La superficie è piatta, il vento quasi non si sente: guardi il mare e pensi che sia tutto sotto controllo. E invece, sotto, le correnti corrono. La fotografia Istat (Istituto nazionale di statistica) del 2024 ci dice che la povertà assoluta è stabile: riguarda 2,2 milioni di famiglie (8,4%) e 5,7 milioni di persone (9,8%). Ma la calma apparente inganna: per capire dove andiamo, dobbiamo leggere le correnti, non solo l’onda.
Cosa significa entrare in acqua con la bussola giusta? Che non basta il numero unico.
La povertà è dinamica e multidimensionale: cambia con l’età, la geografia, la struttura familiare, il lavoro.
Nel Mezzogiorno l’incidenza tra le famiglie è più alta (10,5%) e nelle Isole cresce tra gli individui (13,4%). Tra i minori resta elevata: 13,8%, il valore più alto dal 2014. E nelle famiglie numerose l’onda è più forte: 21,2% tra i nuclei con cinque o più componenti.
C’è anche la profondità del disagio: l’intensità della povertà assoluta (quanto “sotto” la soglia cadono i poveri) è al 18,4% a livello nazionale; nel Mezzogiorno sale al 18,5% (dal 17,8%). È il segnale che, pur senza aumentare di numero, molte famiglie faticano di più a risalire.
Leggere la complessità vuol dire anche misurare il rischio di povertà, non solo chi è già oltre la linea. Se allarghiamo lo zoom, vediamo i “quasi poveri”: famiglie appena sotto o appena sopra la soglia. Nel 2024 le famiglie “sicuramente povere” sono il 4,9% e le “appena povere” il 6,0%: uno spazio stretto dove basta un’onda (un affitto che sale, un contratto che si interrompe) per scivolare giù.
Anche il luogo conta: nei comuni piccoli non periferici l’incidenza è più alta (8,9%); ma nel Mezzogiorno e al Nord sono i comuni di area metropolitana a segnare i picchi. E conta la forma della famiglia: monogenitori all’11,8%, coppie con tre o più figli al 19,4%. Lo stesso vale per la cittadinanza: le famiglie composte soltanto da stranieri toccano il 35,2%, contro il 6,2% di quelle di soli italiani. Non è una mappa unica: è un arcipelago di vulnerabilità diverse.
Eppure, in questa navigazione c’è una vela che aiuta davvero: l’istruzione.
Figura 1 - Povertà assoluta familiare per titolo di studio (2023-2024)
Il grafico con elaborazione dai dati Istat mostra chiaramente che dove cresce il titolo di studio, la povertà arretra. Se la persona di riferimento ha almeno il diploma, l’incidenza è attorno al 4,2%; triplica (12,8%) con la sola licenza media e sale al 14,4% con al massimo la licenza elementare o nessun titolo.
L’istruzione è un moltiplicatore di opportunità: apre lavori migliori, rende più robuste le scelte, riduce la vulnerabilità agli shock.
Per questo, dire “la povertà è stabile” non basta più. Serve un cruscotto che tenga insieme dinamiche diverse: età (minori esposti), territorio (Nord, Centro, Sud e Isole con traiettorie non sovrapponibili), tipologia familiare (più figli, più rischio), condizioni abitative (l’affitto pesa), cittadinanza. E serve guardare i passaggi di stato: chi entra e chi esce dalla povertà, quanto a lungo ci resta, quali soglie trasformano una vulnerabilità in caduta. Solo così le politiche diventano mirate e tempestive.
Il messaggio, allora, è attivo e non difensivo: non limitiamoci a galleggiare. Se mettiamo l’istruzione al centro (dall’asilo all’università, fino alla riqualificazione degli adulti) riduciamo l’esposizione alle onde e allarghiamo il margine di manovra. La povertà del 2024 sembra ferma, ma la corrente cambia chi colpisce e quanto forte. Con la vela giusta, si può virare. E trasformare il mare calmo apparente in una rotta.
