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Stefania  Boleso L’opinione di Stefania Boleso

Brand consistency: l’importanza di saper dire “no”

La regola numero uno è mantenere la coerenza per creare un’esperienza riconoscibile per il pubblico

Retail e brand Largo consumo

“The essence of strategy is choosing what not to do” (L’essenza della strategia è scegliere cosa non fare) – così scriveva Michael E. Porter, uno dei massimi esperti mondiali di strategia aziendale, nel suo celebre articolo “What is strategy?” pubblicato nel 1996.

Porter sosteneva che la strategia non consiste nel fare tutto, ma nello scegliere cosa ha davvero senso rispetto ai propri obiettivi. Fare scelte difficili, saper dire “no”, è ciò che consente di costruire un vantaggio competitivo sostenibile.

La stessa cosa vale anche per un brand.

Costruire un brand solido e riconoscibile richiede non solo chiarezza sull’identità e sui valori, ma anche sulla promessa che si vuole fare al pubblico. La vera sfida è dare poi vita a questa promessa in modo coerente attraverso tutti i touchpoint e le attività, scegliendo in maniera accurata cosa fare e cosa invece non fare.

Si parla di brand consistency per descrivere la capacità di un brand di mantenere coerenza nei messaggi, nei comportamenti e nell’esperienza offerta. La coerenza non è solo estetica o comunicativa, è strategica. Aiuta il pubblico a capire chi siamo, cosa rappresentiamo e perché dovrebbe sceglierci.

Come dice un altro famoso principio del branding: “Consistency builds brands, inconsistency destroys them” (La coerenza consolida i brand, mentre l’incoerenza li distrugge).

Facile a dirsi, più difficile a farsi. Viviamo in un mercato che ci bombarda con nuove tendenze, strumenti, canali, formati; ogni giorno spunta un nuovo must have, spesso presentato come irrinunciabile per “restare rilevanti”.

Qualche anno fa è stato il metaverso. Il termine nasce negli anni Novanta, ma la vera popolarità è esplosa nel 2021-2022, complice il rebranding di Facebook in Meta. Brand di ogni settore hanno investito in showroom virtuali ed esperienze immersive, in un entusiasmo collettivo poi rientrato, dopo un paio d’anni di sperimentazioni con risultati altalenanti.

Oggi la stessa dinamica si ripropone con l’intelligenza artificiale generativa: strumento straordinario, ma che rischia di diventare l’ennesima scorciatoia se non è integrato con una visione coerente di marca.

Si tende a dimenticare che la relazione brand-cliente è una sorta di “gioco a incastro”: da un lato c’è un cliente da sorprendere, coinvolgere, intrattenere; dall’altro c’è un brand con una sua identità, personalità e valori e una brand promise chiara. Puntare solo sul trend o sul canale del momento, dimenticando chi siamo, cosa facciamo e soprattutto perché, può anche garantire visibilità nel breve, ma rischia di produrre un collage incoerente di iniziative che mina la riconoscibilità e la fiducia, compromettendo il valore della marca nel lungo periodo.

La verità è che un brand non deve essere ovunque, ma solo dove ha senso, ed esserci in maniera rilevante. Per riuscirci serve un’attenta brand governance, con linee guida chiare condivise con tutte le funzioni aziendali, e la capacità di garantire coerenza cross-channel: retail fisico, e-commerce, pubblicità, presenza social, customer service, ecc..

Per questo serve il coraggio di dire no. Proprio come nell’educazione dei figli (per citare Asha Phillips e il suo “I no che aiutano a crescere”), anche i brand hanno bisogno di limiti chiari. Non per arginare la creatività, ma per incanalarla in scelte coerenti con la propria identità e con la promessa fatta al pubblico.

È solo così che si costruisce una marca capace di durare nel tempo, con un conseguente vantaggio anche economico.

Del resto, come si legge in un articolo di Forbes: Maintaining branding consistency creates trust, improves brand recognition and increases customer loyalty in every industry (Mantenere la coerenza crea fiducia, migliora la riconoscibilità del brand e aumenta la fedeltà dei clienti in ogni settore).

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