Furti e perdite nel retail: la risposta passa dagli standard
Nel contrasto ai furti nel retail la tecnologia è importante, ma non basta. Telecamere e sensori aiutano a individuare l’evento, ma non a comprenderne le cause. Per prevenire le perdite serve prima di tutto una base informativa solida, un linguaggio comune che permetta a produttori, distributori e retailer di leggere e condividere gli stessi dati.
È in questa direzione che si muove il lavoro di GS1 Italy nell’ambito del gruppo di lavoro ECR Retail Loss insieme allo strumento di monitoraggio ECR OSA (Optimal Shelf Availability). Il primo studia furti, frodi ed errori di processo per aiutare le imprese a misurare e gestire lo shrinkage (perdite di prodotto dovute a furti, danni, obsolescenza, errori di gestione o nei processi operativi); il secondo analizza in modo continuativo le rotture di stock e le cause che impediscono al prodotto di arrivare o restare sullo scaffale. Le due iniziative offrono una visione complementare: la perdita non è solo la sparizione fisica del bene, ma anche la sua assenza quando il cliente lo cerca.
«Per affrontare davvero il tema delle perdite bisogna unire le due letture. Da un lato capire cosa determina lo shrinkage, dall’altro comprendere le difficoltà che portano a non avere il prodotto disponibile. Solo così si ottiene un quadro completo, utile per agire sui processi e non solo sui sintomi» spiega Linda Vezzani, Standard manager di GS1 Italy.
Alla base di questo approccio c’è un principio chiave: non si può prevenire ciò che non si riesce a misurare. E per misurare serve un sistema di identificazione univoco, capace di dire con precisione quale prodotto si trova dove, in quale quantità e con quale stato di stock.
Identificazione e RFID: rendere visibili le zone d’ombra
Gli standard di codifica globale – come il GS1 GTIN (Global Trade Item Number) – permettono di attribuire a ogni articolo un’identità riconosciuta da tutti i partner di filiera. È un aspetto tecnico solo in apparenza: un codice standard consente di collegare in modo coerente dati di stock, movimenti e transazioni. Quando invece ogni azienda utilizza sistemi proprietari, le informazioni diventano frammentate e i confronti tra inventari difficili o imprecisi.
A potenziare questa logica contribuisce la tecnologia RFID (Radio Frequency Identification), che consente di leggere automaticamente e senza contatto migliaia di articoli, anche a livello di singolo pezzo. Integrata con lo standard EPC (Electronic Product Code), permette di associare a ciascun prodotto una combinazione di codici – il GTIN e un numero seriale – e di tracciarne i movimenti in tempo reale.
«L’RFID è una tecnologia potente, ma il vero valore emerge quando è integrata in un linguaggio standard e interoperabile. Solo se tutti gli attori della filiera utilizzano le stesse regole di identificazione, la lettura di un tag può diventare informazione condivisa e utilizzabile da tutti» osserva Linda Vezzani.
In questa prospettiva, l’RFID trasforma l’inventario in un processo continuo: aggiorna lo stato delle scorte, riduce le discrepanze tra stock fisico e contabile e consente di intervenire rapidamente in caso di differenze. La tecnologia, però, funziona davvero solo se integrata in un sistema di standard condivisi, dove ogni dato letto ha lo stesso significato per chiunque lo utilizzi.
Dalla tracciabilità alla prevenzione
Nei settori più esposti al rischio di furti, come abbigliamento, calzature ed elettronica, la combinazione tra standard e RFID è ormai consolidata. Brand come Decathlon, Adidas o Mango utilizzano etichette che uniscono codice a barre, tag RFID e QR code, tutti strutturati secondo quando previsto dallo standard GS1 Digital Link, mantenendo un’unica identità informativa in tutti i passaggi, dal magazzino alla cassa.
Anche la grande distribuzione ha adottato la stessa logica. Walmart, pioniere nell’uso dell’RFID, la impiega oggi in gran parte delle categorie più sensibili, riducendo al minimo le zone d’ombra sugli stock e migliorando la tempestività del controllo.
La tracciabilità standardizzata aiuta inoltre a gestire gli asset riutilizzabili, spesso soggetti a dispersione o furto. Grazie alla chiave GRAI (Global Reusable Asset Identifier), ogni cassetta, pallet o stoviglia può essere identificato e seguito nel tempo, come mostrano alcuni progetti in essere, sviluppati, tra gli altri, da McDonald’s Francia.