Cosa vuol dire fare sistema?
Il Quaderno di FARE MEGLIO ITALIANO - L'agroalimentare si fa sistema
In questa pubblicazione e nella collegata iniziativa che si è svolta il 2 ottobre 2015 in Expo Milano 2015 promosse da GS1 Italy, si è cercato di rappresentare la prospettiva di rafforzamento del sistema agroalimentare italiano, con contributi che superano contrapposizioni agricoltura-industria-distribuzione o piccola-grande impresa che spesso caratterizzano il dibattito pubblico.
L’approccio che si propone è di far emergere i vantaggi di considerarle tutte parti essenziali di un sistema vitale e competitivo.
Di seguito pubblichiamo una sintesi dei concetti più importanti emersi intorno al tema FARE MEGLIO ITALIANO.
Qualsiasi sistema vivente o sociale, produttivo o distributivo, se isolato dall'ambiente che lo circonda, degrada, si decompone e scompare. In economia ogni parte è unica ma inserita in un processo che riguarda tutti, come in un ecosistema.
L’impresa “solitaria” è entrata in crisi. Solo gli appartenenti a sistemi dotati di una forte integrazione sopravvivono; ha cominciato ad emergere progressivamente l'idea che solo gli appartenenti a sistemi capaci di valorizzare la multidimensionalità nelle loro relazioni col prossimo, col lontano, col fornitore, col cliente, con il lavoro, con la società siano i più adatti a sopravvivere.
Un ecosistema, a rete, è un insieme complesso. La parola complesso, deriva dal latino cum-plexus, nel senso di tessuto-insieme; non nel senso di intricato, ma piuttosto riccamente intessuto, connesso.
L'eccesso di mondi chiusi attraverso i quali abbiamo pensato le funzioni tradizionali ha prodotto modelli disgiunti (il sistema delle materie prime, il sistema delle lavorazioni produzioni, il sistema distributivo), che sembrano indipendenti tra di loro se considerati in un meccanismo gerarchico; diventa quindi prioritario ricercare e fissare i requisiti pre-competitivi del sistema come primo passo di una strategia di revisione dello scenario complessivo.
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Ma cosa vuol dire “fare sistema”?
Fare sistema significa guardare tutti nella stessa direzione. Creare un elevato numero di interazioni e una forte collaborazione tra tutti i soggetti che possono contribuire al processo di indagine, di costruzione e di messa in comune delle conoscenze che sono il prodotto: nuova capacità organizzativa e obiettivi comuni.
In un ecosistema i singoli soggetti mantengono la propria autonomia gestionale ma sono tenuti insieme da uno schema organizzativo e da una fitta rete di legami e di relazioni che gli consente di muoversi come un’unica impresa.
Ragionare in prospettiva sistemica e secondo una logica di rete, significa comprendere la propria identità come parte di un ecosistema multidimensionale, dotato di strutture concettuali e di parole chiave, di comportamenti del tutto diversi da quelli conosciuti e attivati in dimensioni solitarie.
L’agroalimentare italiano è da tempo al centro di una trasformazione della qualità e dei suoi valori unitari, una trasformazione che è parte integrante della transizione, in corso, verso il capitalismo globale della conoscenza in rete. Ossia verso il nuovo paradigma produttivo plasmato dalla globalizzazione dei mercati e dalla digitalizzazione dell’economia. Il modello di filiera lineare ereditato dal Novecento e ispirato alla logica fordista della massima integrazione verticale ha dunque fatto il suo tempo. Le imprese oggi si rendono conto che se vogliono utilizzare al meglio le tecnologie e l’innovazione, devono usare le conoscenze, le prestazioni, i capitali di altri partecipanti all’ecosistema.
Serve, però, un collante che tenga insieme i molti e diversi contributi che devono integrarsi. Il collante saranno le relazioni collaborative tra le imprese che, pur restando autonome, investono sulla relazione, creando un rapporto di reciproca fiducia e di condivisione dei progetti da portare avanti.
Siamo entrati in una fase di instabilità che presenta rilevanti minacce ma anche grandi opportunità, per chi cerca di investire sul futuro.
Tuttavia la consapevolezza di quanto sta accadendo non ha ancora dato luogo a visioni condivise e consolidate del futuro possibile. Le imprese e le persone, per così dire, procedono “a vista”, adattando il loro posizionamento alle minacce o prendendo iniziative nei campi in cui intravvedono nuove opportunità.
È invece importante che il ribollire di questo melting pot sia inquadrato in una nuova cultura del fare impresa, coerente con il paradigma emergente. Soprattutto in Italia c’è bisogno di una visione delle cose orientata al futuro, e non inerziale, perché la tradizione italiana e le differenze distintive rispetto ad altri paesi vanno oggi non solo celebrate, ma anche re-inventate, in modo da renderle riconoscibili e apprezzate nel nuovo contesto globale in cui siamo chiamati ad abitare.
La frammentazione produttiva che caratterizza il nostro paese sembra un forte incentivo allo sviluppo di reti che consentano alle imprese di superare i limiti di azione connessi alla piccola dimensione, e alla scarsità di capitali e di capacità conseguenti. Ma questo è vero solo sulla carta. In realtà lo sviluppo delle reti o di altre forme di collaborazione tra imprese incontra una barriera importante nella cultura individualistica che caratterizza l’imprenditorialità personale, tipica del tessuto italiano.
Tuttavia le reti non nascono soltanto perché, da un punto di vista strategico, è utile metterle a punto. Se il futuro è incerto, e talvolta avvolto dalle nebbie, bisogna rendersi conto che le reti possono prendere forma e consolidarsi solo se rendono, ossia se sono in grado di generare un valore aggiunto per i partecipanti.
A cosa servono (davvero) le reti?
Non servono solo a razionalizzare il business esistente, aumentandone l’efficienza, ma mettono a fattore comune capacità, competenze e capitali adeguati, sommando le risorse di più imprese. La rete permette dunque di alzare l’asticella delle innovazioni che possono essere portate avanti, di velocizzare la loro realizzazione e di generare valore aggiunto.
Il sistema agroalimentare italiano offre numerosi esempi di come sia possibile valorizzare la specificità di un territorio (“italianità”) attraverso la tracciabilità dei processi produttivi, i marchi di origine e di qualità, la reputazione, la capacità non solo di stare sulla frontiera dell’innovazione tecnologica ma anche di presidiare i significati connessi al produrre e al vivere (estetica, sostenibilità, etica, ecc.). C’è ancora molto da fare, ma la strada è tracciata e le reti sono lo strumento più adeguato per mobilitare verso questi obiettivi le filiere produttive del “fare italiano” attuale, compresi i consumatori che selezionano e valutano le innovazioni produttive e semantiche che vengono loro proposte.
In questa pubblicazione e nella collegata iniziativa che si è svolta il 2 ottobre in Expo Milano 2015 promosse da GS1 Italy, si è cercato di rappresentare questa prospettiva di rafforzamento del sistema agroalimentare italiano, con contributi che vanno superano le contrapposizioni agricoltura-industria-distribuzione o piccola-grande impresa che spesso caratterizzano il dibattito pubblico. L'approccio che si propone è quello di far emergere i vantaggi di considerarle tutte parti essenziali di un sistema vitale e competitivo.
Da tutto questo sembra delinearsi una chiara direzione da seguire, utile per passare ai fatti:
- siamo un ecosistema aperto che supera la separazione produttori, trasformatori, distributori: riconosciamo la molteplicità necessaria dei diversi attori;
- l’ingaggio sistemico significa accordi pre-competitivi, piattaforme condivise, innovazione aperta;
- alla necessaria tracciabilità dei prodotti si aggiunge il valore della trasparenza delle azioni e dei processi che sono garanzie e sicurezza per i cittadini consumatori;
- la biodiversità è il valore italiano più potente, la ricchezza delle culture e dei territori sono assunti dai produttori, dalle industrie e dai distributori come prospettiva primaria;
- siamo nel tempo della disintermediazione: meno passaggi quindi e ognuno è necessario che aggiunga valore per migliorare l'efficienza complessiva del sistema.
Ed è in GS1 Italy - uno spazio di dialogo e di collaborazione - che nascono queste proposte. Come GS1 Italy ci proponiamo di svolgere un ruolo di facilitatore delle relazioni che precedono lo scambio non solo delle merci, ma anche delle conoscenze.
GS1 Italy agisce su terreni pre-competitivi con i progetti di condivisione delle informazioni e delle immagini di prodotto e con l’aggiornamento degli strumenti di gestione degli standard.
In questo contesto si inserisce il progetto Immagino, una soluzione di sistema che oltre a consentire di gestire, validare e condividere immagini e informazioni di prodotto, costituisce una product library di tutte le informazioni presenti sul packaging. Incrociando queste informazioni con i dati retail e consumer, consente di avere nuove metriche e nuove viste sui consumi alimentari degli italiani. Un patrimonio informativo a disposizione di tutti i componenti dell’ecosistema per rendere le scelte di acquisto e di consumo più consapevoli.
La visibilità diventa quindi parte integrante del sistema di relazioni che da filiera lineare si trasforma in ecosistema nel quale sono coinvolti soggetti ai diversi livelli, sempre più integrati tra di loro, e nel quale le informazioni prendono il sopravvento sui beni e sulle cose. La tracciabilità di filiera non è un processo governabile da un singolo, ma è basato sulle relazioni tra gli operatori e richiede il coinvolgimento di ogni singolo soggetto che ha contribuito alla formazione del prodotto.
Secondo lo stesso approccio e uno stile di lavoro basato sulla collaborazione, le aziende unite in GS1 Italy, sono impegnate sul fronte dei processi logistici. Un esempio di “nuova coscienza logistica” è Intermodability®, il progetto che ha riunito in una logica di sistema l’universo degli attori della filiera del trasporto intermodale.
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