Retail e brand Largo consumo

Se la narrazione diventa realtà

Come la comunicazione può essere linguaggio collettivo, inclusivo e innovativo: queste le potenzialità esposte dall’Associazione Donne del Retail

Anche quest’anno GS1 Italy ha sostenuto l’evento annuale dell’Associazione Donne del Retail, uno spazio prezioso per guardare da vicino come parole, immagini e modelli culturali troppo spesso alimentano stereotipi e discriminazioni di genere.

Proviamo a cambiare, insieme

L’edizione di quest’anno dal titolo “La forza delle donne nella comunicazione. Modelli e linguaggi per un retail innovativo” ha rimesso al centro un tema semplice e potentissimo: la comunicazione come linguaggio collettivo che può formare immaginari, attivare responsabilità e creare identità, e ha il potere di aprire una narrazione femminile meno stereotipata.

"Gli stereotipi di genere non sono solo un’eredità culturale: sono una lente che ancora oggi condiziona ciò che vediamo e ciò che scegliamo", scrive la giornalista Cristina Lazzati nel post LinkedIn dedicato all’intervento di Annamaria Testa

Dove nascono davvero gli stereotipi

Arriviamo al cuore dell’evento. L'intervento della giornalista e saggista Annamaria Testa ha ricordato che gli stereotipi sono “scorciatoie mentali”, utili al pensiero veloce (come insegna lo psicologo Daniel Kahneman), ma rischiose quando si cristallizzano e diventano pregiudizi, gabbie negative che portano alla discriminazione.

Una premessa necessaria sono le evidenze del Global Gender Gap Report 2025 del World Economic Forum, che rivelano una posizione preoccupante per l’Italia:

  • È 85° su 148 paesi, dopo Guatemala, Cipro, Bulgaria, Montenegro.
  • Al 117° posto per partecipazione economica e opportunità.
  • Ha il tasso più basso di occupazione femminile dell’Unione europea.
  • Il gender pay gap è del 20% e sale al 30% nelle posizioni apicali.
E quindi, quale può essere il ruolo della comunicazione e la responsabilità di chi la fa?

Nella pubblicità – specchio e spirito del tempo, più che avanguardia – gli impliciti sono ovunque: nelle parole, nei gesti, nelle inquadrature. E spesso sono più difficili da cogliere proprio perché scorrono veloci, come il flusso di immagini che ci travolge tutto insieme, senza sosta.

Testa ha mostrato come i modelli che scegliamo – o che continuiamo a replicare per abitudine – incidono sul modo in cui vediamo noi stessi e gli altri. Ne sono esempio il femvertising (strategia di marketing volta a creare campagne che promuovono messaggi di empowerment femminile e sfidano gli stereotipi di genere, ndr) e il pinkwashing (la pratica commerciale che sfrutta simboli e concetti femministi per migliorare la propria immagine senza prendere posizione o attuare cambiamenti concreti, ndr).

Tutto contribuisce a definire un immaginario collettivo che può includere (oppure escludere) e soprattutto discriminare per genere.

Annamaria Testa conclude con una seconda serie di dati che mettono a fuoco le distorsioni narrative ancora presenti nei media e nei linguaggi pubblicitari, per esempio:

  • Le donne over 50 compaiono raramente e quasi sempre relegate a ruoli stereotipati di cura.
  • Persiste una pressione verso modelli di perfezione irrealistica.
  • Perdurano dinamiche come il mansplaining (l'atteggiamento di un uomo che spiega qualcosa a una donna in modo paternalistico, presupponendo che lei non conosca l'argomento, ndr) e forme di infantilizzazione o svenevolezza che minano la credibilità professionale.
  • Le posizioni decisionali rimangono poche e spesso conformi agli stereotipi.

Inoltre, la tecnologia non sempre aiuta: algoritmi e automazioni pubblicitarie possono pericolosamente amplificare bias preesistenti, mentre il programmatic advertising (che consente una gestione automatizzata della compravendita di spazi pubblicitari online, ndr) riduce il controllo diretto sulle scelte di pianificazione, rendendo più difficile correggere distorsioni nella rappresentazione e posizionando in maniera casuale i brand in luoghi potenzialmente non vicini ai valori che vogliono rappresentare.

D’altronde non si può separare quello che fai da quello che sei e che dici: ecco il messaggio che comunica Testa.

Il retail come luogo sociale

Dalla testimonianza di Eleonora Graffione, Presidente dell'Associazione Donne del Retail, è emersa una consapevolezza: il punto vendita è un luogo sociale prima ancora che commerciale. Un luogo fatto di persone, per le persone. Uno spazio dove si trasmettono modelli culturali e dove è importante lavorare sull’inclusività, in generale, di genere in particolare.

"Il retail è fatto di persone. È un linguaggio che prende forma nei gesti, nei ruoli, negli spazi. Per questo servono consapevolezza, responsabilità e formazione", riporta l’Associazione Donne del Retail sul proprio profilo LinkedIn.

Ed è proprio da questo linguaggio che può generarsi un cambiamento culturale reale: impegnarsi per proporre una narrazione che restituisca l’autenticità senza ricorrere alle solite scorciatoie, per comunicare modelli più equilibrati, più attuali, più veri, non discriminanti. Per questo servono formazione, responsabilità e la volontà di intervenire per integrare, non per dividere.

La ricetta arriva da Dominga Fragassi, Consigliera dell’Associazione, secondo cui è necessario:

  • Capire il contesto e attivare relazioni virtuose che creino alleati.
  • Scegliere il momento giusto per fare piccole “rivoluzioni”.
  • Cambiare il mondo con piccole storie reiterate nel tempo affinché diventino consuetudine.
  • Decidere che battaglia perseguire.
  • Impegnarsi a raccontare la quotidianità senza rinunciare alla complessità della vita reale e dei ruoli paritari di genere, magari senza passare da vecchi stereotipi a nuove forzature.

Esperienze e percorsi che generano comunità

Durante l’evento sono stati celebrati anche alcune innovazioni dell’Associazione Donne del Retail, come il primo premio “Donne Retail al Femminile”, consegnato dalla Presidente Eleonora Graffione a Cortilia durante l’evento dell’Insegna dell’Anno.

E del Power Mentoring, il percorso inaugurato nel 2025 con 23 coppie di mentor e mentee (mentori e chi viene affiancato, ndr) con lo scopo di generare consapevolezza, connessioni e una comunità attiva.

Perché – come è stato ricordato – la crescita non sempre fa rumore, ma lascia tracce profonde.

Un impegno che condividiamo

Come GS1 Italy crediamo nella forza dei linguaggi inclusivi e nella parità di genere, nei modelli che evolvono e nelle reti che connettono. È per questo che siamo orgogliosi di sostenere iniziative che valorizzano la leadership femminile nel retail e aprono conversazioni autentiche sul futuro della comunicazione.

Perché lo standard fa sempre la differenza, solo se si lavora insieme.

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