Sono ormai lontani i favolosi anni dell’e-commerce a cavallo del capodanno del 2020 dell’e-commerce, in cui le cifre della crescita, viaggiavano sull’abbondante doppia cifra percentuale anno su anno, e nemmeno gonfiate dall’inflazione. Il 2024 è passato senza infamia e senza lode, con il solito fine anno salvifico trascinato dal continuo succedersi di festività commerciali accompagnate da un’intensa attività promozionale (back to school, halloween, singles’ day, e naturalmente black friday, che ormai si è espanso a varie settimane prima). Insomma, il 2024 non è andato male, nonostante i segnali di un’economia italiana non propriamente ruggente.
E ormai si sa, l’andamento dell’e-commerce segue quello del commercio, non fa più storia a parte, e bisogna accontentarsi. Ci si confronta agli eventi: chi ha finito l'anno a crescita sotto la media e chi sopra, ben sapendo che spesso è questione di settore più che di brand; se appartieni al comparto giusto, l’alta marea solleva anche la tua barca. Quello striminzito 6% di crescita del venduto online annuo, previsione dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – School of Management del Politecnico di Milano per il 2024 in attesa dei dati definitivi, è l’asticella sulla quale la comunità dell’e-commerce si raduna a Milano per il Netcomm Focus Digital Marketing, che è l’evento più verticale di Netcomm dedicato soprattutto all’acquisizione e alla colonna sinistra del conto economico.
Stupisce un po’ quindi sentire parlare tanto di efficienza, più che di crescita, ma, viste le premesse, fino a un certo punto. Del resto viviamo da qualche anno nell’incertezza permanente, e tagliare i costi è un modo per rimanere competitivi in un mercato stagnante. “Quello che è certo - ribadisce Roberto Liscia, presidente Netcomm, - è che l’e-commerce è stato sdoganato dal consumatore”, e pure troppo, aggiungerei io. Certo, la soddisfazione negli acquisti online è aumentata, perché il compratore è diventato più bravo a selezionare esperienze perfette, dall’alto della sua capacità di scegliere. Basta con i vecchi comparatori, sembrano dire, e anche un po’ meno Google, ora ci guardiamo le recensioni (e altri dieci tipi di touchpoint) e decidiamo da soli o usando ChatGPT. La penetrazione accelerata dei pagamenti digitali ha reso il pubblico più libero e consapevole di acquistare ovunque, online, offline, sui marketplace e capace di districarsi tra locker, corrieri, store e punti di ritiro. Insomma, un mercato più moderno, ma anche più esigente e, alla fine, più competitivo. Immagino che qualcuno in sala avrà pensato che si stava meglio quando si stava peggio (almeno a Net Promoter Score (NPS, un parametro di soddisfazione del cliente, ndr)). Per consolarsi, ci si guarda indietro: guardate come siamo cresciuti, indica Liscia ai marketer e-commerce in sala, mostrando il raddoppio dei compratori e-commerce, da 16 nel 2016 a quasi 34 milioni nel 2024. Un raddoppio che non sembra essere sulla strada giusta per verificarsi di nuovo.
Oggi il raddoppio sembra solo quello delle tempeste che arrivano sul mercato online come cicloni sulle coste dell’Atlantico: Tiktok che apre l’e-commerce e sigla una partnership con l’amico/nemico Amazon, lasciando i retailer a chiedersi se unirsi o no all’ingombrante carro, nuove intelligenze artificiali low-cost che fanno sognare di contenuti, testi, cataloghi, email personalizzate a costo zero. Ah, e i cookie, certo, “ormai sono morti” anche se in realtà sono ancora lì.
Nessuno fa molto caso ai cookie perché tutte le speranze, sia di targeting che di incassi (per i retailer almeno) sono rivolte al solito retail media, la pubblicità sul punto vendita digitale e no. Passa il tempo ma ancora le pepite d’oro non si sono viste, anche se un po’ di fatturato supplementare qualcuno l’ha ottenuto – lo dice Mediaworld in sala, e gli altri prendono nota. Il problema, ancora una volta, è che il retail media avviene al 75% – almeno oggi – su proprietà di Amazon. Ma i dati dei retailer sono importanti, e può essere che almeno creando questo link tra i dati dei retailer e la targetizzazione di brand, qualcosa di buono per tutti (e non solo per Amazon) ne venga fuori - Beintoo giura che la strada è quella. Lidl, protagonista del case study, sembra essere d’accordo.
