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L’innovazione digitale e i nuovi significati del punto vendita

Il Politecnico di Milano racconta di come la tecnologia stia trasformando il senso stesso del punto vendita, luogo più di relazione che di transazione. Ma c’è ancora molta strada da fare per passare dalla sperimentazione all’adozione delle soluzioni su tutta la rete.

Superata ormai la dicotomia tra offline e online nel nome dell’omnicanalità, la sfida per i retailer nella complessità della transizione verso la pienezza dell’era digitale è quella di capire quale cliente servire e come rispondere alle sue domande, ai suoi bisogni. Si tratta di riempire di nuovi significati il fare retail (e quindi il punto vendita), utilizzando nel modo più pieno e appropriato le innovazioni tecnologiche a disposizione per una customer experience coerente con ciò che il retailer vuole essere. E il negozio è al centro di ogni strategia.

È il punto di arrivo dell’ultima edizione dell’Osservatorio Innovazone digitale nel retail della School of Management del Politecnico di Milano che non a caso si è focalizzata sulle innovazioni nello store, analizzando l’attività in questo campo dei top 300 retailer italiani e mappando quello che fanno i maggiori operatori internazionali.

Ne esce un quadro che, nonostante la spesa in digitale sia cresciuta nel 2018 passando dal 20 al 21% degli investimenti complessivi, è ancora troppo bassa – l’1% del fatturato – perché risente inevitabilmente della frammentazione del tessuto distributivo italiano, che condiziona l’adozione del digitale e lo sviluppo dell’omnicanalità.

«Da un lato – spiega Valentina Pontiggia, direttore dell’Osservatorio Innovazione digitale nel retail – risulta più difficile avere le adeguate competenze e capacità di investimento per accompagnare questa trasformazione, dall’altro è necessario attivare un processo di adeguamento di soluzioni, nate principalmente per rispondere alle esigenze di grandi retailer. Per finire, l’elevata capillarità può favorire l’emergere di freni al cambiamento, per timore di cannibalizzazione».

Nondimeno, il 100% dei top retailer ha adottato almeno una innovazione nel front-end e il 91% almeno una innovazione nel back-end.

Figura 1 - Le priorità di investimento nell’innovazione digitale dei retailer italiani

Fig 1 The store of the future.jpg

Per i dati macro dell’Osservatorio rimandiamo a questo articolo già pubblicato su Tendenze online

Sulla non adeguatezza delle imprese mettono l’accento anche diversi commentatori della ricerca, che sottolineano le opportunità per l’adozione delle pratiche digitali. Per Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti, anche per il tessuto delle Pmi commerciali l’imperativo è portare la bottega nel futuro, tanto più che il panorama che si ha davanti è quello di una contrazione dei consumi e di un’esasperazione della concorrenza.

«Le imprese ‘fisiche’ devono trasformarsi – aggiunge Cosimo De Maria, direttore commerciale Di.Tech – perché il digitale  è nella logica delle cose, è dentro ciascuno di noi. Un aiuto nella disseminazione della cultura digitale nelle imprese può arrivare dalla fatturazione elettronica che sta digitalizzando l’area amministrativa per recuperare velocità ed efficienza».

E Andrea Ausili, data e innovation manager GS1 Italy ricorda quanto siano importanti le regole che il sistema del retail si dà all’interno per costruire innovazione da portare nel negozio e al consumatore: «Sono regole che servono anche per migliorare l’efficienza che a sua volta è decisiva per tamponare l’erosione dei margini e liberare risorse per lo sviluppo di nuove soluzioni. Occorre anche stabilire relazioni più strette con il consumatore basate sulla trasparenza sviluppando una cultura del dato e delle informazioni di qualità».

La gestione dei dati è il vero valore aggiunto delle innovazioni digitali. L’esempio concreto arriva da Miroglio Group che ha adottato le soluzioni RFId nei 170 punti vendita della catena Fiorella Rubino. «Si tratta – afferma Leonardo Raineri, innovation manager Miroglio Group – di una innovazione strutturale per la rete, non a fini di comunicazione, e costituisce un layer tecnologico di base su cui costruire altro, che consente di portare per esempio alcune logiche dell’online nel negozio fisico per valutare il comportamento dei clienti con metriche nuove. Per esempio possiamo rilevare i capi portati in camerino che non sono comprati, impensabile senza le  tag a radiofrequenza». Vi sono poi vantaggi operativi non indifferenti: una riduzione di quattro ore per ciascun negozio per il ricevimento della merce, l’inventario completato in 25 minuti invece che 8 ore, l’eliminazione delle pinze antitaccheggio che possono rovinare i capi. «Ciò che è importante è eliminare la cultura dell’alibi sull’innovazione», osserva Raineri che è a capo del Miroglio innovativo program, un programma che ha l’obiettivo di promuovere e facilitare l’innovazione all’interno dell’azienda.

Quattro aree di lavoro

Nonostante gli alibi e i condizionamenti, l’Osservatorio individua circa 100 progetti volti a far cambiare pelle al punto vendita, ampliando il suo perimetro d’azione, diventando “punto fondamentale per creare una relazione di valore con i propri consumatori, anche grazie all’utilizzo dei dati. In secondo luogo il negozio si integra, in ottica omnicanale, con gli altri punti di contatto per creare una vista unica sul cliente. Il digitale può dunque fungere da abilitatore dell’importante trasformazione chiesta al retail e innescare quel tanto atteso cambiamento di paradigma: da uno spazio inteso in logica transazionale e piena espressione di un orientamento al prodotto a un luogo più ricco e complesso, inteso anche in logica relazionale e dunque più orientato al consumatore”, scrivono i ricercatori.

Quattro sono le direzioni principali dei lavori in corso presso i retailer italiani:

  1. L’introduzione e lo sviluppo di innovazioni digitali (il 48% dei casi): self scannino da smartphone, carrelli smart basato sull’intelligenza artificiale, vetrine interattive.
  2. L’integrazione omnicanale tra negozio e iniziative digitali (63%): click & collect, rocker digitai e refrigerati, drive& collect, consegna in store d egli acquisti online.
  3. L’offerta di nuovi servizi (7%): consulenza personalizzata, aree gioco interattive.
  4. L’ideazione di nuovi format di negozio (10%): pop up store per la progetazione, in store e-commerce, shop in shop con chioschi digitali, negozi esperienziali.

Vivere momenti significativi

Secondo la ricerca dell’Osservatorio queste quattro aree di lavoro possono essere ricondotte a tre scenari di sperimentazione in grado di coniugare l’adozione di nuove soluzioni digitali con la proposta di nuovi significati dell’esperienza nel punto vendita: da ‘visitare’ a ‘stare’ in negozio per vivere esperienze sempre più ricche dal punto di vista relazionale, intellettuale, personale (Apple Town Square a Milano); da ‘consumare tempo’ a ‘valorizzare tempo’ attraverso servizi e attività ludiche, sociali e professionali (il flagship di Starbucks sempre a Milano); da ‘fiction’ a ‘non fiction’ in cui l’esperienza è data dal prodotto in un contesto di vita reale (i nuovi format ‘piccoli’ di Ikea). «Le persone – spiega  Emilio Bellini, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio – amano trascorrere un tempo sempre più ricco e più denso all’interno dei negozi, un tempo arricchito dalla possibilità di vivere “momenti significativi” in termini di relazioni, possibilità di imparare cose nuove, lavorare ai propri progetti professionali e personali. In questo caso le tecnologie digitali abilitano esperienze sempre più immersive e fluide, in cui l’accesso al prodotto è solo un pretesto per stare in negozio. In questo le tecnologie aiutano a svelare nuovi significati nei punti vendita».

Per il futuro l’85% dei retailer vuole potenziare l’investimento in innovazioni digitali in negozio, in continuità con il passato e con un coinvolgimento del visitatore costante rispetto agli anni precedenti. In particolar modo il 36% del campione è interessato a chioschi, totem e touch point e a sistemi per l’accettazione di pagamenti innovativi, il 34% a sistemi di sales force automation o di online selling in punto vendita e sistemi di cassa evoluti e mobile POS, il 33% a sistemi per l’accettazione di couponing e loyalty e il 31% a sistemi di indoor positioning. Il 70% dei retailer dichiara invece di voler concentrare gli investimenti futuri in soluzioni volte al miglioramento dei propri processi interni. Nello specifico il 34% del campione mostra interesse verso soluzioni di CRM, il 27% verso sistemi di tracciamento dei prodotti tramite RFID e sistemi ERP e il 25% verso sistemi di monitoraggio dei clienti in store e soluzioni di business intelligence analytics.

«Rispetto al passato, quindi, anche in Italia cresce l’adozione di alcune innovazioni (soprattutto a supporto dei processi di front-end in negozio) e aumenta la curiosità e la consapevolezza delle opportunità che la trasformazione digitale può offrire in termini sia difensivi sia di crescita – conclude  Pontiggia –ma permane ancora la difficoltà a passare da un piano teorico a uno pratico, dalla fase di sperimentazione all’implementazione su tutta la rete. L’assenza di un disegno strategico di innovazione, la presenza di un top management poco incline al cambiamento e la difficoltà nello sviluppare competenze e ruoli digitali rallentano ancora il processo di evoluzione del retail nel nostro paese».

 

A cura di Fabrizio Gomarasca

Il Politecnico di Milano racconta di come la tecnologia stia trasformando il senso stesso del punto vendita, luogo più di relazione che di transazione. Ma c’è ancora molta strada da fare per passare dalla sperimentazione all’adozione delle soluzioni su tutta la rete.