02. Misurare la sostenibilità

Contro il greenwashing e per rafforzare il rapporto di fiducia con il consumatore bisogna disporre di dati affidabili per favorire scelte consapevoli, per la rendicontazione e per prendere decisioni

Gli strumenti a disposizione delle imprese per valutare e misurare le iniziative di sostenibilità sono diversi: si possono citare il Next Index, uno strumento di autovalutazione composto da 30 indicatori che consente di evidenziare strategie, posizionamento e comportamenti sostenibili adottati dai diversi soggetti in ambito sociale, ambientale ed economico. Oppure la piattaforma Ecomate indirizzata in particolare alle PMI, aziende ancora poco coinvolte nella transizione energetica (ma che dal 2026 avranno l’obbligo di rendicontazione), che consente di elaborare un rating ESG (Environmental, Social and Governance) unito a suggerimenti per migliorare le proprie performance.

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Di particolare aiuto è il il manuale “Misurare l’impatto climatico aziendale: come ottenere dati strutturati e affidabilità” recentemente pubblicato da GS1 Italy, un ulteriore strumento per promuovere la cultura della misurazione e il miglioramento continuo delle performance ambientali presso le imprese del largo consumo, in linea con i diversi standard di riferimento. «La difficoltà maggiore evidenziata dalle aziende - spiega Valeria Franchella, ECR project manager di GS1 Italy – è la raccolta di dati affidabili e utili per prendere decisioni. In questo caso per calcolare la “corporate carbon footprint”, parametro indispensabile per la qualificazione di prodotti e servizi, per il reporting e la comunicazione interna ed esterna. Il documento identifica quali dati acquisire, come normalizzarli, come risolvere eventuali gap informativi». Il documento prevede due tipologie di approccio, quello semplificato per la stima affidabile delle emissioni e quello completo per monitorare le emissioni nel tempo e valutare scelte di ottimizzazione.

Contro il greenwashing

La misurazione è tanto più importante in quanto tiene anche lontani da assolutismi e genericità  nelle affermazioni, che molto spesso confinano con il greenwashing e con le fake news. «Bisogna arrivare al consumatore dandogli possibilità di scelta la più chiara, razionale e semplice possibile», afferma ancora Iraldo. «Tutte le specificità di una filiera e del prodotto che origina devono poter essere valutate per capire dove agire per migliorare, se le azioni applicate sono efficaci, ma soprattutto per dare al consumatore lo strumento per scegliere. Io sono d’accordo con il relativismo, perché ogni cosa va tarata sulla specificità della filiera, del prodotto, dell’imballaggio. Ma occorre dimostrarlo. L’unico modo per combattere le fake news è con la scienza. Il consumatore apprezza gli indicatori, purché comprensibili, decisamente più dei claim generici e assolutistici. E apprezza quei prodotti che lo rassicurano sul fatto che se acquistati comportano un impatto ambientale minore di altri. Il problema è che guardando lo scaffale non si è in grado di dire se il prodotto è o non è green. Ci sono solo due modi: informazione e certificazione, ma con basi scientifiche».

Occorre fare presto e insieme. Il nuovo bollettino annuale dell’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite registra un tasso di incremento dei gas serra nel 2020 superiore alla media annua del periodo 2011-2020. E il trend continua nel 2021, cosa che porterà a un aumento delle temperature oltre gli obiettivi di 1,5-2 °C dell’accordo di Parigi. Per gli impegni non c’è più tempo. Bisogna agire.

a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab