Dai prodotti alle persone nell’omnicanalità
Il convegno organizzato da GS1 Italy traccia la rotta per le imprese nell’arena dell’omnicanalità
Oltre i canali, oltre le categorie: le persone. In estrema sintesi è questo il messaggio giunto dai lavori del convegno organizzato da GS1 Italy il 20 giugno scorso, che ha voluto superare i luoghi comuni sull’omnicanalità e andare al centro della questione: come cioè il cambiamento nel percorso d’acquisto del consumatore stia cambiando i modelli di business delle imprese e con quali strumenti e soluzioni GS1 Italy stia supportandole in questo percorso di trasformazione. Una trasformazione, è il punto di vista dei relatori che si sono alternati sul palco del Piccolo Teatro Studio Melato, nella quale l’informazione la fa da padrona.
Innovazione di significato
Partendo dal consumatore, per Emilio Bellini - co-founder di LEADIN’LAB, leadership design and innovation lab, Politecnico di Milano - occorre cambiare il punto di vista e considerare i consumatori non un target da colpire, ma delle persone. «Nel fare innovazione ci si è da sempre concentrati sul risolvere dei problemi (come e che cosa), mentre ora bisogna pensare al significato delle cose, cercare il perché una persona, per esempio, visita un negozio. Passare cioè dal target al contesto. Per fare innovazione di significato occorre partire dai valori, quelli espressi dai consumatori, ma anche quelli dei manager e degli imprenditori. Si tratta di migliorare la vita delle persone, non di servirle», afferma il ricercatore.
In questo passaggio, difficile ma non impossibile, occorre pensare anche alle implicazioni delle tecnologie digitali (i big data, l’intelligenza artificiale, l’internet delle cose e la realtà aumentata), che consentono di stabilire empatia con le persone, invece che profilarle, interpretarne gli atti in maniera più ricca invece che analizzarli, sperimentare invece che provare. «Il processo dell’innovazione di significato – sostiene Bellini – consente, basandosi sulla vita delle persone, di cogliere i nuovi significati e proporre nuove soluzioni. E tra gli scenari dell’innovazioni di significato che riguardano il retail, superando l’esperienza in store (che risponde a come e che cosa) se ne possono individuarne tre: da visitare il punto vendita a stare nel punto vendita (per visitarlo può bastare lo smartphone), da efficientare il tempo a valorizzarlo, dalla fiction al prime time, rendendo le persone protagoniste».
Figura 1 – Il processo dell’innovazione di significato
Fonte: LEADIN’LAB Politecnico di Milano
La rilevanza dei valori
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Ken Hughes, autorità riconosciuta a livello mondiale per l’analisi del comportamento dei consumatori, che si concentra in particolare sui cambiamenti nella cultura dei consumatori. Il tema chiave, per Hughes, si riassume in una parola: rilevanza. «Se non ci si pone la questione di come essere rilevanti per i propri clienti e consumatori, non si avrà futuro» dice. Ma il problema si complica perché ciò che rappresenta il valore per i consumatori è cambiato negli ultimi 10-15 anni sotto la spinta del succedersi delle generazioni con esigenze e comportamenti sempre diversi. Mentre si sta affacciando la generazione Alpha, oggi convivono sei generazioni, dai baby boomers alla generazione Z, i nati dal 1995 al 2005: sono i nativi digitali e hanno un sistema di valori fondamentalmente diverso da chi è venuto prima.
Dal 2020 la generazione Z sarà il più importante gruppo di consumatori al mondo. «È una generazione che vive in un mondo di un solo clic e si aspetta che tutto arrivi nel momento in cui ne ha bisogno. Una generazione che non valorizza più il possesso materiale come quelle precedenti. Siamo passati da “tu sei quello che possiedi” a “tu sei ciò di cui fai esperienza”. L'equity esperienziale è diventata quindi un punto focale per la maggior parte dei marchi», spiega Hughes. Per questo se si colgono i valori delle persone si rimane rilevanti. Hughes suggerisce sette valori chiave che il consumatore moderno si aspetta dai marchi.
