Il retail e i clienti situazionisti
La tredicesima edizione di Retail Innovations di Kiki Lab- Ebeltoft Italy indica alcune piste per leggere come il mondo della distribuzione stia elaborando nuovi concept che consentano di attrarre clienti più mobili, più fluidi, più liberi.
Che cosa è l’innovazione nel retail, un settore che nei passati cento anni ha innovato meno di quanto sta avvenendo negli ultimi cinque? Basti pensare che nel 1916 si faceva la coda alle casse esattamente come oggi. Una possibile risposta è quella di Stefano Ghidoni direttore cliente e innovazione Auchan Retail Italia: «Quella che migliora la vita al cliente».
Ma quale cliente? Nel mezzo della trasformazione digitale ci sono alcuni mantra, alcune parole chiave, che hanno accompagnato con sicurezza il retail negli ultimi decenni ma cominciano a perdere di significato ed essere sostituite da altre più in grado rendere conto della complessità di questa trasformazione. Una di queste è “il cliente al centro”.
«Siamo di fronte a clienti situazionisti – afferma Valente – che hanno cioè comportamenti d’acquisto diversificati secondo le situazioni in cui si vengono a trovare», Fabrizio Valente Kiki Lab - Ebeltoft Italy
Forte del costante monitoraggio a livello nazionale e internazionale con il contributo della rete di Ebeltoft Group di cui fa parte, Fabrizio Valente partner-fondatore di Kiki Lab, preferisce sostituire questo mantra con quello di “clienti al centro”. «Siamo di fronte a clienti situazionisti – afferma Valente – che hanno cioè comportamenti d’acquisto diversificati secondo le situazioni in cui si vengono a trovare. I clienti si spostano in funzione del continuo cambiamento della società, dei mercati, della competizione. Sta così emergendo un nuovo mantra, che ci accompagnerà sempre di più: quello di un approccio bifocale alla centralità dei clienti, con uno sguardo sul presente e sul futuro».
È da questo nuovo mantra che prende le mosse la tredicesima edizione di Retail Innovations, la ricerca che Kiki Lab con Ebeltoft Group effettua in maniera continuativa, analizzando i casi in 30 paesi per enucleare le linee di forza lungo le quali si sviluppa l’innovazione. La duplicità che contraddistingue la nostra epoca di transizione emerge con chiarezza dal discostarsi da un mainstream che ha caratterizzato il marketing nella sua evoluzione. Così ci sono tendenze e controtendenze. Come il downsizie e l’upsize. «Ci sono i big box, i category killer di una volta, che si concentrano, si ridimensionano (o chiudono, come Toys”R”Us).
Ma ci sono anche i piccoli specializzati che crescono, i piccoli negozi che diventano grandi superfici», spiega Valente.
Così abbiamo i casi di Decathlon che nel 2017 ha aperto due nuovi punti vendita da 400 metri quadrati in città, dove il focus è sui prodotti best seller, sull’impulso, sul food & beverage per sportivi, spazi che fungono da punto di ritiro degli ordini online e dove al mattino presto si propongono lezioni di fitness.
Ikea ha invece aperto a Madrid un pop-up store di 900 metri quadrati (contro una superficie media di 28 mila) per sei mesi dedicato interamente alla camera da letto, caratterizzato da un visual merchandising minimalista, ma attrattivo e funzionale, dove è possibile personalizzare i prodotti con simulazioni digitali ed esplorare il catalogo sui numerosi schermi, fare il clicca e ritira, concordare un appuntamento con il personal shopper. Nei primi sei mesi è stato visitato da 240 mila visitatori, è stato prorogato fino al 2019 con una rotazione dei “mondi”. E sono previste nuove aperture.
Gli esempi continuano con Barnes & Noble che riduce la superficie dei punti vendita e si concentra sul DNA originario (i libri), per dare una migliore leggibilità dell’offerta, ma soprattutto dedica maggiore spazio e profondità all’area ristoro, con la cucina e un menu più ampio, cibi freschi, vini e birre artigianali. Media Markt, invece, nel digital store di Barcellona (360 mq + 250 di magazzino) si concentra sui servizi (ne propone duecento) e sulla cross-canalità con il clicca e ritira e consegne in 90 secondi di prodotti presenti in magazzino grazie all’ausilio di robot. Con risultati di tutto rilievo: le vendite online nel quartiere sono aumentate del 300%.
Tra chi si ingrandisce, ci sono le esperienze della canadese Indigo (leggi Emotional Retail) e della tedesca Rose Bikes, che ha realizzato un flagship di 6 mila metri quadrati iperfisico e iperdigitale, dove la personalizzazione va dai telai alle scarpe ai sellini, dove si può co-progettare la propria bicicletta visualizzandone il modello in 3D, dove provare gli occhiali nel tunnel del vento per adattarli al proprio viso. C’è anche il flagship Nike a Soho New York: 5100 mq su cinque piani, nato per provare le sneaker dal vivo, giocando a basket (con i commessi), facendo running o esercizi test, con la possibilità di farsele personalizzare in un ambiente coinvolgente e digitle, e accedere a contenuti e informazioni sui campioni e le squadre più seguite.
Quattro aree chiave
Come in ogni edizione, Retail Innovations consente di posizionare su una ideale mappa i casi individuati, secondo un incrocio tra le aree chiave e ventiquattro tendenze complementari in modo da cogliere le principali direttrici dell’innovazione. O, meglio, delle innovazioni.
Le quattro aree chiave sono:
- Smart shopping.
- Responsibility.
- Interaction.
- Emotional retail.
