Un nuovo modello di sviluppo per l’economia circolare
Le opportunità dell’economia circolare sono state al centro del Forum Sostenibilità organizzato da 24 Ore Business School. Al centro della discussione il rapporto tra scelte strategiche e normativa
Le opportunità dell’economia circolare sono state al centro del Forum Sostenibilità organizzato da 24 Ore Business School in collaborazione con il Sole 24 Ore.
In particolare il nodo della discussione, che ha preso in esame anche alcuni settori specifici come l’energia, l’ambiente, la mobilità, il fashion e il food, soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità e la responsabilità d’impresa, è stato quello del rapporto tra strategie e normative.
Sostenibilità è una sfida economica
Le prime hanno difficoltà spesso ad avere una traduzione normativa, le seconde vengono emanate senza una strategia chiara e quindi sono di breve durata, come ha ricordato Edo Ronchi, già Ministro dell’Ambiente e ora presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. «La sostenibilità – ha detto Ronchi, ricordando come nell'economia globalizza a il consumo di materiale è decisamente superiore al consumo di energia – è anche una sfida economica, non solo ecologica. Infatti l’economia circolare non parte dal nulla, è un salto di qualità di un processo avviato da tempo e ha come risultato una maggiore competitività economica, di materie prime, di energia. Il paradosso che viviamo è che le strategie sono ormai più o meno definite, come il caso dell’end of waste i cui criteri sono comuni in tutta Europa, ma vi è una farraginosità evidente a tradurle in normativa».
«Il modello dell’economia circolare – ha affermato Andrea Bianchi, direttore politiche industriali Confindustria – è essenziale per il sistema manifatturiero italiano. Su questo tema negli ultimi vent’anni abbiamo fatto importanti passi avanti: il 55% degli imballaggi viene riciclato, mentre a livello complessivo siamo al 50% di riciclo dei materiali. L’Italia è ai vertici nell’indice di produttività dei materiali per due elementi fondamentali: una vocazione naturale del sistema manifatturiero a essere virtuoso nel recupero dei materiali (si pensi per esempio al distretto di Prato per il tessile) e l’aver accolto nel 1996 da parte di Confindustria la sfida per una responsabilità estesa dell’impresa facendosi carico dei costi dello smaltimento, avendo dato vita ai vari consorzi».
Una scommessa vinta. «L’Italia è leader nella gestione dei rifiuti da imballaggio – ha ricordato il presidente di Conai Giorgio Quagliuolo– e se nel 1998 veniva recuperato un imballaggio su tre, oggi ne vengono recuperati quattro su cinque. Negli ultimi dieci anni con il recupero degli imballaggi sono state risparmiate 40 milioni di tonnellate di materia prima, senza contare il volano innescato per posti di lavoro e ricchezza distribuita. Già oggi il target di riciclo fissato per il 2025 è stato raggiunto da tutti i materiali, con la sola esclusione delle plastiche».
Anche il Conou- Consorzio nazionale degli oli esausti vanta dei risultati di prim’ordine. Nel 2017 il Consorzio ha raccolto oltre 183 mila tonnellate di oli lubrificanti usati, il 99% delle quali avviate al riciclo tramite rigenerazione (contro una media Ue del 55%), producendo 112 mila tonnellate di olio base e oltre 50 mila tonnellate di oli leggeri, gasoli e bitumi, garantendo un risparmio di 56 milioni di euro sulla bilancia petrolifera italiana. Altrettanto importanti i risultati ambientali: 44 milioni di emissioni di CO2 equivalente evitate, 520 mila metri cubi di acqua risparmiati, 262 mila tonnellate di risorse naturali non consumate e 784 ettari di territorio risparmiati.
Misurare l’impatto ambientale
«L’economia circolare è il futuro – sottolinea Alberto Frausin presidente di GS1 Italy – e la nostra associazione cui fanno capo 35 mila imprese del largo consumo ha un ruolo rilevante in un’ottica di sostenibilità. Ma il nostro compito è quello di sviluppare degli strumenti standard per mettere le imprese in condizione di operare migliorando l’efficienza. Per la logistica, per esempio abbiamo sviluppato Ecologistico2, un tool che consente a tutte le imprese di misurare l’impatto ambientale ed economico della logistica, misurando le emissioni di CO2 prodotte dal trasporto e dalle attività di magazzino. Riteniamo infatti che la possibilità di avere dati e informazioni certe sulle nostre attività sia la pre-condizione per migliorare le performance delle nostre aziende. Credo che l’economia circolare significhi un cambio nel modo di lavorare delle imprese. Ma occorre lavorare in una logica di sistema e in partnership con i nostri fornitori e clienti. Il tema del Life cycle assessment è una strada per conoscere l’impatto ambientale di quanto le nostre aziende producono. Per questo motivo stiamo lavorando per inserire negli standard GS1 uno strumento di autodiagnosi che consentirà alle aziende di misurare l’impatto ambientale della produzione».
Ridurre i rifiuti
La sfida dell’economia circolare è quindi uno strumento di crescita economica e contemporaneamente un cambio di paradigma per lo sviluppo. Ma ci sono ancora mole questioni da risolvere perché entri pienamente nel sistema delle imprese, ma ancor prima nel corpo delle norme. Simona Bonafè, parlamentare europea che ha partecipato attivamente alla stesura del pacchetto sull’economia circolare dell’Unione europea, sottolinea per esempio che fissare nuovi tetti per il riciclo dei rifiuti è un passo importante ma occorre fare di più per la loro riduzione: meno scarti significa meno rifiuti. E quindi entrano in campo l’ecodesign, ma anche modelli di business come la sharing economy e nuovi processi produttivi che, producendo meno scarti, incidano sulla competitività delle imprese. Bonafé ha posto l’attenzione su un punto in particolare: «Se la raccolta differenziata, che è una cosa diversa dal tasso di riciclo, non viene destinata all’industria del riciclo, non si fa economia circolare».
Ma le difficoltà sono ancora tante.
Nuova politica industriale
«Abbiamo bisogno – elenca Quagliuolo – di un cambio di passo, di ragionare in chiave di filiera industriale, di leggi di lungo periodo e non spot, soffriamo di una carenza impiantistica per il trattamento dei materiali, c’è necessità di una strategia di collocamento delle materie prime secondarie, perché oggi vi è surplus di materiali in Europa. La legislazione spesso ci ha messo i bastoni tra le ruote».
E Bianchi concorda sulle criticità: «Gli obiettivi europei fissano oltre all’aumento al 65% del riciclo anche la riduzione al 10% delle discariche, perché le discariche non fanno parte dell’economia circolare. La soluzione all’aumento dei prezzi del conferimento in discarica dei rifiuti industriali non è aumentare l’offerta di discariche, ma aumentare il tasso di circolarità, Abbiamo bisogno di una strategia-paese per la transizione da economia lineare a economia circolare. Contestualmente occorre semplificare, aggiornare, razionalizzare la normativa ambientale con l’abbattimento delle barriere non tecnologiche». Per esempio una definizione di sottoprodotto che non metta le imprese a rischio di reato penale e una definitiva normativa in materia di end of waste.
Occorre dare una dimensione industriale all’economia circolare considerando i termovalorizzatori come pezzo dell’economia circolare non un’alternativa.
«Infine – afferma Bianchi – è necessario avere una politica industriale sull’economia circolare: dare sbocchi di mercato ai prodotti, sviluppare filiere dedicate, investire in ricerca e innovazione». L’economia circolare, quindi è il nuovo modello di sviluppo. «È innovazione di prodotto, di processi, di materiali. Dietro l’economia circolare c’è un’industria che va sostenuta anche con una fiscalità di vantaggio che potrebbe creare un mercato importante per le materie prime secondo», conclude Bonafè.
A cura di Fabrizio Gomarasca