Macroeconomia del consumatore, sfide per le imprese
La lettura di Ref Ricerche dei consumi Non Food ai tempi di COVID-19
La prima metà del 2020 rappresenta per molti paesi il momento di massima contrazione dell’attività economica della storia, una volta esclusi i periodi bellici. Non è stata quindi una guerra… ma poco ci è mancato. Il crollo ha riguardato tutte le principali componenti della domanda aggregata, e in misura particolarmente intensa i consumi delle famiglie.
Il contributo di REF Ricerche all’Osservatorio Non Food 2020 fornisce alcuni spunti per una lettura della fase in corso, mettendone in evidenza le peculiarità rispetto alle fasi di crisi del recente passato.
In particolare, l’andamento più rilevante delle tendenze della prima parte del 2020 è che il crollo dei consumi non è dipeso da una caduta di entità analoga dei redditi delle famiglie. Esso deriva principalmente dall’aumento del tasso di risparmio, a fronte di redditi che hanno registrato una riduzione modesta.
La tenuta dei redditi, nonostante la gravità della crisi, è speculare al drastico peggioramento del bilancio pubblico, che quest’anno registra un deterioramento, di oltre 150 miliardi di euro. Sui conti pubblici si è difatti scaricata buona parte delle conseguenze della crisi, via caduta delle entrate, e per effetto degli aumenti di spesa, anche grazie all’ampio finanziamento degli ammortizzatori sociali.
L’equazione del lockdown è dunque “più risparmio privato = meno risparmio pubblico”
Più risparmio privato comporta, evidentemente, meno consumi da parte delle famiglie, anche a parità di reddito.
L’aumento del risparmio delle famiglie è riconducibile e due tipi di motivazioni.
Ha innanzitutto una motivazione di carattere normativo, ovvero legata alle restrizioni resesi necessarie per contrastare la diffusione dell’epidemia del Covid-19. È una sorta di risparmio forzato, legato al fatto che una serie di consumi semplicemente non sono possibili. Soprattutto nelle settimane del lockdown l’insieme delle voci di spesa tagliate drasticamente è stato molto ampio; per alcune componenti dei consumi vi è stato quasi un azzeramento della domanda (si pensi ad esempio alle voci legate alla mobilità, come gli acquisti di benzina o all’utilizzo di trasporti aerei e ferroviari).
In secondo luogo, ha anche una motivazione di carattere precauzionale. Ovvero legata all’incertezza sull’evoluzione dell’epidemia, e sulle prospettive del quadro economico generale, con tutto ciò che questo comporta per l’andamento del mercato del lavoro.
Per la prima motivazione gli effetti sui comportamenti sono relativamente semplici da descrivere, essendo di fatto legati all’evoluzione dell’epidemia e alle decisioni dei governi. Per una normalizzazione dei comportamenti di spesa occorrerà attendere allora che la diffusione del virus si esaurisca, vuoi per la disponibilità di un vaccino di massa o cure mediche efficaci, vuoi per un esaurimento della capacità di diffusione. Il tema qui è naturalmente quello dei tempi necessari perché questo accada; nel frattempo, dovremo continuare con questa difficile convivenza, con tutto ciò che essa comporterà riguardo agli effetti sull’economia.
Ma quanto pesa la seconda motivazione? E, soprattutto, quanto a lungo potrà ancora condizionare le scelte di consumo? Qui il tema non è tanto quello dei cambiamenti dei comportamenti nel breve periodo, ma quello degli effetti di lungo periodo. La risposta in questo caso è più difficile perché non conosciamo molto della reazione psicologica a una epidemia in economie moderne. Gli effetti possono essere anche persistenti se si innesca la percezione di un’elevata incertezza sul futuro, che scoraggia le decisioni di spesa più impegnative, che interessano un orizzonte temporale esteso, e ci porta verso stili di vita più frugali.
L’interazione fra vincoli normativi e percezione dell’incertezza ha provocato nel 2000 una caduta rilevante, ma anche una ricomposizione della spesa. L’andamento delle vendite al dettaglio evidenzia non solo impatti differenziati nelle settimane delle chiusure, ma anche ritmi diversi nella fase di uscita dal lockdown: a settori in pieno recupero se ne accostano altri ancora indietro nella ripresa.
Figura 1
* Dato disponibile a settembre 2020
Gli effetti macro sono quindi, per loro natura, molto differenziati se li decliniamo a livello settoriale. Il 2020 sarà difatti un anno con risultati economici divaricati a seconda dei settori. Conta non solo l’entità della contrazione della produzione, ma anche la velocità del successivo recupero. Inoltre, a fronte della caduta dei ricavi, è importante la capacità che le imprese hanno avuto di compensare le minori entrate abbattendo i costi: in questo caso un ruolo determinante è giocato dalla possibilità di un largo ricorso a strumenti come la Cig, oltre alla caduta dei costi dell’energia e al credito a buon mercato.
A ben vedere, quindi, a fronte di uno shock che ha investito tutta l’economia in maniera inizialmente indifferenziata, gli effetti a regime saranno molto diversi. L’evoluzione della domanda nei diversi settori produttivi analizzata nell’Osservatorio Non Food 2020 consente già ora di apprezzare significative differenze nelle tendenze di breve, ma il tema di fondo, per le imprese, è quello di andare oltre la contingenza. È importante riuscire a leggere la trasformazione produttiva, anticipando i cambiamenti strutturali per gli anni a venire.
Il problema che emerge in questi casi è quello del mismatch fra le caratteristiche della domanda e quelle dell’offerta: non sempre lavoratori e imprese sono nelle condizioni di adattarsi a questa trasformazione adeguandosi al nuovo contesto, o spostandosi da alcune produzioni verso altre. Questo può allora portare al paradosso dell’aumento della disoccupazione per i lavoratori che provengono dai settori dove la produzione cade, a fronte di problemi di carenza di lavoratori nei settori in crescita; allo stesso modo possono verificarsi chiusure di imprese in alcuni settori, senza che le imprese esistenti siano in grado di realizzare tutti gli investimenti necessari nei settori a domanda più dinamica.
Le sfide poste dalla crisi del Covid-19 non si esauriranno dunque in tempi brevi. Le imprese vincenti di questa sfida saranno quelle che sapranno adattarsi meglio e prima delle altre al cambiamento, trasformando questa crisi in una opportunità.