Con l’economia circolare verso la carbon neutrality
Economia circolare e decarbonizzazione sono due aspetti sempre più connessi per il raggiungimento degli obiettivi per la lotta al cambiamento climatico. Alcuni casi di rilievo di quanto stanno facendo le imprese arrivano dall’Osservatorio Green Economy dell’Università Bocconi
Quali sono le strategie delle imprese per la lotta al cambiamento climatico e per raggiungere la neutralità carbonica? Come si stanno muovendo? Quali sono gli ostacoli e le nuove sfide?
Alcuni esempi sono emersi nel corso della sessione dedicata al contributo dell’economia circolare alla decarbonizzazione nell’ambito del convegno “Verso un mondo carbon neutral?” dell’Osservatorio Green Economy-Università Bocconi. Riduzione delle emissioni ed economia circolare sono, infatti, le due forzeche guidano il sistema delle imprese, le istituzioni, gli organismi internazionali verso l’obiettivo primario di un mondo con impatto zero del carbonio.
Il consorzio Conai, per esempio, ha calcolato, nel suo ultimo Bilancio di sostenibilità, che l’insieme dei diversi materiali di imballaggio avviati al riciclo ha evitato nel 2020 l’emissione in atmosfera di 4,4 milioni di tonnellate di CO2 pari alle emissioni generate da quasi 10 mila tratte aeree Roma-New York andata e ritorno.
Ma c’è dell’altro. Come sottolinea Fabio Iraldo, ordinario di economia e gestione delle imprese, Scuola superiore Sant’Anna e Green Università Bocconi, «la circular economy è un motore di innovazione anche per i settori considerati maturi».
Due esempi, su tutti
Il primo riguarda Mapei, multinazionale che fabbrica prodotti chimici per edilizia, che da tempo monitora l’impatto ambientale di ciò che produce adottando i due strumenti Life cycle assessment (Lca) e Environmental product declaration (Epd), e che, grazie a questa attività di misurazione, ha sviluppato nuovi additivi per asfalto a elevate prestazioni in sostituzione dei polimeri e nuovi prodotti durevoli e di qualità utilizzando cementi riciclati.
Un secondo esempio proviene da Feralpi Group, produttore di acciaio da rottame, che, quanto a economia circolare, ha il 97% di circolarità in ingresso e l’85% in uscita. Il processo produttivo con forni elettrici consente di emettere 20 volte in meno di emissioni dirette rispetto alla produzione con altoforno e sette volte in meno di emissioni indirette. «Sostituendo la polvere di antracite con i polimeri ricavati dal riciclo della plastica da imballaggio abbiamo ottenuto diversi benefici: economici, di processo grazie all’alto contenuto di idrogeno dei polimeri impiegati, e ambientali, perché parte del carbonio di questo polimero è di origine biologica, non fossile, e quindi non produce emissioni», spiega Maurizio Fusato, responsabile transizione ecologica ed energetica di Feralpi Group.
Approccio di sistema
È fondamentale, però, non demonizzare e discriminare i vari materiali, ma lavorare insieme in logica sistemica. «Neutralità climatica significa usare meno energia, produrre meno scarti, utilizzare meno risorse, preservare il capitale naturale», afferma Giulia Gregori, del consiglio direttivo e di presidenza di Federchimica Assobiotec. «La bioeconomia circolare da questo punto di vista è un metasettore: opera con filiere integrate tra diversi settori, crea collaborazioni forti tra pubblico, privato e consumatori e utilizza risorse rinnovabili per creare nuovi prodotti». Novamont, per esempio, segue tre filoni di attività nella convinzione che, in quanto società benefit, il modello di sviluppo debba avere l’obiettivo di creare benefici estesi: la rivitalizzazione di siti industriali dismessi, lo sviluppo di connessioni con altri settori (con Melinda è stato studiato un imballaggio a basso impatto ambientale e gli scarti della produzione di succo di mela forniscono zuccheri per i processi di fermentazione), lo sviluppo di soluzioni per risolvere problemi ambientali, come il riciclo di rifiuti alimentari attraverso il coinvolgimento di mondo agricolo, riciclo organico, grande distribuzione, industria biobased».
La certezza dei dati
Il punto critico nell’affrontare l’economia circolare e la decarbonizzazione riguarda il calcolo delle emissioni generate dalla catena del valore dell'azienda.
«Le aziende riflettono molto sui processi interni e sui processi produttivi, ma è necessario ragionare più in generale sul prodotto, sulla catena del valore dell’azienda – sostiene Roberto Davico, area manager southern & central Europe di DNV-Business Assurance – per creare un ambiente in cui i dati e le informazioni possano essere condivisi e verificati da qualcuno e resi trasparenti, per esempio attraverso la blockchain. Le dichiarazioni Epd che contengono numeri verificati lungo la supply chain allargano la certezza e la fiducia sul calcolo dell’impronta di carbonio e i dati verificati, veri e immutabili permettono alle aziende di agire come se appartenessero a un ecosistema industriale, elemento abilitante per una virtuosa economia circolare. Agire sulla produzione di informazioni quantitativamente verificabili è una necessità essenziale per agire in modo tracciabile e credibile: abbiamo le tecniche per verificare, abbiamo l’infrastruttura perché le informazioni siano a disposizione delle aziende. È necessario che le aziende ci credano e che cominci la creazione di questa onda virtuosa che non solo ricicla prodotti ma anche dati veri e verificati e soprattutto credibili per il consumatore finale».
Gli standard globali per la circular economy
Ruolo del consumatore e gestione dei dati supportati dagli standard globali sono anche al centro della strategia di GS1 Italy nell’approcciare il tema della sostenibilità e della circular economy. Bruno Aceto, ceo dell’associazione - che rappresenta oltre 35 mila imprese del largo consumo e che, come tale, è un punto di osservazione privilegiato su quanto proprio le imprese stanno facendo - spiega: «Nell’economia circolare le informazioni sono assolutamente rilevanti e non ci può essere circolarità dei prodotti senza la circolarità dei dati. Oggi il focus principale è sul prodotto, con tutti gli attributi suoi e del packaging, che devono essere trasferiti all’interno di una supply chain non più lineare ma circolare. Bisogna quindi definire tali informazioni e mettere le aziende in condizione di strutturarle e di scambiarle in maniera automatizzata. Gli standard globali sono lo strumento che consente l’automazione nello scambio delle informazioni, senza cui non è possibile mettere in atto un’economia circolare. Non a caso la Commissione europea ha fatto propria l’idea che senza digital non c’è green. Proprio il regolamento che sta per essere emanato conterrà le indicazioni per la realizzazione del passaporto di prodotto, che deve raccogliere le informazioni rilevanti in tutto il suo ciclo di vita ed è lo strumento per trasferire al consumatore quelle non solo ambientali ma anche riguardanti la gestione, come la riparazione, la manutenzione, il riciclo, il disassemblaggio, lo smaltimento, introducendo di fatto il divieto di distruggere il prodotto. Da qui la necessità di avere informazioni strutturate. Nelle batterie, il primo settore con cui stiamo lavorando, il codice identificativo non compare solo sul packaging ma è inciso sul prodotto stesso, per poter essere recuperato lungo tutto il ciclo di vita. Gli standard globali, quindi, abilitano esattamente questo e poiché sono adottati in molti settori, dal largo consumo al medicale al farmaceutico, recentemente anche dalle costruzioni, abbiamo la possibilità di abilitare velocemente una grande quantità di aziende all’economia circolare e al product passport».
Riciclo e riduzione delle emissioni
Il valore dell’economia circolare assume quindi rilevanza non solo valutando il risparmio di materie prime ma anche il minore impatto sulle emissioni in atmosfera.
Cominciare a sottolineare quanto valgono i risparmi di emissioni di CO2 determinati dal riciclo dei materiali è una necessità per Lorenzo Bono, responsabile ricerca e sviluppo di Comieco. «In Italia la percentuale di riciclo della carta dell’87% è tra le migliori in Europa e se nel 1995-98 l’Italia importava 1 milione di tonnellate di macero, nel 2020 abbiamo registrato un export di 1,2 milioni di tonnellate. Ma non basta, perché i 4 milioni di tonnellate di carta e cartone riciclati (sui 4,6 milioni complessivi) hanno permesso di evitare 3,5 milioni di tonnellate di emissioni di CO2».
Concorda Simona Fontana, responsabile centro studi per l’economia circolare di Conai: «Per guidare i consumatori serve avere informazioni omogenee, riconoscibili contro il rischio di confusione. Il packaging è un vero e proprio ambasciatore di sostenibilità del prodotto. Per questo motivo Conai ha lavorato sulle linee guida dell’etichettatura ambientale degli imballaggi in particolare sulla loro composizione per il corretto smaltimento, abbinata a informazioni aggiuntive ma standardizzate come l’indicazione del contenuto di materiale riciclato, vero anello di chiusura della circular economy».
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A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab