Netcomm Forum 2025 si è aperto e poi chiuso con una promessa ambiziosa: l’e-commerce italiano si appresta a vivere i suoi “prossimi 20 anni” in una dimensione dove l’impalpabilità dell’intelligenza artificiale e la dura realtà della logistica si intrecceranno sempre di più fino a formare un ecosistema potente e inestricabile. "The Next 20 Years in 2 Days" era il titolo di questa ventesima edizione dell’evento, un manifesto programmatico di un settore “nel mezzo del cammin di nostra vita”. Un e-commerce dunque di mezza età con crisi e opportunità conseguenti, di cui abbiamo già narrato su Tendenze la crescente consapevolezza di maturità, e quindi che punta meno sulla crescita del fatturato e più sull’efficienza logistica e finanziaria, il taglio dei costi e l’integrazione con il canale fisico, con un conseguente prudente approccio al futuro degli investimenti.
I dati finali erano ampiamente previsti dai sondaggi, per usare una metafora elettorale. Secondo i dati dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm - School of Management del Politecnico di Milano, il valore degli acquisti online in Italia raggiungerà i 62 miliardi di euro nel 2025, segnando una crescita del 6% rispetto all’anno precedente, e gli shopper digitali sono aumentati di un milione e mezzo, raggiungendo quota 35,2 milioni, quindi di poco meno del 5. L’e-commerce, sia pure con differenze notevoli tra settore e settore, rappresenta oggi circa l’11% di tutto il retail B2C di prodotti, in crescita di qualche punto decimale.
Chiaroscuri, come si dice. L’Osservatorio siti eCommerce italiani di Netcomm in collaborazione con Cribis presentato quest’anno, mostra che il 24% delle aziende esprime preoccupazione riguardo ai possibili effetti negativi di un'automazione eccessiva sulla propria capacità di innovazione e differenziazione. Paura del futuro ignoto, e di una automazione che si aggiunge ad altri cambiamenti non ancora del tutto digeriti, probabilmente. L’internazionalizzazione rimane una sfida per più del 54% delle aziende italiane, e la tempesta dei dazi USA non ha ovviamente facilitato il focus strategico per imprese, risucchiate dall’incertezza fiscale del day-by-day.
In questo quadro non propriamente esaltante, al Netcomm l’intelligenza artificiale si è presa di nuovo il palcoscenico dell’attenzione di fornitori e di (più prudenti) brand, come sottolineato da numerosi relatori sul tema e come testimoniavano i corridoi affollati dagli stand a tema. AI nell’advertising per facilitare il targeting e abbassare i costi, AI per produrre contenuti, dalle email ai video, perfino per personalizzare il sito mentre l’utente lo sta visitando. Oggi c’è una AI per qualsiasi cosa vi serva in uno shop online.
Passeggiando tra gli stand del Forum, le persone più senior avranno avuto un déjà-vu: demo di chatbot capaci di gestire centinaia di richieste simultanee, piattaforme di marketing automation che promettono customer journey "su misura", motori predittivi che suggeriscono prodotti “con una precisione chirurgica”. Se avete avuto dubbi sui loro predecessori degli anni Dieci, la risposta è che oggi è tutto diverso, perché potenziato dalla AI, ovviamente. Per esempio, Sidekick è un agente AI lanciato in Italia che si integra con Shopify per rispondere a domande, modificare siti web e analizzare report in tempo reale. Non servono più gli Excel e i web designer? Si vedrà.
Eppure, mentre i relatori raccontavano dei favolosi destini della AI, una sensazione mi si insinuava tra una presentazione e l’altra: quella di un marketing che rischia, senza accorgersene, di diventare prevedibile e ripetitivo. E anche, dal mio ristretto osservatorio, una sottile ansia attraversava le conversazioni non ufficiali, quelle dietro le quinte e nelle chat di chi guardava l’evento da remoto: e riguardava l’affidarsi troppo agli algoritmi, rischiando di smarrire la capacità di creare esperienze realmente memorabili, o troppo poco, con il rischio di diventare inefficienti e finire fuori mercato. Con una domanda inevitabile: se tutti adottano gli stessi strumenti, seguendo gli stessi modelli di automazione, che spazio rimane per la differenziazione?
