Valore condiviso e valori dell’industria di marca
Il viaggio di Centromarca dentro il valore condiviso generato dalle imprese aderenti all’associazione e nell’impegno per lo sviluppo sostenibile nel momento in cui si gettano le basi per la ripresa e il rilancio dell’economia
A un anno di distanza dall’inizio della pandemia globale dichiarata dall’OMS e in una situazione perdurante di crisi sanitaria ed economica, Centromarca ha proposto un viaggio nel valore e nei valori della marca, dedicando un webinar al tema della sostenibilità e del valore condiviso generato dalle imprese grocery aderenti all’associazione. «All’industria di marca viene chiesto di diventare una casa di vetro per comprenderne i valori, conoscere le persone e le azioni a favore della tutela dell’ambiente, dell’equilibrio del territorio, dell’integrità del mercato, dell’equità nei confronti di fornitori e collaboratori, l’impegno per la sostenibilità ambientale e sociale», afferma Marco Travaglia, vice presidente Centromarca e presidente e amministratore delegato del gruppo Nestlé in Italia.
Althesys ha quindi condotto uno studio sulle ricadute socio-economiche delle industrie grocery di marca sull’economia italiana, volto a quantificare il valore condiviso, vale a dire “la capacità delle imprese di creare e distribuire ricchezza, benessere e occupazione oltre i propri confini, sull’intero sistema socio-economico”.
Il valore condiviso
Sono state analizzate 177 aziende dei comparti food, bevande, chimico, mettendo sotto la lente 180 bilanci aziendali (riferiti al 2019), informazioni da 50 aziende con questionari e interviste, fonti terze di settore, dati MEF e Istat, calcolando in 73 miliardi di euro il valore condiviso della specifica filiera, pari al 4% del Pil, di cui 12,1 miliardi di ricadute dirette, 40,6 indirette e 19,9 miliardi indotte. Rispetto al totale, 12,5 miliardi di euro sono generati con il ricorso a fornitori italiani, 16,2 miliardi nella fase di produzione delle industrie di marca, 1,3 miliardi con la logistica e 43,1 miliardi con i diversi canali distributivi (di cui 10,3 con la moderna distribuzione).
Figura 1 – Il valore condiviso nelle aziende Centromarca
Fonte: Althesys per Centromarca
Dei tre comparti, l’alimentare ha generato valore condiviso per 28 miliardi con uno stretto rapporto con agricoltura e allevamento, le bevande per 34 miliardi con una spiccata capacità di creare valore per la distribuzione e vendita, Ho.Re.Ca. in primo luogo, e il chimico per 11 miliardi, inferiore per peso ma con un rilevante contributo fiscale. «Si tratta di dati al di sopra della media dell’industria italiana – spiega Alessandro Marangoni, ceo Althesys – in particolare se consideriamo due indicatori. Il primo è la capacità di generare posti di lavoro: con oltre 750 mila posti di lavoro, per ogni occupato nella produzione stimiamo sette occupati nelle altre fasi della filiera e dieci considerando anche l’indotto. Il secondo aspetto significativo è la contribuzione fiscale. Con 0,64 euro per ogni euro di vendita, si tratta di 30,2 miliardi di euro, pari oltre il 6% delle entrate fiscali italiane del 2019: 15,9 miliardi di Iva, 11,8 miliardi di imposte e contributi sociali sul lavoro e 2,5 miliardi di imposte sul reddito delle società. La capacità della marca di creare valore condiviso è quindi un elemento concreto per il rilancio dell’Italia».
Il potenziale per la ripresa
Un rilancio che, a voler guardare il bicchiere mezzo pieno, si annuncia più rapido e consistente rispetto a precedenti crisi. Lo afferma Gregorio De Felice, chief economist Intesa San Paolo: «Quali elementi fanno ben sperare? La disponibilità dei vacciniin tempi così rapidi non era cosa ovvia all’inizio. Le politiche economiche, poi,sono state indirizzate nella giusta direzione. Infine, grazie ad esse non si è registrata un’ondata di fallimenti come nella crisi del 2011 e dal punto di vista finanziario lo spread è su valori inferiori a quelli pre-Covid. Vi sono però forti divergenze: le dosi di vaccino somministrate variano dal 27% negli Stati Uniti al 9% in Europa, alcune categorie di popolazione come giovani, donne, precari sono stati più colpiti i altre e l’intensità della ripresa è legata a nodi strutturali e alle riforme da fare».
Con queste premesse l’ufficio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo prevede per l’anno in corso un recupero parziale, con consumi ancora in contrazione e il mondo dei servizi in deciso ritardo: il primo semestre sarà ancora in bilico, ma dal terzo trimestre ci sarà una ripresa parziale, con un rimbalzo che porterebbe il Pil a +3,7%, «con un ritmo superiore al potenziale almeno fino al 2024(anche grazie alla diffusione dei vaccini, e alla spinta da Next Gen EU)», sottolinea De Felice. Il potenziale per la ripresa è contenuto nei risparmi delle famiglie e delle imprese. Se infatti l’extra risparmio delle famiglie del 2020 fosse speso, ne deriverebbe un impatto aggiuntivo sui consumi pari a 80 miliardi (il 5% del Pil). Quanto alle imprese il ricorso ai finanziamenti hanno messo a disposizione una massa di liquidità pari a 88 miliardi di euro, una vera e propria potenza di fuoco per un possibile cambio di passo degli investimenti. «Negli ultimi dieci anni – annota De Felice – sono cresciuti di 20 punti percentuali in Germania, ma in Italia sono diminuiti di 16 punti, vale a dire un gap di 128 miliardi di minori investimenti soprattutto immateriali: digitale, green, ricerca & sviluppo sono oggi le priorità per le imprese. E se sull’adozione di soluzioni digitali il cammino è ancora lungo, soprattutto per le piccole, medie e micro imprese, la sostenibilità è la più grande opportunità di crescita e di sviluppo per il capitalismo.
La produttività delle imprese manifatturiere sostenibili è superiore del 10% delle altre, i consumatori sono disposti a spendere di più e anche nella finanza la pandemia ha ulteriormente rafforzato la domanda di investimenti che tengano conto dei fattori ambientali, sociali e di governancesottolineando l’importanza di modelli di business sostenibili e resilienti. La sostenibilità, in sintesi, è una potente leva di crescita».
Fare sostenibilità e comunicarla
Certo di sostenibilità si parla molto di questi tempi, ma lo sforzo maggiore è uscire da quello che Carlo Alberto Pratesi, professore di marketing, innovazione e sostenibilità all’Università Roma Tre, definisce come il “ciclo di vita delle istanze del consumatore”, in un rincorrersi di attenzione, allarme, perdita o ripresa di interesse. «L’olio di palma, lo spreco di cibo oggi sembrano meno rilevanti perché il mercato si è rivolto ad altre emergenze, come le microplastiche, il packaging, il benessere animale. Così la comunicazione viene trascinata dalle istanze del momento», afferma Pratesi.
Per uscire da questo circuito, la ricerca condotta per Centromarca si è concentrata sulle comunicazioni ufficiali di 186 aziende dell’associazione (web, rapporti di sostenibilità, ecc.).
Il 74% comunica ciò che sta facendo nel campo della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Il 57% di queste aziende diffonde un bilancio di sostenibilità: è una percentuale rilevante se si considera che in Italia lo fa solo il 19% delle imprese (dato Istat, basato su dichiarazioni). Il 65% delle industrie che rendicontano dichiara i suoi impegni futuri, indicando obiettivi quantitativi misurabili.
Figura 2 – I principali indirizzi delle azioni per la sostenibilità
Fonte: Università Roma Tre per Centromarca
L’attività delle industrie di marca che rendicontano si focalizza attualmente su dieci dei diciassette Sdg (obiettivi di sviluppo sostenibile) individuati dalle Nazioni Unite: energia pulita e conveniente (55% delle aziende impegnate); consumo e produzione responsabile (48%); salute e benessere (46%); climate change (44%); tutela della risorsa idrica (43%); qualità del lavoro e crescita economica (43%); lotta alla fame (35%); parità dei sessi (35%); vita sulla terra (35%); partnership per il raggiungimento di obiettivi sostenibili (33%).
«Sebbene il 50% delle aziende campione siano impegnate nella sostenibilità ambientale, il 45% nell’area economico-aziendale e il 61% nella sostenibilità sociale, è importante raccontare quello che si fa. È necessario che l’impegno delle aziende abbia adeguata visibilità e risonanza e che, in connessione con il prossimo piano di ripresa e resilienza che ha uno dei pilastri proprio sugli interventi ambientali, le imprese ragionino sul lungo periodo e non rincorrano l’attualità, potendosi innestare su percorsi già avviati», conclude Pratesi.
A cura di Fabrizio Gomarasca @@gomafab