Il settore della moda è uno dei contesti più sfidanti in termini di sostenibilità, a causa dell'elevato volume di rifiuti che genera. La transizione del comparto verso un’economia circolare non è solo una scelta etica, ma una necessità strategica, spinta, da un lato, dalle pressioni normative e, dall'altro, dalla crescente sensibilità dei consumatori. Per sviluppare filiere realmente trasparenti, capaci di sostenere il passaggio dal modello lineare a quello circolare, è fondamentale il coinvolgimento del consumatore stesso e l’utilizzo di strumenti, come il passaporto digitale, per una condivisione delle informazioni certa e standardizzata.
A queste dinamiche nel settore moda è stata dedicata una delle sessioni del 2° workshop annuale di Loop Research Center del Dipartimento di management dell'Università di Verona, diretto dal professor Ivan Russo, con la presentazione di una ricerca sperimentale sulla trasparenza nella moda, e l'intervento di GS1 Italy sul tema del Digital Product Passport.
La ricerca “Trasparenza per una supply chain closed-loop”
La dottoressa Benedetta Baldi, ricercatrice dell'Università di Verona, ha illustrato i risultati della ricerca “Trasparenza per una supply chain closed-loop: uno studio sperimentale nel settore fashion” condotta da un team di ricerca all’interno di uno dei Lab di Loop, il Circular Supply Chain Management Lab, coordinato dalla professoressa Ilenia Confente. La ricerca si concentra sul ruolo cruciale della trasparenza per l'attivazione dei consumatori nelle supply chain closed-loop (le filiere a circuito chiuso) del settore della moda, caratterizzato dalla prevalenza del modello economico lineare in cui i prodotti vengono fabbricati, utilizzati e, al termine del loro ciclo di vita, scartati come rifiuto.
Tra i principi della transizione sostenibile c’è il passaggio dal modello lineare a quello circolare, il cui obiettivo non è smaltire, bensì recuperare il valore dei prodotti usati o scartati per reintrodurli nel ciclo produttivo. Questo si realizza attraverso pratiche come il riutilizzo, la riparazione, il ricondizionamento o il riciclo. Il passaggio da lineare a chiuso è cruciale, ma pone una sfida logistica e strategica: per recuperare i prodotti, l'azienda deve interagire con il consumatore finale, che non è più solo un acquirente, ma si trasforma in un fornitore (attraverso programmi di take-back o raccolta). In questo contesto di filiera closed-loop, la trasparenza emerge come la leva strategica fondamentale per incoraggiare la partecipazione attiva del consumatore-fornitore.
«La trasparenza si articola in due componenti distinte e complementari: la visibilità (che cosa avviene?) ovvero la capacità di identificare e ottenere informazioni su attività e processi operativi, e la tracciabilità (dove avviene?) cioè la capacità di ricostruire la storia, l'origine e il percorso seguito da un prodotto lungo tutte le fasi della supply chain» ha osservato Benedetta Baldi.
La ricerca è stata condotta con una metodologia quantitativa, basata su esperimenti con scenari simulati che hanno coinvolto 1.060 consumatori.
«Le evidenze raccolte hanno dimostrato che la trasparenza agisce indirettamente, innescando due effetti intermedi cruciali che portano all'attivazione del circuito chiuso: l’elevata credibilità del retailer e una maggiore percezione dei consumatori dell’efficacia delle proprie azioni di restituzione e riciclo. Questi due fattori si combinano per determinare l’attivazione dei consumatori closed-loop, cioè la loro maggiore intenzione a partecipare ai programmi di take-back» ha spiegato Benedetta Baldi.
Il nuovo linguaggio della supply chain trasparente
Se la ricerca del Loop Research Center ha chiarito il bisogno e l'effetto della trasparenza sul comportamento del consumatore, l'intervento di Micol Vialetto e Vittorio Giordano - rispettivamente Standard specialist e Industry engagement specialist di GS1 Italy - ha fornito la risposta sul come implementare tale trasparenza a livello tecnico e operativo.
Le normative europee, come il Digital Product Passport (DPP), impongono di collegare ogni prodotto a un set di informazioni digitali sulla sua origine, sostenibilità e autenticità.
Per fare questo, la filiera ha bisogno di un linguaggio comune e di un ecosistema di standard universalmente riconosciuti. Gli atti delegati che indicheranno nello specifico le informazioni che dovranno essere contenute nel DPP per il settore tessile sono attesi nel 2027.
GS1, attraverso i suoi standard, offre gli strumenti per garantire la tracciabilità e la condivisione dei dati di sostenibilità necessari per l’implementazione del DPP. Gli standard GS1 coinvolti in questo contesto sono:
- GS1 GTIN (Global Trade Item Number): il codice identificativo fondamentale del prodotto, essenziale per l'univoca identificazione del trade item lungo tutta la filiera e base di partenza per tutte le informazioni digitali.
- QR code standard GS1: permette di collegare in modo unico il prodotto fisico (identificato dal GTIN) alle sue informazioni digitali (il cuore del DPP), garantendo ai consumatori accesso immediato ai dettagli.
- EPCIS: consente di catturare e condividere dati precisi sugli eventi del prodotto lungo il suo ciclo di vita, migliorando significativamente la visibilità e la tracciabilità operativa, elementi essenziali come confermato dalla ricerca del Loop Research Center.
- EPC/RFID: identifica in modo univoco i singoli prodotti, cattura informazioni importanti come quelle per la movimentazione delle merci lungo la supply chain e le rende disponibili grazie alla radiofrequenza.
- GS1 GLN (Global Location Number): identifica e mappa in modo univoco gli attori della filiera e le loro sedi (sedi legali e operative, magazzini, ecc.).
L'adozione di questi standard garantisce l'interoperabilità dei dati e la correttezza delle informazioni che confluiranno nel Passaporto Digitale di Prodotto, fornendo le risposte certe e tracciabili che attivano la partecipazione del consumatore nella filiera circolare.