Retail Innovations 2016: così cambia il punto vendita
Che il retail stia affrontando un cambiamento epocale, guidato dalla pervasione delle tecnologie ma anche dalle nuove esperienze d’acquisto, è sotto gli occhi di tutti gli addetti ai lavori e la risposta per battere la crisi e non farsi sopraffare dal tumultoso evolvere degli eventi è una sola: innovare
Fabrizio Valente di Kiki Lab da undici anni dedica un’intera giornata di lavori a Retail Innovations, casi di successo della distribuzione. Nella disamina di esperienze mondiali, grazie anche al network internazionale Ebeltoft Group di cui Kiki Lab fa parte, si trovano esempi che Valente riconduce a cinque macro aree e 17 tendenze esemplificate in 145 casi, di cui 45 selezionati e presentati nel volume che ogni anno correda il convegno.
Punto vendita: cadono le barriere tra fisico e digitale
«Il retail è un settore esposto, come pochi, alla velocità dei cambiamenti – afferma Fabrizio Valente – accelerati anche dalla rivoluzione imposta da web, digital ed ecommerce. Alcune tendenze si sono consolidate, altre sono giunte a maturità, alcune nuove si sono imposte».
Tanto che oggi è difficile definire che cos’è un negozio: le barriere tra punto vendita fisico e digitale sfumano sempre di più, tanto che ognuna delle cinque macro aree si incrocia con diverse tendenze, a significare proprio la difficoltà di identificate puntualmente il concetto che meglio spiega l’attività selezionata. Retail Innovations fissa anche i punti di riferimento del commercio oggi, senza gabbie mentali, aprendo lo sguardo su formule che oggi sembrano più border line rispetto all’idea tradizionale del retail, ma che indicano certamente le direttrici della sua evoluzione. Dove il servizio nelle sue articolazioni diventa la parte essenziale.
Troviamo così quelli che Valente chiama i digishow, esempi di Cross-canalità e di Human tech nella tendenza Socialtailing, come l’inglese Made.com, un’iniziativa di e-commerce basato su progetti di designer emergenti selezionati dalla community con showroom dove i prodotti esposti non possono essere acquistati ma si ordinano sul sito dai computer presenti dopo averli sperimentati o avere acquisito informazioni più complete attraverso maxiproiezioni e scansioni di codici QR.
Un altro digishow arriva dall’Australia. «Sneackerboy - racconta Valente - è un concept di sneaker con un’offerta selezionata degli ultimi modelli dei brand più importanti, un punto di show room molto piccolo che espone solo una referenza per ogni numero di ogni modello. Il cliente ha così la possibilità di provare tutto, accomodandosi in poltroncine dotate di un tablet integrato, dove può andare a vedere che cosa dicono i vari social media oppure chiedere un parere agli amici sui modelli più cool da scegliere e poi concludere il processo decisionale ordinando il prodotto desiderato, che viene consegnato in negozio oppure a casa».
Il retail si fa liquido
E certamente diventa difficile definire che cosa sia Penguin Pick-Up. Si tratta di centri di ritiro gratuito per acquisti online, effettuati su qualsiasi sito web, posizionati nei parcheggi di otto centri commerciali del gruppo canadese Smart Centres, ma sono previste un centinaio di nuove aperture nel prossimo futuro. «Il progetto genera vantaggi sia per i clienti che per i retailer e i mall: il 42% dei clienti venuti per un ritiro visita almeno un negozio all’interno del centro commerciale», commenta Valente, che identifica questa esperienza con la tendenza del Retail liquido, che segmenta non solo i tipi di clienti, ma anche le diverse situazioni di visita, proponendo fruizioni differenziate.
La stessa cui appartiene Gourmeet, concept store aperto a Napoli da un socio Conad focalizzato sulle esperienze locali, dove il supermercato Sapori & Dintorni è integrato da una gastronomia focalizzata sul chilometro zero, da un ristorante, un’enoteca e una caffetteria gourmet. E si arricchisce della collaborazione con chef stellati, come Niko Romito. Qui i clienti possono acquistare e cucinare sul posto, acquistare prodotti già cucinati e portarli a casa, partecipare a degustazioni di vini con sommelier o delle creazioni di chef stellati, a eventi culturali e a corsi di cucina. Nel primo anno di apertura (è stato inaugurato nel febbraio 2015) è stato raggiunto il break even con 4,6 milioni di euro di fatturato, una produttività di Sapori & Dintorni di 11 mila euro al metro quadrato, e uno scontrino medio di 15 euro.
I big data per migliorare servizio ed efficienza
Il servizio è invece al centro dell’offerta di Hi Shine, che in Polonia propone consegna e ritiro della biancheria da lavare con lockers aperti 24 ore tutta la settimana (tendenza: Efficienza per i clienti), ma anche di Lunettes pour tous, che garantisce occhiali da vista in dieci minuti (per le lenti più comuni, che rappresentano l’80% delle vendite), grazie a un database di 60 mila schede di prescrizioni per individuare le lenti più richieste, un magazzino fornito e macchinari industriali. Il tutto con una shopping experience che richiama quella degli Apple store.
L’utilizzo estensivo dei dati o dei big data è anche una delle chiavi di innovazione per superare il tema del prezzo, spostando l’accento sulle relazioni. Tema quanto mai cruciale in questo periodo di deflazione, di sovreasposzione delle promozioni, di diversa sensibilità al prezzo e alla convenienza.
Leggi anche l'articolo dedicato a Total Retail 2016
Lo sottolinea Emiliano Rantucci, vice president Capgemini Italia, quando afferma che è in atto un passaggio dall’”every day low price” all’”every day best price”. «Per quel consumatore, quel momento, quel prodotto. Un passaggio che significa capire il prezzo giusto, verificare l’elasticità al prezzo dei prodotti, migliorare la conoscenza dei prezzi della concorrenza, dedicare risorse ai prodotti più popolari e più profittevoli, analizzare e controllare le variabili esogene».
La via da seguire, esemplificata da Rantucci, è quella percorsa da un distributore di bevande sudamericano che attraverso un sistema di raccolta strutturata e analisi dei dati ha potuto scoprire che il 95% delle vendite era garantito da poco più di 200 referenze sulle 1300 gestite, che le bevande con determinati gusti sono più vendibili in piccoli formati, che il meteo influenza più il gusto del formato.
«C’è la disponibilità di volumi e tipologie di dati con ordini di grandezza superiori a quelli sinora gestiti – conclude Rantucci - , tanto che non si parla più di business intelligence, ma di predictive analytics. Oggi esistono strumenti software e approcci progettuali, non più prerogativa solo dei grandi retailer, che possono favorire il passaggio da azienda orientata al prodotto a impresa intelligente».
Customer experience hi-tech
Riformulare l’esperienza d’acquisto è il filo rosso che lega un po’ tutte le esperienze inserite in Retail Innovations. La francese Undiz Machine, catena di intimo con un posizionamento moda del gruppo Etam, è particolarmente interessante perché adotta le tecnologie per fare anche di un piccolo punto vendita di 45 metri quadri una macchina per vendere. Il format prevede touch screen e tablet per affiancare l’esplorazione dei prodotti fisici presenti a scaffale (i best seller) con quella digitale sull’assortimento completo. Le referenze non presenti nell’area di vendita vengono consegnati attraverso un sistema di posta pneumatica, con i prodotti che viaggiano in un sistema di tubi trasparenti, con un processo decisamente scenografico e teatrale. I prodotti sono contrassegnati con tag RFID che consentono di conoscere sempre la posizione del prodotto (magazzino, camerino di prova, cassa) e di velocizzare i pagamenti senza scansione del codice a barre. «È un’idea che piace ai clienti i quali possono fare acquisti su schermo come su internet e ricevere subito il prodotto senza aspettare la consegna a casa. Oltre ad essere multicanale, consente inoltre di trasferire loro una vera shopping experience, con una componente anche ludica», spiega Sebastien Bismuth, direttore generale Undiz.
Leggi anche: Il caso retail Undiz Machine: tecnologia teatrale
Della medesima tendenza Human Tech fanno parte altre esperienze, come la belga Cru (gruppo Colruyt), nuovo format di negozio alimentare con prodotti freschi d’eccellenza da acquistare e consumare in loco, con un percorso interno innovativo: tablet come assistente smart dei clienti e nessun addetto alle casse, QR code in sostituzione dei codici a barre con informazioni esaustive sui prodotti, self checkout.
O come Makerland, primo concept store dedicato ai maker e a chi desidera avvicinarsi al mondo dell’artigianato 2.0, sorto nel centro commerciale di Monza dalla collaborazione tra Auchan e alcuni player del mondo dell’innovazione, delle nuove tecnologie e delle stampanti 3D. Un test, lo definisce Luca Previato, ideatore e responsabile del progetto Makerland all’interno di Auchan Retail Italia: «Makerland è un negozio-laboratorio dove si usano intelligentemente le nuove tecnologie, dove il popolo dei “maker” può realizzare e vendere prodotti originali, quello dei neofiti può frequentare workshop e corsi, ma dove anche le aziende trovano un interlocutore per realizzare oggetti nuovi, per personalizzare, per accedere al mercato». Un progetto che parte dall’e-commere e arriva al negozio fisico e che mette in contatto due mondi (i makers e i clienti) innescando un circuito virtuoso di fusione in cui i clienti diventano a loro volta makers o artigiani 2.0. I numeri sono a loro volta interessanti: più di 1000 clienti dall’apertura (60% non conoscevano il centro commerciale); oltre 40 eventi gratuiti (formazioni e workshop); fatturato in crescita ogni mese del 30%-50%.
La MDD può diventare marca? (La Marca Del Distributore può diventare marca?)
Come insegnano molti degli esempi di Retail Innovations, una delle sfide più difficili è quella dei punti vendita di minori dimensioni. Ancora sull’esperienza d’acquisto si focalizza l’esperienza del temporary store Viaggiator Goloso. «È un esperimento – afferma Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Unes Supermercati – che si inserisce in una riflessione più ampia che ci ha portato a considerare che oggi la nostra scelta del low cost-high value fatta con il format U2 non basta più, bisogna cambiare ancora. Questa risposta era nata nei confronti dei discount, che operavano in un sistema competitivo uguale al nostro e noi conoscevamo i clienti, che erano diventati solo un po’ più poveri. Ma oggi noi non conosciamo i nuovi concorrenti (Amazon, Zalando, ma anche i brand che raggiungono direttamente i clienti), non manovriamo a sufficienza le tecnologie (Amazon Dash) e soprattutto sottovalutiamo i Millennial che fra quindici anni saranno il 30% della popolazione.
Oggi il cliente vuole sentirsi gratificato e rassicurato. Un compito che può svolgere anche il prodotto a marchio del distributore. La nostra sfida è stata quella di testare il Viaggiator Goloso, la nostra MDD premium, come brand autoreferenziato, collocato al di fuori del suo ambiente naturale, il supermercato, per farlo incontrare dalle persone in uno spazio nuovo, vicino ai luoghi dello shopping e della moda». La conclusione dell’esperienza è tutta in positivo: 40 mila visitatori in un mese, 12 mila panettoni venduti, un fatturato di 48 mila euro al metro quadrato alla settimana di incasso. «Soprattutto abbiamo verificato che la MDD possiede un beneficio emotivo che può permetterle di esprimersi come brand autonomo», conclude Gasbarrino.
A cura di Fabrizio Gomarasca