Pedagogia della sostenibilità per consumatori pragmatici
Sostenibilità dei prodotti: i consumatori vogliono maggiore concretezza, brand e insegne devono puntare di più sui contenuti, riappropriandosi anche di un ruolo educativo. Se n’è parlato a Retail Plaza - TuttoFood
Un produttore di acque minerali commercializza il suo prodotto in bottiglie di plastica compostabile e il logo Bio bottle compare sul packaging con un font tre volte più grande di quello dell’azienda. Potrebbe bastare questo esempio per spiegare quanto il tema della sostenibilità sia cambiato e sia diventato ormai centrale nel rapporto tra brand, insegne e consumatori, meno idealistico e più orientato a un pragmatismo di fondo, con cui le stesse insegne non possono fare a meno di confrontarsi, se vogliono che la sostenibilità non sia relegato a un tema di nicchia o di pura accademia.
È stato questo il tema al centro dell’incontro Better future, andato in scena nell’ambito di Retail Plaza alla recente edizione di TuttoFood da poco conclusa.
Cambio nei codici della comunicazione
«Nell’evoluzione dei codici della sostenibilità trasmessi dal packaging – spiega Francesco Bruschi, head of strategy di FutureBrand – le marche stanno attuando quattro sostanziali cambiamenti di senso, improntati a una visione olistica, meno idealistica e più pragmatica, anche per superare le contraddizioni esistenti proprio in tema di sostenibilità: le giovani generazioni vogliono un futuro attuabile, cibo sano e genuino ma buono».
Così si passa:
- Da “buono per il pianeta” a “buono per te”, con una narrazione che crea una corrispondenza tra benefici per sé e per il pianeta.
- Da “eco idealismo” a “eco pragmatismo”, con un linguaggio che evolve da metafore iperreali di un futuro ideale ad un tono diretto, pratico con radici nel presente e messaggi concreti anche se a volte con immagini imperfette.
- Da “scientifico e funzionale” a “inclusivo ed empatico”, passando da codici tecnici e razionali a una relazione emotiva e più coinvolgente.
- Da “approccio formale” a “sostanziale”, in cui un’opportunità accessoria diventa un elemento fondante e verificabile della marca.
«Comunicare sostenibilità significa comunicare adesione a un valore, utilizzando codici per mettere in evidenza ciò che la marca vuole fare», conclude Bruschi.
Fame di informazioni
Non è per caso che le informazioni presenti nelle etichette dei prodotti siano proliferate in maniera esponenziale. «Da un lato le imposizioni di legge (ultima l’introduzione della tabella nutrizionale sulle bottiglie di vino dal prossimo dicembre.) dall’altro le esigenze di conoscenza del consumatore hanno fatto delle etichette il nuovo media delle aziende», spiega Marco Cuppini, research & communication director di GS1 Italy. «È un’evoluzione che l’associazione delle imprese del largo consumo tiene monitorata da diversi anni con l’Osservatorio Immagino (giunto alla tredicesima edizione) che, attraverso i dati raccolti dalla digitalizzazione di tutte le informazioni del packaging, analizza 134 mila prodotti, l’82,1% del valore venduto nella GDO. Accanto ad alcuni attributi come l’italianità (il 28% dei prodotti), il lifestyle (vegani sono il 14%), il rich in (12,2%) e il free from (16,9%), la sostenibilità e la riciclabilità rappresentano rispettivamente il 27% e il 44,8% dei prodotti venduti. Ma è ancora più significativo il trend rispetto all’anno precedente di alcune caratteristiche: compostabile +29,7%, biodegradabile +28,4%, con materiale riciclato +20,5%, senza fosfati (cura casa-persona) +17,2%, riciclabile +16,6%. Le informazioni sono quindi decisive nel processo di scelta del consumatore, ma si pone un’altra questione: la disponibilità di spazio sulle etichette. Per questo motivo è in corso l’evoluzione del tradizionale codice a barre GS1 in direzione del GS1 Digital Link, rappresentato da un QR code che consente, oltre all’identificazione univoca del prodotto secondo gli standard GS1 globali, anche il collegamento a tutte le possibili informazioni relative a quel singolo prodotto. Già oggi l’89% degli shopper negli Stati Uniti utilizza lo smartphone in store in quella che viene definita la Mobile-ization dello shopping e la smart label con il GS1 Digital Link è già utilizzata da un migliaio di aziende che utilizzano un template comune. La community GS1 si è data l’obiettivo che entro la fine del 2027 gli scanner dei punti vendita retail di tutto il mondo siano in grado di leggere e di elaborare sia i tradizionali codici a barre lineari che i nuovi codici 2D».
Per un retail educativo
Ampia disponibilità di informazioni e maggiore pragmatismo dei consumatori sono i tratti caratterizzanti il tema della sostenibilità. Ma ci sono anche tante contraddizioni che generano confusione e richiedono un approccio più concreto da parte del retail. Ne è convinto Roberto Selva, direttore marketing di Esselunga: «Vi è ancora scarsa conoscenza di questi temi da parte del consumatore che appena si alzano i prezzi dei prodotti di filiera sostenibile smette di comprarli. Dobbiamo fare diventare sexy la CSR. Come? Facendo divulgazione, lavorando sui contenuti. Oggi l’aria fritta non funziona più».
Il retail insomma deve riprendersi un ruolo educativo. «Il negozio non è solo il luogo dove fare la spesa, ma svolge anche un ruolo pedagogico nei confronti dei clienti. La sostenibilità vale anche nel rapporto con il consumatore e molti prodotti, come quelli bio, hanno costi troppo elevati per la maggior parte dei consumatori», aggiunge Grégoire Kaufman, direttore generale di Crai Secom. Nonostante quindi in Italia la superficie agricola a biologico sia tra le maggiori in Europa, i consumi pro-capite sono inferiori, anche se c’è un 10% di clienti con gli stessi consumi europei. «C’è una flessione nella predisposizione all’acquisto di questi prodotti – argomenta Alessandra Corsi, direttrice marketing e dell’offerta Mdd di Conad – perché il consumatore razionale non riconosce il gap con gli altri prodotti, nei quali ritrova alcune caratteristiche del biologico come la naturalità e la sicurezza, e agisce con maggiore pragmatismo».
«La sostenibilità – afferma Fabio Sordi, direttore commerciale di Selex – non può più essere un elemento di nicchia. È necessaria una condivisione culturale con il consumatore, con gli altri retailer e con i fornitori. La nostra azione è quindi orientata a coinvolgere in primis i fornitori per intervenire in maniera consistente sui prodotti, dall’eliminazione delle uova da galline non allevate a terra anche negli ingredienti, all’eliminazione delle microplastiche da tutti i prodotti per la cura della persona, alla redazione di un bilancio di sostenibilità che non solo rendiconta quanto fatto ma consente di rendersi conto di quanto rimane da fare».
A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab