I processi al centro della crescita dell’e-commerce B2B
Le aziende italiane cavalcano l'e-commerce B2B, ma per quanto sia dinamico sono molti freni tecnologici e nelle relazioni con i clienti. Cruciale la scelta di una gestione omnicanale dei processi in una visione strategica d’insieme, con il supporto dei nuovi standard 2D
Sono il 61% le aziende in Italia con fatturato superiore a 2 milioni di euro attive nelle vendite B2B con un proprio sito e-commerce, aperto o riservato ai clienti attivi, oppure con i marketplace B2B, in aumento del +12% rispetto alla precedente ricerca del 2021. I canali digitali B2B rappresentano per queste aziende l’11% del fatturato complessivo (meno di quanto si registra in altri paesi europei), ma le aziende stimano che arriverà in media al 25% nei prossimi tre anni.
Questi dati della ricerca, che Netcomm realizza ogni due anni dal 2015 e presentati al Netcomm Focus B2B Digital Commerce, indicano quanto sia attivo e in crescita il comparto del B2B italiano nel commercio digitale.
Le aziende “Heavy digital” che hanno già attivato in modo strutturato processi e servizi per i canali digitali sono il 27% e il loro processo di digitalizzazione ha già toccato tutte le fasi canoniche, con particolare attenzione al pre-vendita orientato al marketing, alle vendite tramite sito diretto e al post-vendita. Si tratta di realtà pienamente convinte dell’impatto positivo del processo di digitalizzazione sul proprio business, in particolare per lo sviluppo del brand e per la ricerca di nuovi stakeholder: più in generale, sostengono l’utilità della digitalizzazione trasversalmente a tutti gli obiettivi e gli ambiti commerciali.
La quota maggiore, il 34%, è però costituita dai cosiddetti “E-commerce oriented”, cioè quelle aziende focalizzate sull’e-commerce sul quale hanno fondato le loro strategie di vendita, sia ricorrendo a un sito diretto (otto su dieci) sia attraverso un marketplace (tre su dieci). Tra queste, una su tre è entrata nell’universo delle vendite online B2B con l’inizio della pandemia, spinta principalmente dalla volontà di ampliare il proprio mercato in nuove aree geografiche e migliorare il servizio offerto ai clienti.
Tra le aziende non utenti (il 39%, in calo del -13,3% rispetto al 2021), il 14% (“Light digital”) si concentra solo su fasi legate a pre e/o post vendita, ma resiste un 25% di aziende “No digital” che non hanno ancora attivato il processo di digitalizzazione in nessuna fase, di cui il 40% non ha in agenda di sviluppare un canale e-commerce neanche in futuro.
Figura 1 - I cluster e i modelli di e-commerce B2B. L'evoluzione 2015-2023Fonte: Consorzio Netcomm “B2B Digital Commerce” 2023
«Nel percorso verso l’extended commerce – afferma Roberto Liscia, presidente del Consorzio Netcomm, illustrando i dati della ricerca realizzata con il supporto di Adacto | Adiacent, Alpenite, Rewix e Shopware presentata a Netcomm Focus B2B Digital Commerce – sta maturando la consapevolezza dell’aumento dei costi per gli investimenti da fare. D’altro canto l’aumento della coscienza cognitiva delle imprese e lo sviluppo delle competenze interne (elemento fondamentale per il 53% delle aziende) fanno diminuire la complessità dei progetti, anche perché le tecnologie a disposizione sono sempre più interoperabili e integrabili. Ne è la dimostrazione la crescita dei marketplace sia nell’awareness sia nell’uso. Sta diminuendo anche il timore di conflitto con gli altri canali, che aveva bloccato per anni lo sviluppo dell’e-commerce in Italia. E nei prossimi dodici mesi si investirà di più in formazione e servizi di consulenza, sviluppo di contenuti per i canali digitali, digital marketing e schede prodotto. In sostanza, i rapporti tra le imprese si stanno arricchendo di nuovi strumenti».
La complessità del B2B
Gli strumenti di cui parla Roberto Liscia devono adeguarsi a relazioni sempre più complesse in filiere articolate dove intervengono attori diversi a creare reti estese che vanno oltre il binomio cliente-fornitore. Per questo Paola Olivares, direttrice dell’Osservatorio Digital B2b del Politecnico di Milano, parla di una «modifica delle relazioni B2B che sta portando a introdurre molti punti di contatto differenti e bisogna passare da una logica multicanale a una omnicanale per rendere sinergici e coerenti tutti i punti di contatto. Nel B2B questa evoluzione presuppone una vera rivoluzione all’interno delle aziende che coinvolge la strategia e l’organizzazione e richiede la gestione di una mole di dati e la disponibilità di tecnologia».
Nel passaggio da rapporti transazionali tra aziende, con lo scambio di natura commerciale o tecnica, a rapporti collaborativi, basati sull’ascolto reciproco fino allo scambio di informazioni strategiche basato sulla fiducia reciproca, le imprese italiane secondo Olivares sono ancora concentrate per il 66% sui rapporti transazionali. Solo un’azienda su quattro infatti viene definita “attrezzata” dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologia e della relazione con il cliente, ma solo il 9% è dotata di un’adeguata infrastruttura tecnologica ed è già avanti nell’approccio collaborativo con le aziende clienti. «Gran parte delle imprese – conclude Olivares – è ancora indietro nel percorso verso un'azienda customer centrica e nell’utilizzo dei dati raccolti dalla propria filiera. È necessario quindi che le imprese capiscano l'importanza e i benefici derivanti dall'ascolto dei propri clienti per sviluppare strategie mirate per ciascun tipo di cliente: diretto, distributore, rivenditore, professionista».
Partire dai processi
Come le imprese devono organizzarsi per dare concretezza alla gestione delle relazioni con i clienti in una visione omnicanale? Su questo aspetta si concentra Paolo Guenzi, direttore commercial excellence lab di SDA Bocconi School of Management, che evidenzia come all’interno di una stessa azienda convivano visioni diverse su multicanalità e omnicanalità, e ragiona su quale sia il percorso da intraprendere e che cosa serva per avere successo nella gestione dell’omnicanalità. Vi è poi una difficoltà diffusa a gestire l’integrazione di dati commerciali provenienti da fonti e canali diversi e trasformarli in decisioni. «Possiamo quindi identificare – sottolinea Guenzi – quattro aree critiche:
- La definizione del perimetro strategico dell’omnicanalità: manca un elenco dei touchpoint considerati rilevanti e per quali segmenti di clienti, gli obiettivi sono generici.
- L’analisi della gestione dell’omnicanalità: manca un'analisi strutturata ex-ante della omnichannel customer experience complessiva (analisi integrata di desideri, aspettative, percezioni e comportamenti dei clienti), manca una mappatura dei processi interni in chiave omnicanale, vi è difficoltà a stimare i costi.
- La progettazione e l’implementazione: sono spesso separate e seguono una logica sperimentale, con scarsa chiarezza su responsabilità, risorse, tempi, KPI specifici, con la prevalenza di mentalità a silos e la presenza di barriere tecnologiche e gap di competenze.
- La valutazione: raramente si effettua una misurazione dell'esperienza omnicanale esaminando la percezione di integrazione complessiva fra diversi touchpoint e misurandone i risultati, manca una cabina di regia complessiva ed è ancora più raro che i risultati dei vari touchpoint singolarmente presi vengano messi in relazione agli indicatori del risultato complessivo.
Tutto ciò ci fa ritenere che vi sia ancora molto lavoro da fare per lo sviluppo dell’omnicanalità nel B2B, ma è importante per le aziende partire dall’analisi dei processi, conoscerli, mapparli, organizzarli, in una visione strategica d’insieme».
La nuova vita del codice a barre
E quando si parla di processi, vi è uno strumento del quale le aziende non possono fare a meno da 50 anni, anche nell’era digitale: è il codice a barre, che attraverso il codice univoco GTIN continua a favorire l’efficienza nei processi delle imprese di tutti i settori in 116 paesi nel mondo. «Ora è giunto il momento di evolvere – afferma Andrea Ausili, direttore standard & innovation di GS1 Italy – per supportare esigenze di comunicazione più ampie richieste sia dagli stakeholder (in primis i consumatori) sia dai regolatori. Per un maggior numero di informazioni il codice a barre non è più sufficiente: queste riguardano nell’ambito B2B la gestione logistica e inventariale, la tracciabilità e la sicurezza, ma anche le informazioni verso i consumatori (oggi sul packaging compaiono molti simboli e indicazioni), alcune richieste da esigenze normative come la recente etichetta ambientale sul corretto smaltimento della confezione o quella che prevede da fine anno l’etichetta con le indicazioni nutrizionali, gli allergeni, gli ingredienti per i vini e per le bevande alcoliche, che potranno essere eventualmente online purché collegate al prodotto e distinte da comunicazioni marketing. O ancora le informazioni di sostenibilità relative al prodotto, attraverso la web app Barcode 4 Environment.
Più adatti a ospitare questa mole crescente di informazioni sono i codici bidimensionali, come il QR code. Secondo un’analisi che abbiamo effettuato, è già presente su oltre il 9% dei prodotti di largo consumo e il consumatore ha imparato a conoscerlo. Dal punto di vista della tecnologia, la gestione della generazione e della stampa dei codici bidimensionali è alla portata di tutte le aziende, così come per la scansione i retailer stanno installando scanner ottici e aggiornamenti ai sistemi per essere in grado di leggere e processare i codici 2D e i relativi dati.
Ci sono insomma tutte le condizioni - continua Ausili - per passare a una nuova fase per il codice a barre che lo proietti ai prossimi 50 anni. Una fase che si basa sul nuovo standard GS1 Digital Link, vale a dire il codice GTIN del prodotto associato a un indirizzo web, nella forma di un QR code, appunto. È un nuovo standard verso il quale ci stiamo muovendo e nell’arco di pochi anni il codice a barre che conosciamo sarà prima affiancato e poi sostituito dal nuovo simbolo evoluto quando la rete del retail globale sarà in grado di adottarlo pienamente. Se vogliamo supportare sia i processi tradizionali sia quelli evoluti come la tracciabilità, lo possiamo fare inserendo informazioni dinamiche come il lotto, la data di scadenza e addirittura il numero seriale, utilizzando il GS1 Digital Link e grazie agli standard globali. Accanto a questo, però, nello sviluppo delle relazioni B2B non dobbiamo sottovalutare strumenti maturi e consolidati, come il GS1 EDI e l’RFID, che hanno ancora ampi margini per portare efficienza nei processi. A partire da quelli logistici».
A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab