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L’e-commerce accelera verso l’omnicanalità

Ancora in crescita le vendite digitali sia nel food & grocery che nei servizi. Si potenzia la presenza delle aziende sui canali digitali sia per la vendita che per la relazione con i clienti. Queste le previsioni dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico

Prosegue anche nel 2021 la crescita dell’e-commerce in Italia con il consolidamento nei comparti di prodotto e una leggera ma significativa ripresa dei servizi, ma nel rassetto dell’infrastruttura commerciale italiana determinata dalla pandemia si stanno configurando nuovi equilibri dell’offerta omnicanale con il potenziamento dei canali relazionali e transazionali.

L’ultima edizione dell’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano stima che nel 2021 le vendite online in Italia raggiungeranno un valore di 38,6 miliardi di euro, suddivisi in 30,6 miliardi per la componente di prodotti che cresce ancora del +18% (a un tasso cioè più vicino agli anni prima del boom innestato dalla pandemia) e in 8 miliardi per i servizi (+22%), non sufficienti però a portarli ai livelli pre-pandemici.

Il food & grocery rimane anche nel 2021 il settore trainante (+38%), seguito dall’abbigliamento e accessori (+26%) e dal beauty (+20%).

Figura 1 – Gli acquisti e-commerce B2c in Italia tra prodotti e servizi

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio eCommerce B2c” 2021

Altri indicatori: il 60% degli acquisti di prodotto passa per lo smartphone (18,3 miliardi complessivamente), sancendo la preminenza dell’always on e, per quanto riguarda le tipologie di imprese, le vendite dei retailer tradizionali che hanno attività online crescono a un ritmo più elevato di quelle delle dot com, cosa che avviene anche per gli investimenti digitali.

Per soddisfare l’incremento di domanda online e per supportare le mutate esigenze dei consumatori, i player hanno investito nell’innovazione digitale, sia per ottimizzare i processi operativi sia per abilitare e/o potenziare i canali di vendita e di interazione.

Tra i 55 top retailer italiani, infatti, tra il 2019 e il 2020 gli investimenti digitali sono cresciuti del 33%, passando a circa il 2% del fatturato, un risultato ottenuto anche a causa della riduzione dello stesso. Il 40% degli investimenti sono stati diretti verso l’e-commerce e l’omnicanalità, il 35% verso la digitalizzazione dei processi in store e il 25% verso il miglioramento dei processi di back end.

Ampliando il campione a 300 top retailer, i ricercatori evidenziano che nel 2021 l’86% delle imprese hanno il presidio dei canali digitali per la vendita sia per l’e-commerce (al 100% in alcuni comparti come i libri e l’elettronica di consumo) sia per il mobile commerce. In questo caso, il 44% delle imprese ha un’app attiva, soprattutto per il pre e post-vendita.

Le aziende sembrano però orientate a investire più sui canali digitali relazionali che su quelli transazionali.

Figura 2 – L’adozione dei canali digitali

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio eCommerce B2c” 2021

Il 60% di un campione di 45 merchant operanti in Italia ha attivato canali social, il 40% un canale di instant messaging a scopo relazionale e solo il 26% ha sviluppato un’app come canale di vendita. Il 54% invece ha investito su marketplace e aggregatori, soprattutto per ampliare la base utenti in Italia e per espandere il mercato estero. La maggior parte delle aziende (il 45%) ha investito su tre o più canali e il 29% su due canali, dimostrando un’attenzione a operare in una logica multicanale.

Figura 3 – Perché si ricorre ai marketplace e agli aggregatori come canali transazionali

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio eCommerce B2c” 2021

Nel food & grocery i valori sono però superiori rispetto alla media: il 67% ha attivato nuove iniziative di e-commerce e il 78% ha sviluppato un’app come strumento di informazione e supporto.

Il cambiamento indotto dall’emergenza sanitaria ha contribuito alla diffusione dell’e-commerce anche tra le piccole imprese italiane che, rispetto al passato, sono state incentivate ad avvicinarsi al digitale e a comprenderne le potenzialità. In molti casi l’approccio all’e-commerce e alla multicanalità è stato piuttosto “artigianale”, fondato su modalità di interazione online e su modelli di acquisizione dell’ordine attraverso piattaforme social e/o di instant messaging (non propriamente di e-commerce). I più evoluti hanno investito in siti diretti, in vetrine sui marketplace e in iniziative sugli aggregatori online. Per le PMI italiane non si può ancora parlare di omnicanalità in maniera diffusa, ma stiamo assistendo ai primi passi verso una multicanalità online più consapevole. Si tratta comunque per il nostro paese di un segnale della centralità e del maggior grado di maturità dell’e-commerce, che lascia presagire un’integrazione sempre più solida tra l’offline e l’online.

Le sfide dell’integrazione dei canali

«Stiamo assistendo a un’accelerazione verso un’adozione sapiente e consapevole dei paradigmi dell’omnicanalità», commenta Riccardo Mangiaracina, direttore scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c. «L’esito di questa trasformazione non è una migrazione dall’offline all’online, bensì il raggiungimento di nuovi equilibri caratterizzati da una maggiore interdipendenza tra fisico e digitale. Domanda e offerta si trovano ora di fronte a un utilizzo congiunto dei canali, che spingerà per la ripartenza del retail a emergenza sanitaria terminata».

