Senza consumi nessuna prospettiva di crescita
The European House Ambrosetti analizza il ruolo chiave della filiera agroalimentare estesa per lo sviluppo del paese e analizza la creazione e ripartizione del valore al suo interno
Agricoltura, industria di trasformazione, intermediazione, distribuzione e ristorazione sono i cinque comparti della filiera agroalimentare estesa al centro dello studio condotto da The European House Ambrosetti in collaborazione con le associazioni della grande distribuzione (Federdistribuzione, ANCC Coop, ANCD Conad, ADM – Associazione Distribuzione Moderna). Obiettivo: analizzare e comprendere il ruolo chiave della filiera agroalimentare estesa per lo sviluppo del paese e analizzare la creazione e ripartizione del valore al suo interno. E i risultati sono di grande interesse, perché per la prima volta l’analisi è stata condotta su circa 90 mila bilanci delle imprese in un orizzonte temporale di 7 anni per 40 key performance indicator e per un totale di 25 milioni di osservazioni.
«I consumi – afferma Valerio De Molli, managing partner & ceo, The European House-Ambrosetti – rappresentano il 60,7% del Pil, ma sono praticamente al palo da dieci anni. Quelli alimentari sono il 23,2% di quelli totali e spiegano il 14,1% del Pil per un valore di 242,9 miliardi di euro. Se l’Italia vuole tornare a crescere, deve rilanciare i consumi, a partire da quelli alimentari».
La filiera, primo settore economico
La filiera agroalimentare è il primo settore economico del paese. Genera infatti un fatturato totale di 538,2 miliardi di euro (pari alla somma del Pil di Norvegia e Danimarca), un valore aggiunto di 119,1 miliardi di euro (4,3 volte le filiere estese automotive e arredo e 3,8 volte la filiera dell’abbigliamento estesa) e sostiene 3,6 milioni di occupati (pari al 18% del totale degli occupati in Italia), con 2,1 milioni di imprese. «È una filiera economica chiave – riprende De Molli – che ha registrato performance di crescita positiva nel periodo 2011-2017. Ma anche dal 2000 al 2017 il fatturato è cresciuto del 29,2%, il valore aggiunto del 33,4%, gli occupati dell’11,2%, l’export del 144,2% con una dinamica più accelerata rispetto al paese. Ed è anche il più importante settore economico e quello con la maggiore propensione agli investimenti: nel 2017 sono ammontati a 10,8 miliardi, il 12% del totale degli investimenti in Italia. L’Industria ha investito 4,3 miliardi di euro con una crescita media annua dell’1,5% tra il 2011 e il 2017 , la Distribuzione 3,1 miliardi (, +1,7%, negli ultimi periodi più per il rinnovo dei punti vendita che per la realizzazione di nuovi negozi), la ristorazione 1,8 miliardi (-6,4%) e l’intermediazione 1,6 miliardi (-1,2%).
L’analisi di De Molli, si concentra sul ruolo della Distribuzione, quarto settore economico su 245 per crescita degli occupati nel periodo 2013-2016 (+22.960). In particolare nei segmenti più deboli: i giovani (il 18% degli addetti ha meno di 30 anni), le donne (il 62%), il 90% dei contratti è a tempo indeterminato e nel Mezzogiorno è il terzo settore per occupazione, con 180.000 addetti.
Partendo dai dati dei consumi alimentari, la ricerca ricostruisce l’utile di filiera. Ogni 100 euro di consumi alimentari degli italiani, il 32,8% remunera i fornitori di logistica, packaging e utenze, il 31,6% il personale della filiera, il 19,9% le casse dello Stato, l’8,3% i fornitori di macchinari e immobili, il 5,1% gli azionisti di tutta la filiera agroalimentare estesa, l’1,2% le banche e l’1,1% le importazioni nette.
Figura 1 – La ripartizione di 100 euro di spesa alimentare
«I 5,1 euro si ripartiscono però diversamente tra i comparti della filiera – spiega De Molli– e precisamente nelle seguenti proporzioni: l’industria di trasformazione alimentare ottiene la quota maggiore, pari al 43,1%; il 19,6% va all’intermediazione (grossisti e intermediari agricoli, industriali e commerciali); il 17,7% all’agricoltura; l’11,8% alla Distribuzione e il 7,8% alla ristorazione. Nonostante i cinque comparti abbiano una struttura dei costi simile, la Distribuzione e la ristorazione ottengono utili più contenuti rispetto agli altri comparti della filiera. Che peraltro negli ultimi sei anni, in presenza di una crescita degli utili di filiera del 50%, sono risultati i più penalizzati, con una riduzione rispettivamente dell’8,9% e del 16,1%. Anche l’agricoltura ha registrato un calo degli utili del 4,3%».
Figura 2 – Come si ripartisce l’utile all’interno della filiera agroalimentare
Il quadro che emerge da questo studio è una situazione che i rappresentanti della Distribuzione in una nota congiunta definiscono squilibrata: “La filiera agroalimentare in Italia produce poco utile per i suoi azionisti diretti e la ripartizione di questo utile è dominata dall’industria di trasformazione, con una quota in crescita significativa negli ultimi sei anni e un estremo livello di concentrazione, considerando che solo 57 grandi imprese industriali, in gran parte multinazionali, assorbono un utile complessivo superiore a quello dell’intera Distribuzione (13,4% della filiera estesa e 31,1% dell’industria alimentare). È un quadro di squilibrio che dura da anni e che si è accentuato nel tempo, lasciando alle altre componenti della filiera la ripartizione di un utile sempre minore”.
«In questo studio – commenta Marco Pedroni, presidente Coop Italia – vi sono alcune evidenze importanti. Che il settore che più ha sofferto con la Distribuzione è l’agricoltura: è un settore che ha bisogno di politiche di crescita, di sviluppo, di sostegno. In seconda battuta che i costi di intermediazione celano le inefficienze strutturali del paese, temi su cui la filiera con GS1 Italy lavora da tempo». «per inefficienza e frammentazione, l’intermediazione – aggiunge Francesco Pugliese amministratore delegato Conad – è l’anello più debole in termini di utilità, nel senso che è poco strategica. Nei prossimi anni per la Distribuzione si presenta una strada obbligata: quella di risalire la filiera. I dati dello studio dimostrano che nell’Industria non tutti sono uguali: se 57 aziende prendono il 13,4% degli utili dell’intera filiera. vuol dire che ci sono tante PMI che soffrono. C’è bisogno di alleanze vere per i bisogni del paese e della filiera. E il cuore di questa alleanza è la marca del distributore, dove già oggi il 96% dei fornitori sono proprio piccole e mede imprese italiane».
«Faremmo però un grande errore a cercare dei capri espiatori. Non si tratta di dividere i buoni dai cattivi, ma di comprendere che colpendo i consumi non si danno prospettive di crescita al paese». Il riferimento è ovviamente quello della plastic e sugar tax: «Non si fa politica green aumentando le tasse. Occorre fare prevenzione, educazione alimentare, sviluppare la ricerca sul packaging e gli imballaggi. Ci vuole insomma un respiro lungo», precisa Pedroni. Lo stesso vale per le chiusure domenicali, ritornate nuovamente alla ribalta dopo che tutte le organizzazioni del commercio hanno dato la disponibilità ad affrontare un piano ragionevole di riduzione. Nell’ipotesi più restrittiva, le chiusure domenicali porterebbero a una riduzione di 6 miliardi di consumi e a perdere 45 mila posti di lavoro.
È un chiaro invito alle istituzioni e ai politici ad abbandonare le boutade e le barricate e a creare “le condizioni per ridare slancio ai consumi e agli investimenti delle imprese, ponendo in questo modo le basi per aumentare il valore complessivo creato nella filiera. Occorrono decisioni che partano da un’analisi corretta e oggettiva della situazione e che favoriscano la collaborazione tra tutti gli stakeholders coinvolti, pubblici e privati, contribuendo così ad aumentare la capacità complessiva della filiera agroalimentare di produrre sviluppo per sé e per l’intera collettività, rendendola in questo modo ancor più protagonista della ripresa del paese”, conclude la nota congiunta delle quattro associazioni.
A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab