L’intelligenza artificiale tra tecnologia e business
L’artificial intelligence è ancora poco sfruttata dalle imprese, ma ha un potenziale applicativo enorme, con impatti progressivi sul tessuto economico e sociale e sulla quotidianità delle persone.
Quali sono le implicazioni e le opportunità presenti e future dell’Artificial Intelligence sulle imprese, sui consumatori e sulla società? A che punto è il percorso di diffusione, maturazione e anche di accettazione delle soluzioni di intelligenza artificiale? Quale impatto avrà l’intelligenza artificiale sull’occupazione?
Sono solo alcune delle domande alle quali la prima edizione dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of management del Politecnico di Milano ha cercato di dare risposte. Con qualche premessa.
In primo luogo così l’Osservatorio definisce l’Intelligenza artificiale: è il ramo della computer science che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di capacità tipiche dell’essere umano (interazione con l’ambiente, apprendimento e adattamento, ragionamento e pianificazione), in grado di perseguire autonomamente una finalità definita prendendo delle decisioni che, fino a quel momento, erano solitamente affidate agli esseri umani.
In particolare è necessario comprendere come la crescita nel livello di intelligenza e autonomia dipenderà non solo dagli algoritmi e dai software utilizzati, oltreché dalla potenza dell’hardware dedicato, ma anche dalla capacità dell’organizzazione di potenziare e strutturare il proprio patrimonio informativo (esplicito e tacito) in un modo che sia acquisibile e trasferibile alla soluzione di intelligenza artificiale, oltre che dalla dimensione degli investimenti richiesti. Tutto ciò in uno scenario in continua evoluzione. “L’Artificial Intelligence possiede un potenziale applicativo sterminato e inciderà progressivamente sul tessuto economico e sociale di ogni paese. La velocità di diffusione nei diversi ambiti applicativi non sarà però omogenea, ma condizionata da fattori tecnologici e di conoscenza molto articolati”, si legge nel rapporto.
Inoltre non conosce, potenzialmente, confini applicativi: «Se è vero che ogni esperienza del nostro quotidiano può essere ripensata alla luce delle nuove capacità delle macchine, è altrettanto vero che questo processo di ripensamento non avverrà in tutti gli ambiti con la stessa velocità. Essa dipenderà dall’esistenza di soluzioni tecnologiche consolidate, dalla capacità di gestire un delicato cambiamento nella micro e macro organizzazione e, in definitiva, dal bilancio tra il valore dell’innovazione e il costo del rendere intelligenti prodotti e processi», affermano Giovanni Miragliotta, Nicola Gatti e Alessandro Piva, direttori dell’Osservatorio Artificial Intelligence.
Le soluzioni, i processi, i settori
Raccogliendo i dati su 721 imprese e studiando 469 casi di utilizzo di intelligenza artificiale riferibili a 337 imprese internazionali e italiane, la ricerca ha identificato otto classi di soluzioni.
I principali ambiti di applicazione riguardano l’intelligent data processing (35%), soluzioni che utilizzano algoritmi di AI per estrarre informazioni e avviare azioni basate sulle informazioni estratte, e i virtual assistant o chatbot (25%), agenti software in grado di interagire con un interlocutore umano per eseguire un’azione od offrire un servizio. Seguono a distanza le soluzioni di recommendation (10%), raccomandazioni personalizzate per indirizzare le decisioni del cliente in diversi momenti del percorso d’acquisto basandosi su informazioni fornite dagli utenti stessi, image processing (8%), che analizzano le immagini per il riconoscimento biometrico e l’estrazione di informazioni, autonomous vehicle (7%), mezzi a guida autonoma in grado di percepire l’ambiente esterno e adattare le manovre di conseguenza, e intelligent object (7%), capaci di eseguire azioni senza intervento umano, interagendo con l’ambiente circostante tramite sensori e apprendendo dalle azioni delle persone che li usano.
Chiudono l’elenco soluzioni marginali come language processing (4%), che elaborano il linguaggio per comprendere un testo, tradurlo o produrlo in autonomia a partire dai dati e dai documenti, e autonomous robot (4%), in grado di spostarsi e muovere alcune parti, manipolare oggetti ed eseguire azioni in autonomia.
Gli ambiti con un maggior numero di progetti a regime sono recommendation (62%), language processing (50%), intelligent data processing (42%) e virtual assistant/chatbot (40%). Tra i meno consolidati, gli autonomous vehicle (100% di progetti in idea progettuale o pilota), gli autonomous robot (74%) e l’image processing (57%).
