satisfaction arrivata a una valutazione di 7,5 contro il 6,5 nel periodo della pandemia. La spesa alimentare online, dunque, è entrata a tutti gli effetti tra le abitudini di consumo degli italiani.

«Il customer journey di oggi – riprende Liscia – risente fortemente della nuova normalità in cui viviamo: aumenta la frequenza di acquisto nell’e-commerce (+79%), l’home delivery rimane la modalità preferita di ricezione dei prodotti da oltre il 93% degli utenti e il contante perde sempre più terreno a favore dei pagamenti digitali. I consumatori italiani richiedono inoltre a insegne e brand di adeguare i loro servizi nei punti vendita fisici, sfruttando le opportunità digitali per offrire esperienze sempre più soddisfacenti e sicure. Ma c’è di più.

È molto forte e presente la richiesta di omnicanalità. Gli intervistati nelle nostre ricerche affermano di continuare a comprare online, ma vogliono tornare a comprare anche nel fisico, utilizzando i negozi per ritirare o per cambiare la merce acquistata online».

Con circa 3 milioni in più di web shopper abituali e oltre 1,3 milioni di clienti che si sono avvicinati all’e-commerce per via del lockdown, l’e-commerce non è più un fenomeno di nicchia.

Figura 2 - I web shopper italiani. Media mensile in milioni

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio eCommerce B2c” 2020

Ma richiede però di concentrare l’attenzione su almeno tre questioni: potenziare l’offerta online, soprattutto nel food & beverage per garantire una maggiore copertura territoriale grocery (il 27% degli italiani non ha ancora accesso alla spesa online). Sostenere le piccole e media imprese italiane a farsi largo nel panorama del commercio online, per esempio con i marketplace. Infine migliorare la user experience per i nuovi web shopper non abituali, soprattutto secondo una logica omnicanale e per rendere gli acquisti online più semplici e immediati.

«Siamo di fronte a una grande occasione di rinnovamento e innovazione che non deve essere vanificata. Occorre agire sulla cultura delle imprese, considerando l’e-commerce come un progetto strategico per favorire una nuova idea di commercio omnicanale richiesta dai consumatori. Alle imprese tocca il compito di agire almeno su tre livelli: l’organigramma aziendale, rivedendo i ruoli e le responsabilità, cambiare il sistema di reporting e le misure di incentivazione, investire su competenze e formazione» conclude Pontiggia.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab