Insetti, pensiamoli buoni (per le persone e per il pianeta)
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Quel che è buono da mangiare dev’essere, ancora prima, buono da pensare. La lezione di grandi antropologi, come Marvin Harris, è tornata di grande attualità grazie al vivace dibattito sugli insetti edibili, che appassiona da mesi l’Italia con posizioni contrapposte e divisive. Chi è ostile a questo tipo di allevamento punta sul disgusto profondo suscitato dall’idea di trovarsi nel piatto grilli, locuste o larve. Perlomeno in Italia, visto che nel resto del mondo oltre due miliardi di persone consumano abitualmente insetti e non solo per necessità ma anche per piacere. Anche in alcune parti d’Italia lo si faceva. Ma si parla di un passato temporalmente non troppo remoto (fino agli anni Sessanta) ma culturalmente distante da noi quanto il pleistocene.
Oggi per accettare il pensiero di mangiare insetti occorre superare le barriere imposte dalla paura e dalla diffidenza verso il nuovo da mangiare, che è nuovo anche da pensare, come dicevamo all’inizio. Questo scatto mentale viene ancora prima del piacere dato dal cibo, visto che chi si oppone agli insetti edibili solitamente non ha mai provato ad assaggiarli. E, quindi, si ferma al disgusto, senza passare dal gusto.
Non per tutti è facile accettare l’idea che occorra ripensare le tradizioni consolidate nei consumi alimentari per verificare se sono ancora sostenibili in un pianeta che si avvicina ai 10 miliardi di abitanti. Così come non è semplice sviluppare la consapevolezza che la tradizione (come la lingua) non è “nata imparata”, non è congelata né immutabile, ma è in perenne movimento. E che in quest’evoluzione sta la sua vitalità, quel quid che la rende sempre attuale, anche se le sue radici sono lontane nel passato. Questo processo non è agevole: lungo il percorso si incappa in criticità e problemi, nuovi da affrontare e complessi da risolvere.
Ma c’è sempre una scorciatoia: “delegittimare” questi temi, abbassandone il livello corporeo dal cervello alla pancia. Palesare pranzi in famiglia con immagini disgustose di vermi che girano nel piatto. Spaventare con i rischi di allergie ed effetti indesiderati. Sottolineare l’estraneità di questi alimenti alla cultura tradizionale italiana e alla sua cucina, considerata la migliore al mondo. Generare il sospetto che ci sia una lobby impegnata a inserire le farine di insetti in tanti prodotti alimentari molto amati (dalla pasta ai biscotti) a insaputa dei consumatori. Argomenti che colpiscono a livello emotivo, offuscando le ragioni oggettive per cui organizzazioni globali, come la Fao, ne stanno promuovendo e motivando un maggior uso anche nell’alimentazione umana, sostenendo studi e sperimentazioni per migliorarne le pratiche di allevamento e la sicurezza alimentare e per approfondirne l’impatto sull’organismo di chi non è abituato a consumarli. Ma quel che serve ora è anche studiare come superare le barriere culturali che chi guarda al passato mostra nei confronti di questi (e altri) alimenti del futuro.
Manuela Soressi è giornalista professionista, esperta di consumi e food & beverage, consulente di comunicazione corporate, autrice di saggi.