Cosa ha fatto di “h24” uno dei tormentoni più diffusi e popolari tra gli italiani? Probabilmente il suo essere perfetta espressione dell’”età dell’accessibilità”, quella in cui tutto (o quasi) è disponibile sempre, 365 giorni l’anno, 24 ore su 24, appunto.
H24 è un neologismo che riassume la promessa di un mondo perfetto, efficiente e senza soste, dove servizi e shopping si fanno ovunque e in ogni momento. Ma ora qualcosa sta cambiando e questo modello comincia a mostrare delle crepe.
Le prime avvisaglie arrivano dalla ristorazione, con commercianti che decidono di ridurre gli orari di apertura e rinunciare all’apertura domenicale, ristoratori che scelgono di restare chiusi nel fine settimana e baristi che scelgono di abbassare la serranda a metà pomeriggio per salvaguardare la vita privata del personale e migliorare l'equilibrio tra vita e lavoro. La conferma che il work balance è veramente centrale, soprattutto dalla Generazione Z in poi, la più connessa di sempre.
Ma l’aspetto interessante di questi casi di cronaca è che non si tratta semplicemente di una riduzione dell’orario di lavoro, come avviene con la “settimana corta” nelle aziende, è qualcosa di più. Da un lato perché sposta il focus dalle esigenze del fruitore a quelle del fornitore di un servizio, “smontando” uno dei mantra del modello di business attuale, quello della centralità del cliente. Dall’altro perché va a incidere sulla disponibilità di un pubblico servizio, quali sono appunto il commercio, la ristorazione e l’Ho.Re.Ca. (Hotellerie, Restaurant, Café) in genere.
In un mondo in cui siamo ormai abituati a fare la spesa online e a farci recapitare un pasto da un rider anche nel cuore della notte, che impatto avranno le (comprensibili) richieste di riduzione oraria del servizio da parte di cuochi, commessi e camerieri? E che conseguenze potrebbero avere sull’organizzazione del largo consumo, retail e ristorazione compresa?
Ultimo, ma non per importanza, come sarà occupato il “tempo liberato” dall’impegno nel lavoro? Probabilmente proprio per dedicarsi ad affetti e passioni senza tempo ma anche senza tempi né orari. Magari per fare binge watching (l'abitudine di guardare consecutivamente gli episodi di una serie tv senza interruzioni, ndr) su Netflix, per rivendere l’usato (anzi, il pre-loved) sulle piattaforme web, per consultare l’e-banking, per ordinare la spesa a domicilio dalla GDO (Grande Distribuzione Organizzata) o per fare shopping online alla ricerca del miglior affare del momento.
Tutte opportunità garantite non solo dalla tecnologia ma dai tanti lavoratori – dagli operatori dei Ce.Di. (Centri Distributivi) ai programmisti televisivi, dagli autisti dei furgoncini ai fattorini – che non possono permettersi una riduzione degli orari, ma a cui al contrario viene chiesto di essere disponibili spesso h24. L’ennesima forbice che si apre acuendo le differenze sociali. Come ne usciremo?