L'intelligenza artificiale è nata per analizzare pattern, prevedere comportamenti, ottimizzare risultati. Più dati si raccolgono, più si affina la capacità di anticipare il comportamento medio. Ma è proprio nella media (mediocrità?) che si annida il pericolo: l’omologazione al principio del Ritorno sulla spesa pubblicitaria, o ROAS. E quindi il rischio (calcolato, in senso letterale) di campagne identiche nella logica sottostante. Percorsi di acquisto automatizzati fatti con lo stampino, capaci di guidare il cliente al checkout ovviamente “in pochi click”, ma apparentemente incapaci di lasciare un’impronta emotiva. Un’esperienza perfetta nei KPI, sterile nell’immaginario? Fatto sta che i KPI sono per loro natura misurabili, l’immaginario molto meno.
A voler leggere tra le righe, o tra gli stand, qualche indizio di questa tensione tra automazione e bisogno di relazione era visibile anche fisicamente. Passeggiando per il Forum, soprattutto a ore pasti, non si poteva non notare la presenza capillare del cibo: ovetti di cioccolato in teche trasparenti, pizzette, madeleine offerte dal padiglione di agenzie francesi, crêpe alla Nutella cucinate sul momento, con file perenni come in un mercatino regionale. L’anno scorso non c’era (mi pare) nemmeno l’ombra di uno snack; quest’anno sembrava che molti espositori avessero scoperto che a volte la conquista di un lead passa più per lo stomaco che per la tecnologia, AI inclusa. Evidentemente offrire gratis una madeleine tiepida resta uno dei gesti di marketing più potenti che esistano.
Potrebbe non essere solo una mia impressione, questa rivalutazione del rapporto umano in un’epoca di ottimizzazione esasperata: secondo i dati presentati al Forum, se il 40% delle decisioni di acquisto in negozio è influenzato dai touchpoint digitali, ben uno su quattro acquisti online è determinata dalla precedente esperienza in store o fisica, un momento del processo di acquisto in cui la relazione umana con il personale è ancora oggi critico, nel bene e nel male. L’esperienza reale, personale, fisica, “personalizzata da un rapporto personale” continua a giocare un ruolo decisivo anche nel customer journey più digitalizzato. Quindi, se dovessimo parlare per precetti: non basta personalizzare l’offerta ma serve costruire una relazione, non basta profilare un cliente ma serve creare ricordi nella sua mente.
Ogni innovazione tecnologica, dal telefono al primo sito web, ha portato con sé il rischio (o la percezione) di ridurre la relazione a un flusso freddo e funzionale. In molti casi ci siamo abituati come consumatori ad apprezzare l’efficacia della tecnologia, e a considerare di valore solo le interazioni personali che aggiungono uno strato di rapporto autentico, in cui l’empatia del brand verso il cliente risulti autentica per quanto possibile.
L’intelligenza artificiale può essere una leva straordinaria per costruire esperienze più coinvolgenti e per portare eccellenza funzionale in una scala mai vista. Ma tutto dipenderà da come verrà usata dal marketing: i dilemmi saranno capire fin dove scatenarla e quanto limitarla, a favore di esperienze, ogni tanto, magari meno perfette ma più umane.
Forse nei prossimi vent’anni dell’e-commerce non celebreremo più di tanto la perfezione di una raccomandazione di prodotto svolta da un commesso virtuale powered by AI. Ci sembrerà abbastanza normale. Ci ricorderemo di chi, in mezzo a un mondo di journey perfetti, avrà avuto l’ardire di offrire una crêpe alla Nutella.