- Connessione sempre: nel retail dobbiamo prepararci al B2M, business to machine, ad avere sempre il commercio in tasca (con lo smartphone).
- Figital: i consumatori di oggi sono la prima generazione a crescere veramente in un mondo fisico/digitale. Per loro il mondo è sempre stato omnicanale. Il retail deve essere omnipresente, non omnichannel.
- Flessibilità: i marchi che pongono il consumatore al centro della loro strategia sono vincenti. Partire dal consumatore o dal cliente può sembrare ovvio, ma pochi marchi e aziende lo fanno veramente.
- Vocale: la voce è destinata a essere l’interfaccia dominante nella tecnologia e a diventare la principale interfaccia utente per i consumatori che interagiscono con i marchi e le imprese. Quali aziende hanno una strategia vocale? Cosa succederà quando gli scaffali digitali, dopo una ricerca vocale, si ridurranno a una o due opzioni? La voce è il prossimo passo avanti nella vendita al dettaglio e pochi sono effettivamente pronti.
- Weconomy: la prossima generazione di consumatori è tutta incentrata sulla condivisione, sull’economia dell’accesso, non su quella del possesso. Cercano anche la collaborazione con i marchi, in quanto si considerano anche loro stessi come un marchio. Il "consumatore collaborativo" è la chiave del successo futuro.
- Autentico: i consumatori vogliono comprare solo da marchi con i quali sentono una connessione, qualcosa di speciale, un marchio e un'azienda che rappresenti qualcosa, abbia uno scopo o condivida i loro valori. Occorre infondere "anima" nei marchi, in modo che i clienti sentano di poterne condividere la storia con i loro coetanei.
- Emotivo: le relazioni si formano attraverso la condivisione di esperienze emotive. Se vogliamo costruire la fedeltà al marchio, dobbiamo impegnarci con i consumatori usando l'emozione, coinvolgendoli, facendoli sentire qualcosa.
Ridefinire l’offerta
«Puntare alla connessione emotiva contiene grandi opportunità per rivisitare il proprio customer thinking», afferma Andrea Farinet, chairman del Socialing Institute e docente Liuc-Università Cattaneo. Ma è vero che questo paradigma, unito al superamento dell’omnichannel, investe il modello di business e il modello organizzativo delle aziende. «Bisogna superare una difficoltà aprioristica a confrontarsi con il fatto che, tolta la popolazione anziana, più della metà della popolazione ha digerito il processo digitale d’acquisto», commenta Edmondo Lucchi, media and communication insight strategist GfK. «Persiste, per motivi culturali, sociali, ergonomici, geografici, un aggancio preferenziale per il canale fisico, ma i canali vengono utilizzati in modo intercambiabile a seconda delle situazioni di acquisto e di opportunità. Anche dalle giovani generazioni, che non sono digitali e basta. Usano il buon senso».
Mettere il nuovo consumatore al centro pone i luoghi fisici, tuttavia, nella condizione di ridefinire la propria offerta confrontando i diversi comportamenti dei consumatori nell’online e nell’offline. «Vi sono alcuni punti fermi – sintetizza Romolo De Camillis, retailer director The Nielsen Company – e in particolare: l’infocommerce vince sullo showrooming, il fattore prezzo sta arretrando a vantaggio delle componenti di servizio e dei prodotti di qualità superiore, i bisogni più diffusi sono comodità, vicinanza, semplicità (nei pagamenti, per esempio, l’online ha un vantaggio che i punti vendita devono recuperare), con la rilevanza delle informazioni quale terzo elemento nella transazione prodotti-denaro si allarga l’ambito di competizione del retail superando l’idea stessa di canali. Ma il punto vendita conta sempre perché il 40% delle categorie acquistate non sono pianificate, il 63% dei clienti scopre i nuovi prodotti nel punto vendita, il 67% delle scelte di brand avviene nel negozio. Deve però cambiare il ruolo del punto vendita fisico: bellezza ed efficienza devono semplificare il percorso d’acquisto del cliente. Ma non bisogna sottovalutare il potere delle informazioni, l’analisi dei dati per comprendere i consumatori e migliorare l’offerta. I dati sono parte integrante dello scambio fra clienti e aziende e permettono di conoscere, raggiungere e servire meglio le persone nel lungo periodo».
Figura 2 – Profili di clienti online e offline
Fonte: Nielsen Consumer Panel. Anni terminanti a settembre 2016, '17, '18
Le aziende si muovono
Dal canto suo Luca Zanderighi, co-founder TradeLab e ordinario all’Università di Milano, ricorda che l’e-commerce ha una grande rilevanza nel settore Non Food:«Sul lato delle imprese, la crescita dell’online è intervenuta nei modelli di business. Nel retail Non Food ha imposto alle imprese alcune sfide significative. Ne ricordo tre: la logistica e la consegna, l’assortimento dei prodotti e dei brand, la gestione integrata del prezzo, sapendo che le persone acquisiscono informazioni su un gran numero di touchpoint».
Dal canto suo Marco Colombo, solutions and innovation director IRI, mette in guardia sui diversi comportamenti dei consumatori nei punti vendita fisici e nell’online. E lo fa mettendo a confronto le informazioni della banca dati Immagino e i dati IRI sul campione rappresentativo del canale e-commerce grocery. «Nel digitale – afferma Colombo – si riduce l’esposizione del consumatore ai prodotti rispetto allo scaffale, è un’esposizione più focalizzata, 70 volte meno che nel punto vendita e con lo smartphone è addirittura 650 volte inferiore, ma vi è un’interazione istantanea e una maggiore personalizzazione nell’atti d’acquisto, con una potenzialità più elevata nello spingere un prodotto specifico». Così i prodotti bio hanno un’incidenza doppia nell’online rispetto al fisico e italianità e qualità hanno un trend più dinamico nell’online che nel fisico: «Il consumatore online è più attento oppure c’è un forte intervento dell’algoritmo?», si chiede Colombo. E per quanto riguarda i nuovi lanci il canale digitale è più reattivo, in particolare nelle categorie più importanti.
Proprio le considerazioni sul nuovo, complesso e articolato percorso d’acquisto online e offline del consumatore hanno determinato la strategia omnicanale di Nestlé per Nescafé Dolce gusto basata sulla conoscenza del consumatore per una personalizzazione dell’esperienza attraverso la moltiplicazione dei punti di contatto e dei luoghi e occasioni di acquisto. «La sfida per i prossimi anni è soprattutto a livello organizzativo. Una strategia omnichannel richiede un nuovo modo di lavorare insieme e collaborare», chiosa Alessandra Carbone, e-commerce manager Nestlé.
Anche MediaWorld sta provando a cambiare la propria value proposition competitiva passando da un approccio di tipo transazionale (basato sul prezzo) ad uno relazionale, che interpreta la tecnologia come stile di vita e dà più valore all’esperienza: “dare potere alle persone fornendogli la tecnologia attraverso un approccio human to human”, si dice nella nuova vision dell’azienda.
«Non vendiamo solo prodotti, ma offriamo soluzioni. In tutti i nostri touchpoint – spiega Giuseppe Cunetta, chief marketing & digital officer MediaWorld – non lasciamo che sia solo il commesso a comunicare con il consumatore, ma gestiamo la comunicazione come brand di fiducia. E il direttore del punto vendita è oggi chief customer officer, perché la relazione è motivo della fedeltà. Abbiamo scelto di costruire il nostro vantaggio competitivo non partendo dall’esposizione delle aree fisiche ma dalla costruzione di relazioni durature. Avere messo insieme la creatività e la gestione dei dati in una prospettiva di marketing ha fatto la differenza. La grande sfida è quella di trovare i profili giusti a livello operativo con competenze che integrino commercio, digital, contenuti».
