Il retail e la distruzione creativa
l'opinione di
L’epoca del “tutto sotto lo stesso tetto” oggi sembra avere un sapore quasi giurassico.
Forse perché gli ipermercati, che avevano coniato questa espressione per rappresentare il trionfo del commercio despecializzato, oggi si rendono conto che sopra di loro c’è un tetto più grande che si chiama e-commerce.
Ma andiamo con ordine. Una volta parlando di commercio si distingueva fra diversi canali. Era facile, erano pochi. Parlando di prodotti Non Food, quella enorme categoria che per esclusione raccoglie tutto ciò che non è grocery e si può trovare (o si poteva trovare…) nelle corsie di un ipermercato, la storia della canalizzazione ha avuto molte tappe.
All’inizio c’era l’indistinto commercio al dettaglio; per gli ipermercati guadagnare quote di mercato è sembrato un gioco da ragazzi. Assortimenti fatti di un po’ di tutto, prezzi bassi giocati soprattutto con la leva delle promozioni e il gioco era fatto.
Forse… Trattare prodotti “complessi” come l’elettronica di consumo, il bricolage, l’abbigliamento ecc, ecc. come un qualsiasi prodotto grocery si è dimostrato un errore. Buyer non specializzati, assortimenti poco vasti e profondi, layout e merchandising super standardizzati, hanno frenato un’ascesa che non si è mai dimostrata tale.
Anche perché sul mercato del Non Food, prima a macchia di leopardo e poi in maniera capillare (anche troppo), sono apparse le GSS, le grandi superfici specializzate. L’elettronica di consumo, il bricolage, lo sport, l’arredamento, i giocattoli, l’edutainment (libri, musica, videogiochi), hanno avuto i propri campioni che hanno inferto un duro colpo agli ipermercati.
Ma poi all’orizzonte si sono affacciate due minacce: la crisi e l’e-commerce.
Alla prima non si scappa. I consumi dei prodotti Non Food , da valere quanto gli “anticiclici” alimentari, sono crollati. Passata la crisi, o meglio, la trasformazione, il mondo ha iniziato a fare i conti con una vera rivoluzione. La disruption, il cambio di paradigma, chiamatela come volete. Oggi ci informiamo e facciamo acquisti in modi completamente diversi rispetto a non tanti anni fa. L’online sta entrando nelle abitudini di una fetta sempre crescente della popolazione; per i più giovani il concetto di esperienza omnichannel è un fatto acquisito. Che si tratti di servizi (nel turismo ormai 9 clienti su 10 pianificano le loro vacanze navigando online) o di prodotti, il ritmo di crescita è incalzante.
Ma questa carrellata dei canali non si ferma qui; già oggi qualcuno parla di “no channel era”. In effetti ormai si può comprare qualsiasi cosa in ogni momento, su qualsiasi device. Anche guardando fotografie pubblicate su Instagram, può apparire la pagina sponsorizzata di una nota marca di sneaker che spinge a premere il tasto “Acquista ora”.
Se guardiamo a quello che sta succedendo negli Stati Uniti, i numeri ci dicono che quest’anno le chiusure di negozi e i fallimenti nel retail hanno già superato quelli dell’anno scorso e sono i peggiori dalla grande depressione. In particolar modo questo vale per le catene di abbigliamento generiche e i grandi magazzini; in altre parole soffrono i despecializzati, quelli che hanno in assortimento t-shirt e jeans uguali a tutta la concorrenza. E i cattivi risultati economici non gli hanno permesso di intervenire per cambiare rotta. Ma attenzione, non è in crisi un intero settore economico, la situazione non è uguale per tutti. Va bene chi ha saputo reinventarsi, chi si è trasformato. C’è chi ha creato una forte piattaforma di e-commerce, offrendo sconti a chi compra online e ritira a negozio, o chi ha investito molto sul servizio al consumatore. Qualcuno lascia il mercato, qualcuno rinasce più forte di prima. La distruzione creativa di Schumpeter si sta mostrando più vera che mai (non solo sui libri dell’università).