economia

Più lavoratori, ma più vecchi

L’occupazione è in aumento: più 520 mila occupati a novembre 2023 rispetto a novembre 2022. Lo indica l’Istat. Se però a crescere è soprattutto il numero dei lavoratori con più di 50 anni, si apre la questione della formazione dei lavoratori di domani

Tratto dal sito lavoce.info

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I dati dell’Istat

I più recenti dati sull’andamento dell’occupazione in Italia, pubblicati dall’Istat nella nota flash del 9 gennaio sono stati commentati positivamente in più sedi. E nello spiegare la dinamica del dato tendenziale si è fatto riferimento anche ai presunti effetti delle politiche messe in atto dall’esecutivo.

Il rapporto dell’Istat segnala una variazione di 520 mila unità nel numero di occupati di novembre 2023 rispetto al dato di novembre 2022. La variazione è principalmente concentrata tra i lavoratori dipendenti. Interessa tanto gli uomini, quanto le donne e tutte le classi di età, ad eccezione di quelle comprese tra 35 e 49 anni. Secondo il rapporto, il livello complessivo dell’occupazione è in continua crescita a partire dalla metà del 2020. In quel momento, in piena emergenza Covid, il numero totale di occupati in Italia risultava di poco superiore a 22 milioni di unità. Il dato più recente (novembre 2023) fissa l’occupazione complessiva poco sotto a 23,8 milioni di unità. Nel medesimo periodo, il numero di disoccupati è passato da 2,3 milioni a 1,9 milioni.

L’analisi dei numeri

Tutto bene dunque? E, soprattutto, le politiche dell’esecutivo sono efficaci e la dinamica dell’occupazione ne è una testimonianza?

Il dato sull’occupazione in crescita è sicuramente una buona notizia: una forza lavoro più numerosa ha effetti positivi sulla dinamica del prodotto dell’economia, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini economici e finanziari.

Una lettura più attenta dei dati, tuttavia, induce a essere meno precipitosi nell’attribuire alle recenti politiche in tema di occupazione effetti che ancora sono difficili da valutare. A questo riguardo, è utile fare riferimento alla figura 1, le cui informazioni provengono sempre dal rapporto dell’Istat. L’orizzonte temporale di riferimento, questa volta, è più lungo e non si limita a considerare quanto accaduto nell’ultimo anno. Al contrario, lo sguardo torna indietro fino al 2004 e ci permette di capire cosa è successo al livello dell’occupazione italiana nel corso degli ultimi venti anni.

Figura1_LaVoce_LavoratoriAnziani.pngFigura 1 – Livello dell’occupazione per classi di età. 2004-2023. Valori in migliaia di unitàFonte: elaborazioni da dati Istat (il dato 2023 è provvisorio).

Nella figura 1 la popolazione occupata è divisa in quattro gruppi di età: da 15 a 24 anni; da 25 a 34 anni; da 35 a 49 anni e oltre i 50 anni. L’immagine del mercato del lavoro che ci viene restituita parla soprattutto di una importante ricomposizione della forza lavoro occupata. Per un aumento di 1,2 milioni di unità occupate tra tutta la popolazione, il dato più evidente riguarda la dinamica degli occupati con più di 50 anni, che passano da 4,8 a 9,4 milioni, aumentando quindi del 95%. Nella classificazione proposta dalla figura, questo gruppo di lavoratori è diventato il più numeroso già a partire dal 2022. Il gruppo tradizionalmente più importante in termini quantitativi – quello dei lavoratori in età compresa tra i 35 e i 49 anni – ha imboccato un sentiero in discesa dalla fine del decennio scorso. Le due classi di età più giovani hanno anch’esse una traiettoria in calo; in particolare i lavoratori in età compresa tra 25 e 34 anni sono passati dai 6 milioni di unità nel 2004 a 4,2 milioni di unità nel 2023.

L’invecchiamento della forza lavoro

In buona sostanza, la forza lavoro occupata, insieme alla popolazion italiana, sta invecchiando. Le cause del fenomeno dipendono in parte dalle scelte riproduttive delle famiglie italiane, la cui fertilità è iniziata a calare a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, e dal progressivo passaggio delle generazioni dei baby boomers all’ultima classe di età presentata in figura, quella che comprende gli individui con più di 50 anni, avvenuta con il contestuale inasprimento delle condizioni per l’accesso al pensionamento.

Alla luce di queste osservazioni, dunque, l’aumento complessivo dell’occupazione – fenomeno peraltro comune in questi anni a molte economie sviluppate – nel caso italiano, sembra essere influenzato più dai cambiamenti strutturali nei comportamenti degli individui – in particolare l’aumento dell’età di pensionamento e la crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro – che dalle politiche volte a favorire l’occupazione o da un’economia in crescita. Detto per inciso, la possibilità che la dimensione della popolazione occupata over 50 continui a crescere in futuro è assai poco realistica, una volta che si rifletta sul fatto che i baby boomers che oggi gonfiano il gruppo di lavoratori più anziani stanno progressivamente transitando verso il pensionamento e a sostituirli ci saranno generazioni sempre meno numerose.

Le riflessioni sugli effetti dell’invecchiamento spesso riguardano il futuro e gli scenari demografici ed economici che troveremo tra qualche decennio. I dati dell’Istat sull’occupazione ci dicono invece che il tema dell’invecchiamento è già oggi all’ordine del giorno. Una forza lavoro che invecchia, ad esempio, possiede le competenze necessarie per affrontare i cambiamenti che la tecnologia impone ai metodi di produzione? I numerosi dati sul mismatch tra domanda e offerta di lavoro e le previsioni dei fabbisogni occupazionali nel medio termine inviterebbero a una riflessione più approfondita su questo tema, su quanto è stato fatto e quanto resta da fare per migliorare le politiche per la formazione delle generazioni che sono già in età di lavoro e soprattutto per quelle che vi entreranno nei prossimi anni. I numeri non stanno dalla parte dei giovani. Sarebbe forse importante che, almeno sotto il profilo della qualità della formazione, le prossime coorti di lavoratori potessero compensare con una produttività crescente un fattore quantitativo che necessariamente non giocherà a loro favore.

A cura di Carlo Mazzaferro - economista


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