01. Gli italiani, i consumi e la sostenibilità delle imprese
Quanti consumatori tengono conto nei loro acquisti delle attività di sostenibilità delle imprese? Nel dibattito più che ventennale sul rapporto tra consumatore e sostenibilità, alla domanda cruciale sulla disponibilità a spendere di più per un prodotto sostenibile, la risposta è nella maggior parte dei casi positiva. Salvo che poi nei corridoi dei supermercati la dichiarazione d’intenti non si trasforma in azione. I ricercatori e i marketers ne sono ben coscienti. E così sulla relazione tra sostenibilità e consumo si discute da anni, andando un po’ a tentoni. Le cose ovviamente stanno cambiando se, come avverte l’ultimo Rapporto Coop, il 61% dei consumatori italiani sono disposti a modificare le proprie abitudini d’acquisto per ridurre l’impatto ambientale.
Ma quanto sono disposti i consumatori a spendere di più per prodotti e servizi costruiti, distribuiti e comunicati con criteri di sostenibilità? E oggi quanti consumatori acquistano prodotti e servizi sostenibili. Quali. Di quali marche? E ancora: come praticano la sostenibilità nei comportamenti privati?
A queste e ad altre domande cerca di dare risposte Astarea nella ricerca multiclient su 3 mila individui rappresentativi della popolazione italiana, presentata da Laura Cantoni all’ultima edizione del Green Retail Forum.
«Si tratta – spiega Laura Cantoni, che si occupa di ricerche sulla sostenibilità da vent’anni – di individuare come la sostenibilità e lo sviluppo sostenibile siano pratiche specifiche che riguardano la vita stessa dell’impresa e se, come e quanto queste pratiche vengano valorizzate dai consumatori nei loro acquisti. Per questo abbiamo svolto un’analisi dei comportamenti privati in termini di sostenibilità su 25 item e degli atteggiamenti e dei comportamenti di acquisto secondo 25 pratiche di sostenibilità delle imprese, suddividendo i 25 item in 7 aree: SCR, lavoro, produzione, fornitori, ambiente, territorio, comunicazione. Inoltre abbiamo indagato l’orientamento di acquisto in relazione a diversi livelli di prezzo».
I cluster dei consumatori
Nelle sue linee generali (per i dettagli visita il sito di Astarea) la ricerca evidenzia come ai primi posti delle richieste alle imprese vi sono i diritti e la sicurezza del lavoro, la salute e la sicurezza e che in pole position quanto a sostenibilità vi è la Distribuzione.
La ricerca individua sei tipologie di consumatori, secondo quattro variabili: la cultura nei confronti della sostenibilità, i comportamenti privati, l’atteggiamento verso le imprese e gli acquisti sostenibili.
Figura 1 – Consumatori e sostenibilità
Fonte: Astarea “Il valore della sostenibilità per l’impresa – Consumatori e acquisti sostenibili” 2019
- I coinvolti a 360°. Sono il 24%, fortemente orientati al sociale, ai comportamenti green più evoluti come la mobilità in condivisione, forme di investimenti etici. Nei confronti di queste persone le aziende devono impegnarsi a promuovere uno stile di vita salutare nel rispetto dei diritti, utilizzare fonti di energia rinnovabile e supportare le comunità locali, con una comunicazione orientata a veicolare il loro impegno nel sociale e verso l'ambiente.
- Abituali acquirenti di biologico, senza coloranti, conservanti e prodotti certificati, sono disposti ad acquistare prodotti sostenibili, anche ad un costo superiore rispetto agli altri. Acquistano già prodotti o servizi di aziende che adottano comportamenti sostenibili.
- Gli attenti, tra non spreco e risparmio. Sono il 21%, esprimono una forte attenzione al controllo delle risorse, soprattutto in un’ottica di risparmio, evitano lo spreco alimentare, il consumo di plastica e di carta. Guardano anche alle aziende in questa chiave di risparmi di risorse. Anche se non regolarmente acquistano prodotti bio o dal produttore. Acquisterebbero prodotti o servizi sostenibili, se a parità di prezzo rispetto agli altri.
- Gli individualisti possibilisti. Questo 22% della popolazione vive la sostenibilità in modo personalistico, senza una particolare visione sociale: differenziano i rifiuti e sono parzialmente attenti agli sprechi, ma sono disinteressati a qualsiasi forma di attività nel sociale, dal crowdfunding ai gruppi di acquisto solidale. Per senso pratico delle aziende prediligono gli aspetti legati al lavoro – sicurezza e crescita personale –seguiti dall'attenzione alle materie prime e agli sprechi. Più per interessi personali acquistano talvolta prodotti bio, a chilometro zero o certificati. Riguardo ai prodotti di aziende sostenibili li comprerebbero a parità di prezzo o poco superiore, ma per farlo richiedono più informazioni dalle aziende.
- I distratti autoriferiti. Sono l’11%. Esprimono comportamenti sostenibili molto sporadici e una concezione della sostenibilità tradizionale, solo legata all’ambiente. Sono poco attenti a ciò che acquistano e consumano. Non sono interessati ad acquistare prodotti di aziende sostenibili, con qualche eccezione per la quale sarebbero disposti a spendere di più.
- I refrattari. Sono quasi un quarto della popolazione, il 23%. Assumono una visione estremamente parziale ai limiti della scorrettezza della sostenibilità, secondo una chiave di lettura benefica più che sistemica. L’unica cosa che fanno continuativamente è la raccolta differenziata. Utilizzano a volte le pratiche di sharing, e il crowdfunding: pratiche più “giovani” che probabilmente non si legano alla cultura e agli altri comportamenti della sostenibilità. Di conseguenza ogni comportamento delle aziende, in questo ambito, è irrilevante. Nel carrello mettono a volte prodotti bio, del commercio equosolidale e di seconda mano, ma in nome della sostenibilità non lascerebbero le proprie marche abituali, se non per prezzi inferiori.
Se tra gli attenti predominano le donne, tra le ultime due classi sono gli uomini a prevalere. Tra gli aspetti che vale la pena sottolineare. Il primo è che i giovani tra i 18 e i 25 anni hanno la maggiore presenza nelle categorie dei coinvolti (26% dei giovani totali) e dei refrattari e distratti (32% rispettivamente). La seconda è che tra i coinvolti predomina la popolazione con un reddito medio-alto e tra i refrattari quella con un reddito basso.
«Al di là dei luoghi comuni – commenta Cantoni – non tutti i giovani quindi sono proattivi in tema di sostenibilità (la generazione Greta è un’altra cosa). Sembrerebbe quindi che la sostenibilità sia una cosa per ricchi. In realtà vi è uno stretto legame tra comportamenti privati e di acquisto. C’è una forte connotazione culturale e per questo motivo è essenziale informare adeguatamente.
Tuttavia, la buona notizia è che confrontando questa ricerca con altre effettuate negli anni scorsi con la stessa metodologia, vi è una tendenza positiva, un miglioramento costante degli atteggiamenti delle persone».
Anche l’Osservatorio Immagino nella sua ultima edizione certifica che la spesa green degli italiani è in aumento. Allora il retail può essere davvero la nuova religione come ricorda Paolo Mamo, amministrato delegato e presidente di Altavia Italia, citando Martin Sorrell: «Il cambiamento in atto ha necessità di essere individuato, guidato e portato avanti da chi fa retail. Non c’è più tempo. Il retail ha l’obbligo di coprire questi spazi».
A cura di Fabrizio Gomarasca