Secondo Davide Tercelli, associate director Accenture Interactive, in questa trasformazione emergono tre temi chiave: la redditività tra online e offline, che darà origine a nuovi modelli di business, il reach, in quanto non basta aprire un canale digitale ma bisogna anche farlo conoscere, innestando la questione della loyalty, tutta da ripensare con il digitale, infine la rimodulazione della proposta, con la ristrutturazione degli spazi fisici, la ricollocazione del personale e il riposizionamento del brand per riprendere i clienti».

Da più parti si rileva però che questa migrazione al digitale delle aziende avviene avendo di fronte un consumatore che, per Omar Fogliadini, managing partner Life Data, ha già un approccio post-digitale. «Il consumatore si muove in chiave crosscanale, vuole immediatezza, risposte rapide». Immediatezza, percorsi personalizzati, semplificazione dei processi devono essere al centro delle strategie aziendali. Nemmeno il Crm tradizionale con le sue segmentazioni e la comunicazione indifferenziata può aiutare. «Le aziende devono dotarsi di processi per riconoscere i clienti nei loro percorsi ed evoluzioni grazie alle tecnologie digitali», aggiunge Guido Fossi, head of e-commerce and social Crm Omnicom Media Group.

I consumatori omnichanel

Roberto Liscia, presidente di Netcomm cita una ricerca condotta in collaborazione con Magnews, sulla trasformazione dei percorsi di acquisto dei consumatori tra il 2020 e il 2021 nei settorifashion, food e personal care che ha individuatocinque nuove tipologie di consumatore.

  • Consumatore Contemporaneo: è principalmente giovane e residente nel Centro/Sud Italia, acquista sia online sia offline senza preferenze, per importi medi. Preferisce la relazione e lo scambio diretto ma durante la pandemia ha dovuto compensare alcuni dei touchpoint fisici con quelli mediati dai canali digitali (social, influencer, review).
  • Fast Shopper, (donna, over 45, con scarsa dotazione tecnologica e titolo di studio basso, acquista online per importi medio-bassi) e Tradizionale (giovanissimo e over 65, abitante in centri medio-piccoli del Nord Italia, preferisce acquistare in store presso negozi di fiducia a piccoli importi) sono stati costretti dalla pandemia ad abbandonare l’esclusiva scelta del punto fisico e convertirsi all’adozione di nuovi comportamenti, elevandosi a omnichannel shopper.
  • Consumatore Omnicanale: uomo o donna di mezza età che vive in grandi centri, ben istruito e che possiede un’ottima dotazione tecnologica. Il suo customer journey è articolato tra momenti online e offline. Nel periodo della pandemia alcuni consumatori di questo cluster hanno continuato a muoversi agilmente tra le diverse soluzioni e opportunità offerte dall’omnicanalità, seppure con diverse limitazioni, ma una parte consistente durante l’emergenza sanitaria e ancora tutt’ora ha convertito le proprie abitudini verso touchpoint e canali online, diventando consumatori digitali sempre più radicati e adottando un customer journey tipico dei digital first.
  • Consumatore Digitale: prevalentemente uomo trentenne e/o over 55 che vive in grandi centri, con un ottimo livello di istruzione e una buona dotazione tecnologica. Il suo customer journey è molto articolato ed è prevalentemente online. Si tratta di un cliente ad alto valore che spesso riacquista. La rilevanza di questo cluster è aumentata considerevolmente nell’ultimo anno, sicuramente per l’effetto amplificatore che la pandemia ha generato verso i comportamenti di acquisto che erano già legati al contesto digitale.

Quello che emerge è quindi il ritratto di un consumatore omnicanale tipo, per il quale le vendite onlinerappresenteranno una parte sempre più significativa delle vendite al dettaglio, che privilegia i negozi di quartiere e vorrebbe consumare più prodotti locali e marchi di prossimità, con una forte accelerazione verso il localismo e un orientamento deciso alla sostenibilità. E le piccole imprese, grazie al click & collect possono coniugare commercio online e prossimità con un legame social con i clienti.

«Le tecnologie sono state in questi mesi – aggiunge Roberto Liscia – un asset fondamentale per le aziende del retail e non solo: hanno consentito di sopperire e addirittura migliorare i rapporti con i consumatori, generando enormi benefici per quest’ultimi. Adesso è necessario puntare il faro ancor di più sulla digitalizzazione: i passi percorsi in questi mesi devono proseguire in maniera decisa e tutte le realtà imprenditoriali, soprattutto le PMI e i negozi al dettaglio, devono rafforzare la loro evoluzione in chiave omnicanale. Una delle sfide più importanti è quella legata alle competenze, ma lavorando sulla professionalizzazione del personale verso le applicazioni digitali si potrà non solo sostenere le singole imprese, ma anche qualificare l’attuale forza lavoro, sostenendo così anche l’occupazione intersettoriale».

a cura di Fabrizo Gomarasca  @gomafab