Anche Unes ha cominciato un percorso basato sull’interazione tra omnichannel, content e data strategy, come spiega Alessandro Barchetti, direttore marketing e comunicazione. In particolare l’impiego della tecnologia digitale è volta a migliorare le relazioni, a erogare servizi migliori e a sviluppare una cultura del cibo dando un numero maggiore di informazioni sui prodotti. Così la carta fedeltà diventa una app che man mano si arricchirà di contenuti e servizi. «Vi è anche una tecnologia nascosta per il prezzo dinamico – sottolinea Barchetti – che, utilizzando il GS1 DataBar®, le etichette elettroniche e un algoritmo messo a punto dalla startup Wasteless, consente il riconoscimento dei prodotti in scadenza e riduce il prezzo di vendita. In questo modo negli ipermercati Iper sono stati eliminati gli scarti e lo spreco di cibo, cambiando in meglio le abitudini dei consumatori».
Il GS1 DataBar è uno dei più recenti standard GS1, insieme a GS1 Digital Link, due evoluzioni del codice a barre e che dimostrano, come ha affermato Massimo Bolchini, standard development director GS1 Italy, quanto l’associazione continui a evolvere per rispondere in maniera efficace e innovativa alle nuove esigenze delle imprese di fronte alla sfide dall’omnicanalità, senza tralasciare le soluzioni per migliorare e relazioni con il consumatore.
Leggi l’Opinione di Massimo Bolchini
Per un’intelligenza di sistema
Un aiuto in tal senso arriva da GS1 Italy. «Con Academy e in particolare il Master in retail and brand management – afferma Silvia Scalia , ECR and training director GS1 Italy – siamo impegnati a formare queste nuove competenze. La nuova edizione di questo master in collaborazione con l’Università di Parma sarà fortemente improntata sui temi delle relazioni Industria-Distribuzione in chiave digitale e omnichannel. Conoscenze e competenze del settore a vantaggio della creazione di un’intelligenza di sistema fatta di processi condivisi replicabili e tavoli di lavoro su argomenti di interesse comune è la nostra mission. Un esempio è quello del category management omnichannel. Nella cultura ECR il category management è alla base del linguaggio comune tra Industria e Distribuzione. Ma oggi il contesto è cambiato e, come abbiamo visto, ci si sposta dalla merceologia al cliente. Cambia anche il modello di category management da categorie di prodotto a categorie di clienti e di bisogni. Il grocery ha una storia omnichannel che è tutta da scrivere, ma il modello ECR rimane rilevante».
Il concetto di categoria si amplia, così, integrando un’accezione che va dal prodotto al servizio completo offerto al cliente, dalla fase del preacquisto alla fase dell’acquisto, includendo il post-vendita, ossia l’intero percorso d’acquisto. In palio c’è ovviamente la fedeltà nel medio-lungo periodo.
Come sottolinea Antonella Altavilla, owner di ADF Consulting: «Questo nuovo approccio “omnicanale” anche nei processi di gestione delle categorie di prodotto rappresenta una grande opportunità, per soddisfare i clienti offrendo loro esperienze significative in tutti i touchpoint, ottenendone in cambio fedeltà nel medio lungo termine».
Scarica il book sul nuovo modello di category management, integrato con le novità portate dall'approccio omnicanale
Figura 3 – Il category management omnichannel
Fonte: GS1 Italy “Category management omnichannel: da categorie di prodotti a categorie di clienti e bisogni”, 2019
«Come associazione riteniamo di avere il compito di aiutare le imprese a sostenere questa transizione verso l’omnicanalità, fornendo quella che chiamerei la logistica dell’informazione, la capacità di rendere disponibili tutte le informazioni che sono necessarie per servire il consumatore», afferma Bruno Aceto, ceo GS1 Italy. Gli strumenti messi a disposizione dalla nostra associazione sono numerosi per mettere le imprese in grado di sviluppare una strategia omnichannel e di instaurare un rapporto senza interruzione con il consumatore.
«L’innovazione dell’omnicanalità riconosce ancora una volta il codice a barre come l’elemento essenziale per costruire quel legame fra il prodotto fisico e la sua dimensione digitale, sia in termini di prodotto che va sullo scaffale digitale sia in termini del legame con le informazioni che sono contenute nel prodotto. E dal codice a barre hanno origine le soluzioni che a vario livello consentono di scambiare dati, informazioni, immagini in maniera efficiente, rappresentando un elemento chiave nella digitalizzazione del sistema», conclude Aceto.
A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab
Photo credit: Oliviero Caronna
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