Anche perché senza retail media (o forse e meglio, retail data) non si esce dal duopolio Meta e Google, e gli influencer non è che facciano vendere chissà quanto. Utili per raggiungere community difficilmente penetrabili, ma il ritorno dell’investimento rimane più che incerto, almeno sul fatturato. Mediaworld dice di avere aperto un hub apposta: in pratica un paese dei balocchi ad hoc per influencer tecnologici che possono andare di persona a provare (e filmare, e recensire) gli ultimi gadget del retailer. Poi c’è la TV connessa, grande speranza di link tra brand e dato, che però, di nuovo, riporta nelle braccia di Amazon, che ha di recente annunciato di aver collegato i dati di acquisto con l’advertising di Prime Video. E Netflix, un e-commerce, al momento, non se lo può permettere. Va bene il ritorno dell’upper funnel annunciato da Liscia, ma i video non portano click, sembrano pensare in sala gli e-commerce manager, valutati sulle vendite.
Alla fine cosa resta? Abbassare i costi, migliorare l’efficienza, appunto. Si chiamano Automazione e AI (acronimo di Artificial Intelligence - intelligenza artificiale). Ormai sfruttate tutte le possibilità di marketing automation fino a sfinire di mail i clienti, è l’AI a essere protagonista: la panacea è qui, dicono tutti. Ci farà risparmiare sui creator e gli influencer magari con la creazione di creator virtuali. Ci farà risparmiare su quella piaga aperta sui costi, chiamata customer service, attraverso chatbot di nuova generazione che stavolta non solo promettono di funzionare, ma addirittura di svolgere compiti più complessi che rispondere a banali domande sul catalogo prodotti o lo stato della spedizione - il nuovo loro nome è AI Agents. Ne sentiremo parlare, del resto i dati presentati dicono che danno più stelline nei feedback post chiamata alla AI che alle persone vere, nei dati di Indigo.ai, almeno.
E poi la AI si occuperà del sanguinante costo del piano editoriale social e advertising: ci creerà a costo quasi zero decine e decine, se non centinaia, di versioni di reel, tiktok, video e banner da dare in pasto agli algoritmi di advertising – anche loro guidati da AI addestrate sui miliardi di dati di comportamenti registrati da Meta, Google e TikTok – che promettono ROAS (Roas - return on advertising spend) - indice di redditività che misura l'efficienza degli investimenti pubblicitari, ndr) sempre migliori. Anche perché altrimenti il sistema di idee creative che Meta richiede – direttamente, ai presenti in sala – come prezzo per il successo potrebbe diventare complicato da gestire con veri creativi umani. Cos’è questo sistema di idee creative? È la strategia etologica delle tartarughine che corrono verso il mare: bisogna produrne tante perché pochi contenuti convertiranno, e lo scopriremo solo dopo che l’algoritmo avrà provato a inocularli nel nostro target, un po’ malandato dopo i colpi di Apple e GDPR. Sarà necessario produrre serie infinite di contenuti video in serie da testare sulle nuove campagne a target - appunto - algoritmico. E allora avanti con video made by AI in modalità low-cost, manna dal cielo per i budget di brand, e tempi duri per le agenzie che non si adegueranno.
E il metaverso? Territorio abbandonato o quasi. La platea si risveglia solo quando i numeri dei mondi virtuali come Roblox e Fortnite appaiono come nuove mete di advertising meno costoso delle solite piattaforme: vale la pena esplorarle? Anche qui, sembra che questi luoghi portino più awareness di brand che vendite a breve termine utili per far iniziare bene il 2025 ai budget. Si vedrà, la platea sembra avere cose più urgenti da affrontare.
Alla fine di tutto questo efficientare e automatizzare, nel pomeriggio sbuca il caso di WeRoad, che è un po’ il cigno nero in sala. Forte community, sogno proibito di ogni marketer, crescite a doppia cifra, espansione in vari mercati, perfino si è permessa di snobbare la SEO fino all'altro ieri. Alla fine per un attimo l’umanità rumorosa dei viaggi di gruppo, il passaparola che funziona, di Whatsapp in Whatsapp, e il modello di business chirurgicamente adatto al target contemporaneo riprende il centro del palco rispetto alla affannosa ricerca di un vantaggio competitivo basato su di una superiorità tecnica (AI, automazione, ecc.) che aveva contraddistinto il pomeriggio. Il vantaggio tecnologico però non può fornire vantaggio competitivo per sempre, ed è sempre riproducibile dalla concorrenza. Serve il brand, in chiave moderna, per distinguersi quindi e vendere più degli altri, ma servono le vendite per rimanere a galla e avere le risorse per creare brand e relativa advertising.
Il paradosso rappresenta bene la vita pericolosa dell’e-commerce manager.