Istat, migliora il benessere, ma i ritardi sono ancora troppi
L’Istat ha pubblicato la quinta edizione del Rapporto sul benessere equo e sostenibile ponendo particolare attenzione agli aspetti territoriali e allo sviluppo di alcuni indicatori di benessere.
L’Istat ha recentemente pubblicato la quinta edizione del Rapporto sul benessere equo e sostenibile che offre una lettura del benessere nelle sue diverse dimensioni ponendo particolare attenzione agli aspetti territoriali e allo sviluppo di alcuni indicatori di benessere inseriti nei documenti di bilancio.
Il 2016 è stato l’anno della definitiva uscita del paese da una crisi profonda e prolungata che ha cambiato la struttura produttiva italiana, i comportamenti individuali, le politiche pubbliche. Il miglioramento, registrato in molti ambiti del contesto socio-economico, ha avuto ampie ripercussioni sui diversi aspetti del benessere nel nostro paese. Tuttavia, la sua diffusione non ha interessato in maniera omogenea tutte le fasce della popolazione e tutti i territori.
L’evoluzione positiva del benessere nel periodo recente è sostenuta da tre elementi:
- Il proseguimento del trend di crescita in alcuni domini (in totale sono dodici, frutto di 129 indicatori), quali ad esempio Istruzione e formazione, caratterizzati dal costante miglioramento di alcuni indicatori come la quota di laureati e altri titoli terziari (30-34 anni).
- Il progresso degli indicatori più legati alle dinamiche del ciclo economico, come il tasso di occupazione o il reddito disponibile.
- Il ritorno di segnali positivi, dopo alcuni anni, per alcuni aspetti importanti del benessere, come la qualità del lavoro e la soddisfazione per la vita.
L’andamento degli indici compositi permette di sintetizzare l’evoluzione delle diverse dimensioni del benessere. Considerando il triennio 2014-2016, si identificano quattro gruppi di domini:
- Quelli che nel periodo considerato sono progressivamente migliorati.
- Quelli che sono migliorati seppure con qualche discontinuità.
- Quelli che hanno recuperato.
- Quelli in peggioramento nell’ultimo anno.
Fig 1 – Indici compositi per l’Italia. Anni 2010, 2015 e 2016. 2010=100 (a)
Fonte: Istat
Nel triennio 2014-2016 i domini istruzione e formazione, occupazione, politica e istituzioni, sicurezza (omicidi e reati predatori) mostrano un costante miglioramento.
Tra i domini che hanno manifestato discontinuità nel trend di miglioramento è possibile distinguere due gruppi. Il primo - composto dai domini relativi a salute, ambiente, innovazione, ricerca e creatività - per il quale il processo di crescita è stato caratterizzato da circostanze specifiche che ne spiegano la discontinuità.
Il secondo gruppo - riferito a benessere economico (con riferimento all’indice composito condizioni economiche minime) e benessere soggettivo - per il quale, dopo il punto di minimo del biennio 2013-2014, nell’ultimo anno si è registrato un significativo incremento.
Per quanto riguarda i domini in recupero, nel 2016 l’indice composito del paesaggio e patrimonio culturale e quello relativo alla qualità del lavoro sono entrambi in miglioramento dopo l’andamento negativo degli anni precedenti.
Un peggioramento si registra per tre domini: relazioni sociali, qualità dei servizi e reddito e disuguaglianze. Per quest’ultimo, nonostante la significativa crescita del reddito disponibile delle famiglie e del loro potere d’acquisto, l’indicatore composito peggiora a causa dell’aumento delle diseguaglianze.
A livello territoriale si conferma anche nell’ultimo anno la presenza di divari strutturali tra Nord e Mezzogiorno, con il Centro più vicino al primo che al secondo in molte dimensioni.
Il rapporto, che può essere scaricato dal sito dell’Istat, segnala non solo il divario dall’Europa in molti domini, anche se migliorati nell’ultimo periodo considerato, ma il permanere e l’aggravarsi di quello fra le diverse aree dell’Italia.
Tra le molte evidenze offerte nei indichiamo alcune di maggiore criticità.
Gli indicatori sugli stili di vita nel 2016 segnalano limitati miglioramenti sul fronte dell’alimentazione: aumenta il consumo di frutta e verdura (il 19,8% della popolazione ne consuma almeno 4 porzioni al giorno). Allo stesso tempo diminuisce la quota di popolazione sedentaria (39,4%). Rimane invece sostanzialmente stabile la diffusione di alcuni comportamenti a rischio (connessi all’insorgere di patologie nel medio/lungo periodo) come il consumo di alcol, il fumo e l’eccesso di peso. Per quest’ultimo aspetto, particolarmente rilevante specie e quando il fenomeno si manifesta precocemente, si stima che il 25% dei bambini e ragazzi tra 6 e 17 anni è obeso o in sovrappeso (dato medio 2015-2016), quota che sale al 35% se entrambi i genitori presentano eccesso di peso.
Nel mercato del lavoro, dove aumenta il tasso di occupazione (61,6%) permangono sensibili differenze di genere. Il gap tra uomini e donne si riduce per quanto riguarda la permanenza in lavori instabili e la bassa retribuzione mentre si amplia per la quota di occupati sovraistruiti. Costante, ma in ulteriore divaricazione rispetto alla media Ue, la quota di occupati in part-time involontario, che si colloca poco al di sotto del 12% e rimane particolarmente elevata tra le donne (19,1% contro 6,5% per gli uomini).
Per la componente femminile segnali di difficoltà provengono anche dal rapporto tra il tasso di occupazione delle donne con figli piccoli e quello delle donne senza figli che, dopo cinque anni di aumento, torna a diminuire (da 78% a 76%) a seguito di una riduzione del tasso per le prime e di un aumento per le seconde.
Quanto al benessere economico, crescono i redditi e le disuguaglianze, ma peggiorano le condizioni delle nuove generazioni. Nel 2016 continua ad aumentare il reddito disponibile delle famiglie consumatrici (+1,6% rispetto all’anno precedente); in termini pro capite, il reddito medio disponibile è pari a 18.191 euro.
La disponibilità di dati sulla distribuzione del reddito al 2015 consente di rilevare un incremento più intenso per il quinto più ricco della popolazione, trainato dalla decisa crescita nella fascia alta dei redditi da lavoro autonomo, che avevano registrato ampie flessioni negli anni precedenti. Di conseguenza, è aumentata la disuguaglianza: il rapporto tra il reddito posseduto nel 2015 dal 20% della popolazione con i redditi più alti e il 20% con i redditi più bassi è salito a 6,3 dal 5,8 registrato nel 2014.
La capacità dell’Italia di favorire prospettive di occupazione altamente qualificata per i laureati italiani continua a mostrare segnali decisamente negativi, soprattutto per il Mezzogiorno. Nel 2016 circa 16mila laureati italiani tra i 25 e i 39 anni hanno lasciato il nostro paese e poco più di 5mila sono rientrati, confermando il trend negativo del tasso di migratorietà dei giovani laureati registrato negli ultimi anni (-4,5 per 1.000 nel 2016; -4,2 nel 2015; -2,4 nel 2012).
Le differenze territoriali confermano lo svantaggio di buona parte delle regioni del Mezzogiorno per quanto riguarda la spesa in R&S, l’occupazione in professioni culturali e creative e la mobilità dei laureati. Nel 2016 la quota più elevata di professioni culturali e creative è concentrata in alcune regioni del Centro (3,6% nel Lazio e 3,4% in Toscana) mentre nel Mezzogiorno si registra un valore medio (1,9%) ampiamente sotto la media nazionale (2,6%).