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Chi vuole riscrivere il calendario dell’ortofrutta?

l'opinione di

Manuela Soressi

“Signora mia, non ci sono più le quattro stagioni”. Anche nel mondo dell’ortofrutta è un dato di fatto. E non nell’accezione più ovvia che viene data a quest’affermazione. Non stiamo parlando, infatti, della disponibilità di frutta e verdura fresche praticamente tutto l’anno, anche in controstagione, grazie al mercato globale. Ma del cambiamento strutturale del calendario di produzione e della disponibilità commerciale di molti prodotti ortofrutticoli coltivati in Italia.

Gli sforzi effettuati negli ultimi decenni dai breeder (chi sviluppa nuove varietà agricole, ndr) e gli investimenti di molti produttori hanno portato allo sviluppo di nuove varietà non solo più robuste e produttive, con frutti più gradevoli e resistenti, ma anche capaci di anticipare e posticipare il tradizionale periodo di raccolta di ogni prodotto. Un cambiamento epocale per il settore, ancora non sufficientemente comunicato al consumatore finale.

Soressi_CalendarioOrtofrutta.jpg Eppure il tema è molto caldo e coinvolgente: secondo una ricerca di Sg Marketing oltre un acquirente su due sceglie che frutta o verdura comprare in funzione della loro stagionalità. Un valore che è secondo solo al prezzo. Evidentemente, gli italiani pensano di conoscere il periodo migliore per ogni produzione ortofrutticola. Ma è davvero così? Le fonti informative ufficiali e anche quelle dei paladini del “fresco e locale” sono generose di consigli sui prodotti migliori di ogni mese dell’anno. Ma, nella maggior parte dei casi, i calendari di produzione a cui fanno riferimento sono datati e non rispecchiano la realtà di oggi. Non includono, ad esempio, le eccellenti fragole “di nuova generazione” coltivate in Campania che si trovano in GDO già a dicembre, ossia circa quattro mesi prima rispetto al periodo a cui siamo abituati. E non considerano neppure i radicchi tondi, i più venduti in Italia, che vengono raccolti in Abruzzo anche nei mesi estivi e che ricevono il testimone da quelli classici, invernali, coltivati in Veneto.
Non trasferire al consumatore le evoluzioni (naturali) che ha vissuto negli ultimi decenni il mondo ortofrutticolo significa relegare queste innovazioni nelle categorie delle primizie. E dover anche inventare un neologismo per classificare le produzioni tardive (“postizie”?). Con il medesimo risultato di incasellare queste produzioni, ormai massive, nella categoria delle “eccezioni” anziché in quelle “della norma”. Togliendo valore a prodotti di cui il mondo ortofrutticolo va fiero ma di cui spesso il consumatore non percepisce il reale valore. Chi è pronto a riscrivere l’“agenda” dell’ortofrutta destinata ai consumatori finali?

Manuela Soressi è giornalista professionista, esperta di consumi e food & beverage, consulente di comunicazione corporate, autrice di saggi.