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Trasporti, la decarbonizzazione possibile

Il 92% delle emissioni di CO₂ sono dovute alla gomma. Per abbattere l’impatto ambientale servono investimenti in tecnologia e comportamenti sostenibili

Festival svluppo sostenibile - logistica sostenibile

La mobilità è uno dei settori maggiormente coinvolti nella transizione sostenibile. Come riusciremo a modificare i nostri comportamenti e a utilizzare le nuove tecnologie a questo scopo? Cosa si sta facendo in Italia rispetto agli obiettivi specifici dell’Agenda 2030 dell’ONU, del Green Deal e del percorso indicato dall’Unione europea nei singoli comparti del sistema dei trasporti?

A questi interrogativi, Asvis , l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, ha dedicato il convegno “Sostenibilità in movimento. Il sistema italiano dei trasporti tra resilienza, decarbonizzazione e intermodalità” all’interno del Festival dello sviluppo sostenibile.

Una risposta obiettiva non può che partire dai dati e dalle tecnologie effettivamente disponibili.

Come noto la maggior parte degli spostamenti delle persone in Italia avviene su gomma (89,4%), seguita da ferrovia (7,3%), aereo (2,8%) e via mare (0,5%). Anche le merci viaggiano quasi tutte su gomma (84,4%), il 10% via mare e il 3,7% su ferrovia.

«Possiamo migliorare le criticità del nostro sistema dei trasporti se iniziamo a ragionare di intermodalità – afferma Alfredo Martini, segretario generale di Ais, l’Associazione infrastrutture sostenibili. Dobbiamo inoltre riuscire a guardare all’infrastruttura stradale con occhi diversi, non come un semplice nastro d’asfalto su cui passano veicoli inquinanti, e usare le soluzioni offerte dalle innovazioni tecnologiche per la riduzione dell’impatto ambientale». 

La sostenibilità nei trasporti può essere misurata attraverso diversi indicatori. Ennio Cascetta, presidente cluster tecnologico nazionale di Trasporti Italia, si sofferma sui due più facilmente quantificabili, decarbonizzazione e sicurezza stradale, per i quali l’Unione europea pone degli obiettivi di riduzione, rispettivamente: -40% di emissioni di CO2 al 2030 rispetto al 2005 e zero emissioni al 2050: -50% di morti rispetto al 2020 e zero decessi al 2050.

«Una sfida che equivale a una rivoluzione – spiega Cascetta – che si basa su tre innovazioni tecnologiche disruptive: la decarbonizzazione con nuovi vettori energetici, la guida autonoma e assistita dei veicoli e la digitalizzazione dei servizi per gli utenti del trasporto».

Decarbonizzazione, approccio Avoid shift improve

In Italia i trasporti producono il 27% delle emissioni di gas serra totali del paese e di queste il 92% sono imputabili alla gomma su cui si devono quindi concentrare gli interventi di riduzione dell’impatto. Cascetta osserva come ormai è condivisa la strategia di agire secondo politiche di Avoid shift improve, dove:

  • Avoid significa evitare gli sprechi (auto in che trasporta una sola persona, riequilibrare il rapporto tra il peso della vettura e i kg trasportati, evitare i viaggi a vuoto degli autocarri, ecc.).
  • Shift indica lo spostamento del trasporto dalla gomma a modalità meno inquinanti
  • Improve l’implementazione nel trasporto su gomma di vettori energetici alternativi a quelli fossili.

«Nel percorso di riduzione delle emissioni – osserva – bisogna però avere un approccio realistico e laico. Le emissioni dal pozzo alla ruota di un’auto dipendono dal modo in cui sono state prodotte le fonti di alimentazione (energia, idrogeno, benzina ecc.). Se l’auto viene alimentata con elettricità e idrogeno prodotti a partire da combustibili fossili, inquina di più di un’auto a benzina. Se elettrico e idrogeno provenissero invece da fonti rinnovabili allora l’impatto sarebbe zero, ma attualmente siamo ancora in una situazione ibrida. Quindi bisogna abbandonare il pensiero “elettrico uguale zero emissioni” e, per lo stesso principio, se la benzina è biodiesel inquina meno dell’idrogeno prodotto oggi».

