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Facciamo fiorire il turismo delle radici

l'opinione di

Manuela Soressi

Possono l’isolamento e lo spopolamento di un territorio rivelarsi una sorta di bacchetta magica, che crea l’incantesimo di fermare il tempo e attira chi vuole viaggiare nel passato? Può un minus trasformarsi in un plus? È il coraggioso tentativo dei pionieri del turismo delle radici, a cui il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha dedicato il 2024, riconoscendone l'importanza per lo sviluppo e la rigenerazione dei territori e destinandovi nuove risorse per creare un’offerta strutturata e dedicata a un pubblico sempre più numeroso.

Il flusso di chi viene in Italia solo o anche per scoprire le terre dei suoi avi è in costante aumento: secondo l’Enit, nel 1997 coinvolgeva 5,8 milioni di visitatori, nel 2019 10,4 milioni (+72,5%). Oggi si stima che il turismo delle radici accomuni il 15% degli arrivi annui nel nostro paese. Ma il potenziale è ancora, in gran parte, inespresso: ci sono 80 milioni di discendenti degli emigrati italiani nel mondo, per un quarto concentrati in Brasile, ma fortemente presenti anche in Argentina (20 milioni) e Stati Uniti (17 milioni), seguiti da Francia, Svizzera, Germania e Australia.

A rendere interessante chi viaggia per scoprire le proprie radici non è solo il bacino di potenziale visitatori ma anche altri aspetti che lo pongono all’antitesi dei fenomeni più critici per il turismo di oggi, come l’overtourism e il mordi-e-fuggi. Innanzitutto si tratta di un turismo trans-generazionale (il 25% è composto da 25-34enni e il 24% da 55-64enni) e ben distribuito sia nell’arco dell’anno (ha solo un piccolo picco in agosto) sia a livello geografico. In secondo luogo è un turismo slow (sette giorni la permanenza media), curioso delle tradizioni locali (come sagre e feste patronali), molto interessato a interagire con gli abitanti e molto aperto a fare esperienze autenticamente italiane. E qui si apre il grande tema dell’indotto e del ruolo di importante motore economico che può avere per aree svantaggiate o marginalizzate.

Nel 2021 il turismo delle radici ha mosso un indotto di oltre 6,7 miliardi di euro. Ma ovviamente si potrebbe fare molto di più sviluppando progetti dedicati e avvalendosi anche dei fondi del PNRR, come i 5 milioni assegnati dal Ministero alla valorizzazione dei piccoli borghi e alla creazione di benefici riservati ai turisti delle radici, dai servizi tailor-made (come la ricerca genealogica e il reperimento negli archivi di documenti relativi alle famiglie d’origine) ai tour esperienziali (come scuole di cucina tipica, visita ai produttori artigianali o corsi di italiano).

Un ventaglio di attività che può rappresentare un volano importante e generare nuove opportunità di lavoro in zone considerate oggi “a rischio” e che si dirama in tanti settori, non strettamente turistici, come la produzione e la vendita di prodotti tipici locali, da spedire direttamente nei paesi d’origine di questi turisti. “Sistematizzando” e coltivando un target tutt’altro che trascurabile per il successo globale del Made in Italy. Ancora oggi i principali acquirenti dei prodotti alimentari tipici sono i membri delle comunità italiane all’estero, che con il turismo delle radici diventano anche i più appassionati e credibili ambassador (e storyteller) della bontà e dell’autenticità dei prodotti tipici italiani