Per un commercio più umano, più vero
l'opinione di
Retail's big show 2017. Diario di viaggio da New York.
Day 2
Secondo Deloitte solo il 47% dei consumatori si dichiara soddisfatto dell’esperienza a negozio dal punto di vista “logistico” , mentre il 41% riporta una certa soddisfazione dal punto di vista emozionale. Ormai le aspettative sulla “store experience” sono influenzate dalla esperienza digitale del consumatore. Come si diceva una non può più prescindere dall’altra.
Mike Mauler, presidente della catena di videogiochi GameStopInternational, ricorda come il viaggio del consumatore sia profondamente cambiato, come del resto anche il ruolo del punto vendita stesso. Ormai è difficile che il consumatore venga in contatto con un prodotto esclusivamente in un negozio; sempre di più il primo impatto avviene a casa, attraverso una ricerca online. Il giro nel negozio fa parte del processo di acquisto, sia che debba ritirare qualcosa ordinato online, sia che – più comunemente –voglia guardare da vicino, toccare con mano e finalmente comprare ciò che ha iniziato a conoscere, analizzare, confrontare online.
“Nei prossimi cinque anni il commercio cambierà di più di quanto abbia fatto nei cinquanta passati”, si sentenzia. Le conseguenze su come attrarre e formare nuovi talenti che assicurino i necessari cambiamenti per le aziende, sono evidenti. La tecnologia – e su questo terreno le nuove generazioni vanno fortissime – applicata al commercio, non deve sostituirsi al fattore umano (alcune applicazioni estreme di commercio virtuale, fatto di simulazioni con maschere e “protesi” applicate alle mani sembrano ancora molto lontane da quello che il consumatore realmente vuole), ma bensì rafforzarlo in esperienze “molto umane” quale il commercio continua ad essere. La tecnologia fine a se stessa raramente funziona. Se poi l’esecuzione lascia molto a desiderare (ricordiamo tutti l’effetto deleterio che un totem che non funziona, un’applicazione a negozio che si impalla, hanno anche sui consumatori più volenterosi e aperti alle novità) è un vero disastro.
Se l’obiettivo rimane un dialogo più stretto (engagement) per incontrare i bisogni del consumatore (personalizzazione) con un servizio più efficace che faccia guadagnare tempo e denaro, ben venga; altrimenti l’effetto boomerang è dietro l’angolo.
Jeremy Gilman, in uno dei tanti interventi della due giorni del Big Show di New York, ha definito il consumatore di oggi “The Mobile Reliant”. Come spesso succede l’inglese è sintetico, l’italiano ha bisogno di più sfumature. Il dizionario riporta come primo significato “dipendente”, ma anche “che fa assegnamento, fiducioso”.
Il telefonino ci ha resi completamente dipendenti o è solo uno strumento che può migliorare qualche aspetto della nostra vita, senza esserne diventato il protagonista assoluto?
Ognuno si faccia la domanda e si dia la risposta più sincera.