01. Comunicare i vantaggi della sostenibilità

Nella sua presenza capillare sul territorio, il retail è il settore più idoneo a sensibilizzare le persone ai vantaggi della sostenibilità e della transizione energetica. Ma è necessaria una ridefinizione delle pratiche sostenibili a beneficio dei consumatori

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Dopo gli anni in cui la sostenibilità era un tema per pochi, è cresciuta nella coscienza delle persone e delle aziende fino a diventare un tema che oggi è nelle agende delle istituzioni internazionali, delle imprese e dei cittadini. Ma il termine sostenibilità è stato spesso usato come un grimaldello per attrarre i consumatori e dopo le dure parole di Greta Thunberg a governi e organizzazioni per spronarli a smetterla con i bla bla e a prendere provvedimenti seri a contrastare la crisi ambientale, è il momento di fare i conti sui passi avanti compiuti e su quanto occorre ancora fare. Molto, anzi moltissimo.

Nove anni al 2030

Come prova l’ultimo Rapporto sullo Sviluppo Sostenibile di Asvis ci sono luci e ombre: rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2030, su 32 target quantitativi, in gran parte definiti dalla Ue, se sarà confermato l’andamento registrato, l’Italia potrebbe riuscire a centrare o ad avvicinarsi solo a sette: tra questi le coltivazioni biologiche, consumi di energia e tasso di riciclaggio dei rifiuti. Negative o decisamente negative appaiono le tendenze su ben 15 target quantitativi, tra i quali povertà o esclusione sociale, parità di genere nell’occupazione, emissioni di gas serra, qualità dell’aria.

«Mancano nove anni alla prima scadenza del 2030 fissata dall’ONU per arrivare alla carbon neutrality nel 2050, e saranno nove anni importanti per non perdere questa battaglia», afferma Paolo Mamo, presidente di Plef inaugurando l’undicesima edizione del Green Retail Forum, che si è concentrato sul tema dell transizione energetica. Un’edizione intensa che ha dato il senso dell’urgenza di cambiare passo, di dare sostanza e “scientificità” alle azioni fatte dalle imprese del retail e del largo consumo in uno sforzo collettivo di ripensamento della sostenibilità così come viene raccontata. «E il retail, in quanto settore con rapporti capillari con i cittadini più di qualsiasi altro, deve farsi carico del lavoro pedagogico e di sensibilizzazione nei loro confronti», sottolinea Mamo.

Non che il retail sia stato fermo in questi anni: lo provano i lunghi elenchi di iniziative e di attività (di Vegè, Despar, Conad, Coop, speaker del Forum ma esemplificativi di tutta la distribuzione moderna) messe in atto all’interno del grande contenitore della sostenibilità, tutte con risultati significativi.

Tuttavia oggi il contesto complica un po’ le cose: con l’acuirsi delle disuguaglianze e della povertà causate dalla pandemia, nonché della tensione sui prezzi delle materie prime, c’è il rischio che la volontà verso la tensione ecologica venga meno per le scelte tattiche ad adottare posizioni competitive improntate sulle promozioni e i primi prezzi. «È un atteggiamento contrario a tutte le dichiarazioni fatte di procedere verso la tutela dei cittadini, in contraddizione tra l’idea strategica della trasformazione per essere sostenibili e quella pratica del profitto di fine anno. Gli azionisti dovranno essere disposti anche a perdere profitti, perché, come afferma il premio Nobel  Giorgio Parisi, non c’è compatibilità tra Pil e lotta al cambiamento climatico», avverte Mamo.

Eccessi di semplificazione e benefit per i consumatori

È pur vero che sulla sostenibilità le imprese hanno preso una direzione che difficilmente potrà essere invertita, anche grazie ai 17SDGs (Sustainable Development Goals) dell’ONU che costituiscono un punto di riferimento per le azioni da intraprendere. «Sicuramente poter comunicare sulle tematiche della decarbonizzazione ha spinto le imprese a fare - sostiene Fabio Iraldo, ordinario di Management alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – ma come in tutti gli ambiti di comunicazione complessi con forte valenza scientifica, il rischio è un eccesso di semplificazione per poter convincere il consumatore ad acquistare un prodotto più volentieri. Per di più in un contesto in cui, pensando alla quantità di termini utilizzati dalle imprese per mettersi in gioco nella lotta al cambiamento climatico, la confusione è alta già dall’inizio». Per esempio, parlando di CO2 si mette l’accento quasi sempre sulla generazione di energia, ma l’Industria ha aree di miglioramento anche in processi produttivi, responsabili anch’essi di emissioni di CO2.

C’è una sostanziale difficoltà delle imprese a comunicare le prassi sostenibili, quali sono i vantaggi della sostenibilità proposti ai consumatori, al di là della loro responsabilità. Sono i temi affrontati da Laura Cantoni, partner Astarea che ha condotto un’analisi accurata sui siti di una ventina di retailer italiani, dove la sostenibilità non è valorizzata adeguatamente. Quando non compare nella barra principale viene inserita nell’area “Chi siamo. I nostri valori”, in fondo alla pagina, più spesso nel sito corporate che in quello commerciale. E nella maggior parte dei casi si dichiara l’impegno per la riduzione degli impatti sui processi interni, meno frequentemente assumono rilevanza le azioni legate ai prodotti e alla gestione della filiera. E i benefici dichiarati in associazione con le prassi sostenibili si riferiscono alla salubrità e alla qualità dei prodotti, sottolineando il value for money. Minoritaria è l’attenzione per il contesto esterno all’impresa.

