L’autarchia degli esterofili
l'opinione di
Autarchia è un termine tornato prepotentemente di attualità in versione riveduta e corretta alla luce del mood che sta accompagnando il primo ventennio del terzo millennio: sovranismo alimentare. Non c’è giorno in cui non se ne parli come di una tendenza dominante e inarrestabile. Ma le parole sembrano distanti dai fatti, perlomeno da quelli rilevati e misurati da chi monitora in modo regolare l’andamento delle scelte alimentari degli italiani.
Andando a curiosare nel carrello della spesa, così come fa ogni sei mesi l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, si scopre che i prodotti orgogliosamente presentati in etichetta come “italiani” – perché realizzati nel nostro paese, o con ingredienti nazionali oppure dotati di una indicazione geografica europea – sono sì largamente presenti negli scaffali della grande distribuzione (27,5% dell’offerta confezionata di supermercati e ipermercati - Fonte: Osservatorio Immagino GS1 Italy, ed. 2, 2023) ma gli italiani ne acquistano meno rispetto al passato. I volumi annui sono tutti negativi - tranne per i prodotti Dop per cui sono stabili - probabilmente a causa dei prezzi più alti della media di categoria. E così l’aumento generalizzato del giro d’affari del paniere italiano, arrivato a oltre 11 miliardi di euro nel 2023 tra super e ipermercati, è attribuibile soprattutto all’effetto inflazione ma non certo alla corsa agli acquisti da parte dei clienti della GDO.
Diverso lo scenario che si delinea quando si vanno a indagare i consumi di prodotti alimentari cosiddetti “etnici”. Una definizione ecumenica per un paniere dove entrano i mediterranei falafel, l’ubiquitario zenzero e le piccanti salse tex-mex. Molte di queste specialità continuano a veder crescere i loro volumi di vendita in GDO posizionandosi tra i segmenti e le nicchie di mercato più dinamici, come sta accadendo al burro di arachidi, ai pancake, all’avocado, ai cookie, al couscous, al sushi, allo yogurt greco e alle tortillas.
L’aspetto interessante è che l’esterofilia sembra trasversale alla popolazione, come emerge da un’indagine condotta dalla società Amagi: gli otto prodotti (o ricette) etnici più diffusi in Italia sono stati acquistati in GDO oppure ordinati al ristorante da almeno un italiano su due. E i primi tre – nugget, kebab e sushi – viaggiano tra il 66% e il 72% di penetrazione media.
L’aspetto curioso è che, nella gran parte dei casi - frutta esotica a parte (benché la produzione nelle regioni del sud stia aumentando) - si tratta di prodotti made in Italy: in pochi anni siamo diventati il paese di riferimento per la produzione di riso per sushi e abbiamo visto diffondersi e crescere le coltivazioni di ortaggi etnici, come la batata o l’okra. Inoltre sono nate tante aziende specializzate nella cucina etnica (dal kebab ai piatti cinesi) e diversi prodotti-simbolo di altre culture alimentari - come couscous, burro di arachidi, bubble tea e pancake – sono diventati un fiore all’occhiello di molte grandi e medie aziende italiane, che spesso li vendono anche all’estero. Una filiera giovane e promettente, che rifornisce l’Ho.Re.Ca e il retail e che apre un nuovo filone per il settore alimentare italiano.
Concludendo, sembra che l’alimentazione degli italiani, così come il business del comparto alimentare nazionale, siano meno “nazional-centrici” e più mediterranei, anglosassoni, cinesi, giapponesi, coreani… in poche parole, globali. Quando lo ammetteremo?
Manuela Soressi è giornalista professionista, esperta di consumi e food & beverage, consulente di comunicazione corporate, autrice di saggi.