Gli scenari possibili

Il cluster tecnologico nazionale di Trasporti Italia, in un recente studio sistematico sul trasporto su gomma in Italia, ha supposto la messa a terra di tutte le politiche Avoid shift improve previste nel nostro paese e ha ipotizzato due scenari tendenziali: nel più previdente ha immaginato che entro il 2030 le auto elettriche in circolazione saliranno dalle attuali 400 mila a 2 milioni e nell’altro, molto ottimistico, che si arriverà a 6 milioni di auto elettriche. Consapevoli che gli obiettivi dei due scenari siano irraggiungibili, ne hanno ipotizzato un terzo basato sul raddoppio al 2030 dell’uso dei biocarburanti soprattutto per le merci e sulla diffusione di comportamenti più sostenibili da parte delle persone (eco guida, eco driving, acquisto di auto di minore peso, ecc). «Con i due scenari tendenziali non raggiungeremmo il -43% di emissioni che ci viene chiesto dalla UE, alla meglio arriveremmo a -33% più facilmente a -15%. Se invece mettessimo in campo il terzo scenario, arriveremmo a centrare l’obiettivo europeo. Siamo altrettanto lontani dal raggiungere anche gli obiettivi sulla sicurezza stradale, quindi la politica deve ripensarli, e in parallelo è necessario digitalizzare le infrastrutture per ridurre i rischi e implementare la tecnologia di guida autonoma e assistita», conclude Ennio Cascetta.

A questo quadro d’insieme è stato completato dagli interventi dei rappresentanti di aziende e infrastrutture di trasporto, che hanno illustrato le azioni che stanno mettendo in atto per risultare più sostenibili, dall’intermodalità alle smart road (infrastrutture stradali che abilitano l'interoperabilità e la connessione tra loro e i veicoli di nuova generazione che le percorrono, ndr).

Il calcolo di Scope 3

A chiudere il convegno Federico Mittersteiner, operation manager di GS1 Italy Servizi, che si è concentrato invece sulle direttive europee di rendicontazione non finanziaria e in particolare sulla necessità di misurare la carbon footprint prodotta lungo la filiera di cui i trasporti sono una componente significativa.

«La CRSD (Corporate sustainability reporting directive) – afferma – porterà le grandi imprese, cioè quelle con più di 250 dipendenti e più di 50 milioni di fatturato, a dover rendicontare il loro impatto climatico ovvero a misurare secondo il GHG Protocol (Greenhouse Gas Protocol, uno standard internazionale per la contabilizzazione e la segnalazione delle emissioni di gas ad effetto serra, ndr) delle categorie di emissioni che prendono il nome di Scope 1, Scope 2 e Scope 3». Le prime due categorie riguardano le emissioni dirette dell’azienda e indirette derivanti dall’acquisto di elettricità, calore e vapore e sono relativamente facili da calcolare. Le difficoltà sorgono nel calcolo di Scope 3, ossia delle emissioni indirette che derivano dall’intera filiera produttiva. «Nel largo consumo rappresentano oltre il 90% delle emissioni totali – prosegue Mittersteiner – quindi sono la base per iniziare a lavorare a un vero piano di decarbonizzazione. A pesare di più sono l’acquisto di beni e servizi e i trasporti, è perciò importante trovare un modo efficace per misurare queste emissioni. Senza una collaborazione tra imprese questo sarà ancora più difficile e quindi stiamo lavorando per semplificare il dialogo tra fornitori e clienti. Presto presenteremo Ecogentra, il nuovo tool di GS1 Italy Servizi nato per facilitare la rendicontazione delle emissioni di CO2 da parte delle aziende italiane, e delle PMI in particolare».

GS1 Italy, attraverso tavoli tra operatori, ha delineato le informazioni base necessarie a produrre un calcolo affidabile della carbon footprint e le ha raccolte in manuali d’uso. In secondo luogo ha sviluppato una piattaforma per il calcolo della CO2 equivalente e la condivisione delle quote parti di calcolo da parte dei fornitori ai propri clienti che ne necessitano per redigere il report di sostenibilità obbligatorio. Nel caso dei trasporti vengono chiesti dati come tipologie di mezzi utilizzati, carico medio dei mezzi, km percorsi, ecc.

A cura di Jessika Pini

Nell’ambito del Festival dello sviluppo sostenibile di Asvis, GS1 Italy ha tenuto anche due corsi di formazione: