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Le sfide per la filiera Food & Beverage

I successi del settore agroalimentare saranno al centro del prossimo Forum Food & Beverage, insieme alle criticità e alle sfide che lo attendono. Due focus particolari sull’italian sounding e sulla sostenibilità per far fronte alla crisi alimentare globale

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Asset strategico chiave per la competitività del paese e in crescita dal 2015, la filiera agroalimentare italiana ha registrato nel 2021 un fatturato di 204,5 miliardi di euro (+3,8% sul 2015), con un valore aggiunto di 65 miliardi di euro (+6,2%), primo tra i principali settori del Made in Italy. Inoltre l’agroalimentare ha raggiunto nel 2021 un export di 50,1 miliardi di euro (+36%), con un solo anno di ritardo sull’obiettivo fissato a Expo 2015, e dà lavoro a 1,4 milioni di persone (+3,2%), di cui 483 mila nell’industria del Food & Beverage e 925 mila nel comparto agricolo.

È il quadro di sintesi che emerge dall’anticipazione del Rapporto The European House - Ambrosetti 2021 “La roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” che verrà presentato il 18 e 19  giugno alla sesta edizione del Forum, che vedrà riuniti a Bormio stakeholder e ceo delle imprese F&B e ragionerà su cinque temi portanti:

  • Impatto delle crisi contingenti sulle filiere e strategie per il loro rilancio.
  •  Italian sounding (annunciato un modello di analisi con dati aggiornati).
  • Opportunità di internazionalizzazione.
  • Sostenibilità e correlazione tra alimentazione, sport e salute.

Import-export

Numerosi sono gli spunti evidenziati dal position paper, ma al di là delle luci che brillano per tutta la filiera, vi sono ancora alcune ombre. Per esempio analizzando la bilancia commerciale si contrappone il surplus dell’industria agroalimentare con il deficit del settore agricolo, che nel 2021 si è ampliato di un ulteriore 1 miliardo di euro raggiungendo la cifra di 8,5 miliardi di euro.

Fig1_ForumFood&Beverage.jpgFigura 1 – Bilancia commerciale dell’industria Food & Beverage e del settore agricolo in Italia (miliardi di euro), 2010-2021Fonte: elaborazione The European House - Ambrosetti su dati Istat, 2022

Soprattutto ora che la guerra si è aggiunta prepotentemente alle crisi sopraggiunte contemporaneamente in questo periodo - pandemia, inflazione, aumento dei costi delle materie prime, rotture delle catene di approvvigionamento – gli impatti sull’import-export della filiera agroalimentare sono importanti, alla luce anche di una probabile crisi alimentare mondiale.

Pur non essendo rilevanti in assoluto sull’interscambio commerciale agroalimentare (Russia e Ucraina infatti valgono per 932,7 milioni di euro di esportazioni agroalimentari e 901,2 milioni di importazioni), i due paesi sono strategici in alcune filiere: in particolare l’Ucraina è primo fornitore di olio di girasole per l’Italia, primo fornitore di semi e secondo fornitore di mais e concimi per le coltivazioni, con pesi sul totale dell’import che vanno dal 15% fino al 63% (è il caso dell’olio di girasole, ingrediente chiave anche per alcune filiere di trasformazione). Gli impatti rischiano di diventare drammatici per esempio per la zootecnia per la carenza di mangimi o per l’industria dolciaria: la carenza di olio di girasole è stata inizialmente bilanciata con l’olio di palma, ma con il blocco delle esportazioni di questo prodotto dall’Indonesia, occorre sostituirlo con olio di soia e di colza ripensando alla catena di fornitura.

Rimanendo al tema dell’export, pur con la performance di 50 miliardi, la ricerca di The European House - Ambrosetti rileva che nel 2019-2021 l’incremento del 13,6% colloca l’agroalimentare solo al terz’ultimo posto nel ranking delle principali filiere italiane. Il paese è inoltre solo quinto in Unione Europea per valore delle esportazioni alimentari, pari al 65% dell’export tedesco e al 72% di quello francese. La performance dell’Italia non migliora guardando all’incidenza dell’export agroalimentare sul totale, il 9,7%, metà della quota spagnola e il 70% di quella francese. Spicca, peraltro, tra le destinazioni dei prodotti alimentari italiani, la Cina, che copre solo l’1,4% del totale, mentre ha una quota superiore nell’export di altri paesi come Germania e Francia. «È necessario fare meglio – commenta Valerio De Molli, managing partner & ceo di The European House Ambrosetti – perché le vendite all’estero hanno ancora un forte margine di crescita».

Le ragioni di questa sottoperformance sono per De Molli due:

  • La frammentazione del settore, che con una prevalenza di piccole e medie imprese con marginalità e propensione all’investimento inferiori a quelle grandi costituisce un fattore di freno per l’internazionalizzazione della filiera.
  • L’effetto dell’italian sounding.

Italian sounding e sostenibilità

A questo riguardo nel corso del Forum sarà presentato un modello di analisi elaborato da The European HouseAmbrosetti per la quantificazione aggiornata (il riferimento ancora utilizzato risale a una ricerca di dieci anni fa) del reale impatto dell’italian sounding sulla filiera, frutto di una survey diretta ai maggiori retailer internazionali (oltre 250 in dieci paesi).

In una sessione dedicata del Forum sarà infine presentata anche una ricerca dedicata alla sostenibilità della filiera agroalimentare, una sfida non più procrastinabile, visto che nel 2050 si prevede un aumento del 50% della domanda di prodotti agricoli, il che significa un maggiore sfruttamento del suolo e una crescita delle emissioni di gas serra, in presenza di condizioni climatiche già ora sempre più instabili e imprevedibili, con la siccità come fenomeno predominante. È necessario, anticipa lo studio, pianificare politiche e strategie strettamente fondate sulla sostenibilità, i cui punti di forza sono:

  • L’educazione alimentare promuovendo stili di consumo sano ed equilibrato.
  • La misurazione della sostenibilità.
  • La ricerca di soluzioni tecnologiche abilitanti della transizione sostenibile.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab