Una cabina di regia per far salire le merci sul treno
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Come noto, fare trasporto via ferrovia non è né facile né di moda. I tecnicismi dell’ingegneria ferroviaria, le caratteristiche delle linee e la gestione del materiale rotabile rappresentano da sempre una fonte di complessità che a volta porta a costi elevati di erogazione del servizio e tempi incerti di resa: un ossimoro per i logistici.
Non è nemmeno tanto di moda, se confrontato alle altre soluzioni innovative quali i droni volanti di Amazon, i tricicli a pedalata assistita per la consegna in città o i “platoon autostradali” ossia un convoglio di tir in fila che seguono automaticamente e a distanza ravvicinata un mezzo leader in testa.
Nonostante tutto c’è ancora chi ci crede fortemente e chi con il treno sta rivedendo il proprio network distributivo. Indubbiamente il fattore trainante è la ricerca di efficienza ambientale, intesa come riduzione sia delle emissioni di CO2 che di altre esternalità generate dai trasporti su stradali quali la congestione e l’incidentalità.
A livello europeo il settore dei trasporti è fortemente orientato al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Libro Bianco UE che mira, fra gli altri, all'obiettivo di riduzione delle emissioni determinate dal settore trasporto del 60% entro il 2050 rispetto ai valori del 1990. Sintantoché questi obiettivi rimangono “lontani” (a Bruxelles) le aziende continueranno a prediligere le soluzioni più facili e più economiche, a meno che, come avvenuto per la raccolta differenziata dei rifiuti, non vi sia una Direttiva UE che nel giro di qualche anno diventi “mandatory”.
Per fortuna c’è chi decide di far salire le merci sul treno anche senza che vi sia un obbligo normativo: è il caso ad esempio del Porto di La Spezia, che genera oltre il 35% del flusso in uscita di container su ferrovia. Qui il fattore determinante è la carenza degli spazi portuali che viene superata grazie ad un’organizzazione maniacale di tempi di resa, tempi di sbarco e operazioni di carico/scarico con il treno a filo banchina.
Un altro caso è il distretto ceramico di Sassuolo, che attraverso i terminal ferroviari di Rubiera e Dinazzano consente la gestione di una quota significativa di flussi sia in ingresso (materie prime) che in uscita (prodotto finito). In questo caso, la vocazione ferroviaria è data dalla rilevanza dei flussi, dall’elevato rapporto peso volume e dalla concentrazione di tanti soggetti in un territorio circoscritto.
Tuttavia per poter offrire un servizio ferroviario continuativo, regolare e puntuale la massa critica dei volumi è una condizione necessaria ma non sufficiente: occorre anche una “cabina di regia” capace da una parte di aggregare la domanda, dall'altra di muoversi nel complesso mercato dell'offerta con competenza e proattività.
Un soggetto capace di assolvere al ruolo di “trustee” consolidando i traffici generati da più aziende presenti in alcuni bacini produttivi e garantendo una corretta gestione delle dinamiche di collaborazione orizzontale e così capace di offrire quelle performance di costo e servizio che renderebbero indifferente la scelta dell’intermodale rispetto al tuttostrada.
Questa è la strada intrapresa da ECR Italy che, ricevuto un mandato forte delle aziende produttrici di beni di largo consumo, sta lavorando all'implementazione di questo innovativo modello di business. Si tratta di una soluzione concreta per la conversione di un numero elevato automezzi pesanti in un set di servizi intermodali strada-rotaia lungo le principali dorsali di comunicazione della nostra penisola che verrà presentata il prossimo 15 aprile a Milano.