Smart shopping è il retail intelligente, furbo, pratico, ma anche elegante e bello, empowered dal digital e dalla cross-canalità che consente processi fluidi e negozi di piccole dimensioni grazie all’e-commerce. «Grazie alle tecnologie il processo d’acquisto risulta sempre più fluido. I clienti vanno quindi lasciati liberi di utilizzare i canali come e quando vogliono, tanto più che quelli multicanale sono i più alto spendenti», commenta Valente.
Alcuni grandi player l’hanno capito. Alipay, con 520 milioni di clienti attivi, è per esempio al centro dell’ecosistema Alibaba che da piattaforma di pagamento per l’e-commerce si è trasformato in strumento per i pagamenti con lo smartphone successivamente integrato con servizi di lifestyle. Afferma Pietro Candela, head of business development Alipay Italia: «Alipay è oggi una super-app nella quale il pagamento è l’atto finale di un percorso più lungo che contempla un ampio spettro di servizi. Con l’ingresso in Italia, come primo paese europeo, Alipay è un elemento di attrazione per i turisti cinesi, il 91% dei quali vuole pagare con Alipay e per gli oltre 300 mila cinesi residenti in Italia, di cui una parte di studenti che hanno necessità di trasferimento di denaro con la Cina. Alipay diventa in questo modo una piattaforma di engagement per i negozianti che hanno a disposizione una serie di strumenti per aumentare il traffico instore attraverso la georeferenziazione e il marketing in tempo reale.
Il tema della Responsibility si sta imponendo in tutte le sfere dell’economia e certamente anche nel Retail. Farmdrop è una piattaforma online di consegna a domicilio di prodotti freschi coltivati nel raggio di 240 chilometri. Gli oltre 100 agricoltori, allevatori, pescatori e produttori locali aderenti ricevono una quota pari al 75% del prezzo di vendita, circa il doppio di quello che paga la GDO. Il raccolto dell’ortofrutta avviene solo dopo l’ordine, con una consegna entro 19 ore, o prima con un sovraprezzo.
Interactions è invece la valorizzazione delle relazioni e interazioni funzionali ed emozionali con i prodotti, con i clienti e con le community che esistono o si possono stimolare a creare. Le persone da spettatori diventano protagonisti sullo stesso piano dei retailer e possono diventare ambasciatori dell’insegna. Per esempio B8TA di San Francisco (che ha vinto l’Ebeltoft Retail Innovation Award), è un concept che dà l’opportunità ai clienti di scoprire una selezione delle ultime novità del mercato, soprattutto nell’area tech. I produttori hanno a disposizione uno spazio (in abbonamento mensile, il ricavato delle vendite è tutto ad appannaggio del produttore) per testare le novità presso un pubblico di appassionati e di ricevere suggerimenti e commenti argomentati per possibili miglioramenti. Quattro le aree principali: home, play, sense e move.
Emotional retail è invece la capacità dei negozi di sfruttare la fisicità delle interazioni con i prodotti e le persone per generare emozioni positive e magari sorprendenti, aiutando l’insegna a diventare un brand top of mind. I casi di Ikea e Nike già citati ne sono un esempio. Così come Fabled by Marie Claire a Londra, un concept esperienziale e cross canale che sfrutta l’autorevolezza della redazione giornalistica del periodico per raccontare i prodotti, la cui vendita online è affidata a Ocado. «I retailer si trasformano in content provider e i media diventano retailer», annota Valente ricordando anche il caso di Time Out a Lisbona, un centro commerciale dedicato al food & beverage.
Relazioni più trasparenti
Filo conduttore comune di tutti i casi selezionati dalla ricerca (sono 44 in totale) è la cross-canalità favorita dall’utilizzo delle tecnologie digitali, che consentono di reinterpretare il modo di fare commercio: un retail reso fluido, flessibile e liquido dal digitale. Con una fortissima componente di personalizzazione. Ormai il digitale è un asset strategico così come lo sono le location e soprattutto l’assortimento. «L’online e l’offline sono destinati a convivere perché entrambi si pongono il tema di come ibridarsi, di come integrarsi. Purché si faccia a parità di condizioni». Lo afferma Marco Pedroni, presidente di Coop Italia che, ripercorrendo la storia di Coop, individua nella capacità di reinterpretare i propri valori attraverso i rapporti con i consumatori un fondamento dell’innovazione. A ben guardare è una nuova declinazione della fiducia incondizionata. Prosegue Pedroni: «Una elaborazione valoriale nell’immediato non porta reddito, ma autorevolezza. Per questo c’è bisogno di un rapporto più trasparente con le persone da parte del retail. C’è un confine che separa uno scenario virtuoso post consumistico che premia la sobrietà, la qualità, l’accessibilità, la sicurezza e uno scenario involutivo di neoconsumerismo pauperistico, che potremmo definire di “discountizzazione”, dove la ricerca di bassa qualità e basso costo apre le porte a compromessi sulla sicurezza alimentare. Occorre aprirsi, dare informazioni corrette su origine, ingredienti, contenuti dei prodotti. Perché i due terzi delle informazioni reperite nel web sono errate o incomplete. Ma c’è ancora troppa resistenza nelle imprese a fare questa azione di educazione, che non è, si badi bene, un fattore competitivo. Anche domani ci sarà bisogno di strutture fisiche per continuare a dialogare con i clienti, con le persone».
Il commercio, sintetizza Valente «è un’attività in cui le persone sono e saranno fondamentali. Il futuro sarà delle aziende capaci di integrare i negozi con i canali digitali, i canali digitali con i negozi». Il cammino è appena iniziato. Ma ci sarà da correre.
A cura di Fabrizio Gomarasca