Fig. 1 – Lo stato di avanzamento dei progetti nei casi analizzati
Fonte: Osservatorio Artifical Intelligence, School of management Politecnico di Milano
I processi dedicati alla relazione con il cliente (es. marketing, sales e customer service) raccolgono da soli il 40% di tutte le applicazioni individuate, mostrando in questa fase storica un forte orientamento della progettualità verso lo sviluppo del business. I rimanenti processi interni (dalle operations all’HR, dall’R&D al finance) tutti insieme rappresentano un altro 40% di applicazioni, mentre il rimanente 20% si concentra sulle funzionalità del prodotto offerto, con lo scopo di incrementarne le performance o l’esperienza d’uso.
Tra i settori a livello internazionale, banking, finance & insurance raccoglie il 21% delle applicazioni, seguito dal settore automotive (12%), mentre tra il 6 e l’8% troviamo i settori dell’hi-tech, del retail e delle telco, interessati in particolar modo a offrire un servizio sempre più flessibile e personalizzato al cliente.
Fig. 2 – La raccolta dei casi: la vista per settore
Fonte: Osservatorio Artifical Intelligence, School of management Politecnico di Milano
L’Italia? Con il 56% di grandi imprese che hanno avviato progetti di intelligenza artificiale dimostra di porre attenzione al tema, con una predilezione per le soluzioni più mature e per applicazioni i cui benefici siano maggiormente documentati e più rapidamente ottenibili, come i chatbot/assistenti virtuali. Tra i settori, si conferma al primo posto il banking, finance & insurance (17%), mentre più in ritardo è il retail, caratterizzato da realtà decisamente più piccole rispetto allo scenario internazionale.
Gli assistenti virtuali: da migliorare
Tra le soluzioni di intelligenza artificiale di maggior interesse per le imprese, trasversalmente a numerosi settori sono gli assistenti virtuali/chatbot. L’Osservatorio ha censito 118 casi di chatbot utilizzati a livello internazionale, rilevando come i più utilizzati nell’ambito servizi sono quelli per l’assistenza al cliente dopo la vendita (87%), seguiti da quelli che offrono al cliente servizi che non riguardano direttamente l’ambito in cui opera l’azienda (7%) e gli assistenti virtuali della tipologia corporate knowledge (6%), che hanno il compito di rispondere a domande poste dal personale o da figure esterne sull’organizzazione aziendale. Nella funzione marketing i virtual assistant vengono impiegati come shop assistant (46%), guida all’acquisto (27%), per azioni di brand reputation (18%) e supporto alle vendite (9%). Alla categoria prodotto appartengono quei chatbot inseriti all’interno di un prodotto per consentirgli di interagire con l’utente. Gli assistenti virtuali impiegati nelle funzioni HR, infine, si suddividono fra soluzioni orientate al recruiting e altre indirizzate alla gestione del personale.
«Guardando al future – affermano i ricercatori - per la piena diffusione di queste soluzioni, è importante che i chatbot (oltre all’affinamento della comprensione verbale) migliorino in capacità finora esclusive dell’uomo quali quelle di comprendere il contesto e il tono dell’interlocutore, di memorizzare e riutilizzare le informazioni già scambiate nella conversazione e, infine, la capacità di comprendere in modo implicito i bisogni dell’interlocutore proponendo domande in modo proattivo».
L’intelligenza artificiale e il lavoro
Infine, la ricerca fornisce alcuni spunti per il dibattito sull’impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione. E lo fa individuando tre segnali.
Il primo: pur considerando l’attuale fase transitoria, la domanda di lavoro è cresciuta, invece che diminuita. Un’analisi recentemente pubblicata da Capgemini evidenzia come l’80% delle imprese impregnate con l’intelligenza artificiale abbia dichiarato un aumento dei posti di lavoro. A beneficiarne sono soprattutto figure professionali più qualificate e con esperienza acquisita. Peraltro il pieno impatto di una trasformazione basata sull’Artificial Intelligence richiederà di aver completato un profondo cambiamento culturale (interno ed esterno all’organizzazione) e un significativo e costante lavoro sul patrimonio informativo.
Il secondo segnale: le soluzioni di intelligenza artificiale vengono oggi utilizzate per lo più come leva competitiva esterna (servizio e qualità), più che come strumento di efficienza interna, per offrire qualcosa di nuovo al cliente (nuovi servizi e nuova capacità di accesso ad essi) o di maggiore qualità.
Infine, le aziende che si stanno avvicinando a questo tema hanno una forte consapevolezza di quanto potenzialmente delicata sia questa tematica, e stanno selezionando attentamente progetti e iniziative da attivare, sia considerando i benefici attesi, sia considerando l’accettabilità esterna e interna dell’innovazione.
A cura di Fabrizio Gomarasca