La GDO appare invece protagonista nelle fratture sociali con azioni coerenti, come la donazione dell’invenduto alle associazioni. «Tutto quello che arriva al consumatore come benefit è però poco, non sposta la responsabilizzazione e non favorisce gli acquisti dei prodotti sostenibili che le aziende offrono. Siamo in presenza di pratiche non dette», sottolinea Cantoni.

Per questo la ricercatrice propone di ridefinire quattro macro concept in ottica di sostenibilità capaci di generare aree concettuali finalizzate ai benefici per i consumatori che si sviluppano lungo l’asse evoluzione-rassicurazione e l’asse cura-controllo. I quattro macro concept riguardano l’armonia, intesa come superamento delle microfratture della vita quotidiana, alla ricerca di un microcosmo pacificato (gestione rispettosa del mondo animale, aree relax nei punti vendita, valorizzazione delle nicchie artigianali); l’espressività con l’introduzione di elementi creativi e performativi che restituiscono un consumo non alienante (estetica del punto vendita, ricette per riutilizzare gli avanzi, favorire acquisti non compulsivi); l’empowerment come possibilità di ottimizzare le proprie risorse individuali, a seguito della salvaguardia di quelle esterne (prassi antispreco e per il riciclo, app di controllo degli acquisti, rete tra distributori e produttori per garantire qualità e controllo); il mantenimento in quanto tutela della permanenza degli oggetti e salvaguardia degli ambienti di vita e delle persone (prodotti senza sostanze chimiche, informazione sull’origine delle materie prime, sicurezza e controllo di filiera).

Figura 1 - Il sistema dei benefit per la sostenibilità nella GDO

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Fonte: Astarea, 2021

Quattro modelli di impresa

Posizionamenti strategici di alcuni retailer internazionali sono quelli individuati da Kiki Lab a livello internazionale con Ebeltoft Group nella ricerca Ki-Life, che ha coinvolto 15 Paesi, 12 settori e ha individuato 50 casi secondo quattro modelli di impresa, incarnati da altrettanti archetipi. «Ci sono i Pioneers – spiega Natalia Massi, senior consultant Kiki Lab – imprese nate da imprenditori visionari con un DNA forte e coerente con una visione a lungo termine, come Patagonia, che dal 1985 dedica l’1% del fatturato a iniziative per la salvaguardia del pianeta e dal 2002 ha creato un’organizzazione no profit per coinvolgere altre aziende in questa direzione. Il secondo modello è quello dei Focus driver, imprese focalizzate su criticità specifiche, che hanno nella ricerca& sviluppo, nell’innovazione lungo la filiera e nella comunicazione su tutti i touch point i punti forti. L’esempio è quello di Ecoalf, che dal 2009 ha recuperato oltre 700 tonnellate di plastica dagli oceani trasformata in capi di abbigliamento e che ha aperto recentemente in Italia il primo store. Gli Evolvers sono le imprese in evoluzione verso la sostenibilità, caratterizzate dalla capacità di evolvere in modo sostenibile e pragmatico, dotate di certificazioni, con progetti in grado di coinvolgere clienti e collaboratori. Come il discounter danese Rema 1000, considerato il brand più sostenibile, focalizzato sull’eliminazione dello spreco di cibo. Infine vi sono le aziende leader impegnate nella sostenibilità, i Transformation leaders, che alzano sempre più l’asticella, fanno educazione al cliente e perseguono l’inclusione a 360 gradi, come la francese Botanic, catena di giardinaggio impegnata, che dal 2008 ha abolito i pesticidi, propone piante da orto solo biologiche e adotta pratiche inclusive, con un indice di parità dei sessi tra i dipendenti dell’84%».

Il modello delle tre P, persone, pianeta, profitto, è quindi il filo rosso che collega gli esempi individuati da Kiki Lab. Ed è anche, pur con declinazioni diverse, la ragione della sostenibilità per Conad articolata su tre assi: ambiente e risorse, persone e comunità, impresa e territorio. Giuseppe Zuliani, direttore customer marketing e comunicazione di Conad, pone l’accento sui tanti fronti aperti (40 progetti riferiti a 12 dei 17 SDGs), in particolare gli interventi sulla logistica per il contenimento delle emissioni con l’intermodalità, la riorganizzazione dei Ce.Di., l’alimentazione dei mezzi che negli ultimi anni hanno consentito di risparmiare 100 mila tonnellate di CO2 equivalente e gli investimenti programmati nel prossimo triennio pari a 1,5 miliardi di euro, di cui due terzi per l’efficientamento energetico dei punti vendita. «Nel comunicare sostenibilità bisogna fare cose concrete, essere coerenti per costruire reputazione. Ma da soli la sostenibilità non si può fare. Alla base deve esserci una logica collaborativa con i fornitori, con il personale e con i clienti per costruire una cultura della sostenibilità. Ne è un esempio il lavoro che in 500 negozi della rete stiamo facendo sullo spreco alimentare in collaborazione con Last minute market e To good to go. È necessario creare un ecosistema nuovo che faccia leva sui molti aspetti della sostenibilità», conclude Zuliani.

a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab