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Cittadini e consumatori insoddisfatti. È ora di wellness company

La quarta rivoluzione industriale sta prendendo il ormai il posto della precedente in uno scenario dove le masse sono soppiantate dagli individui e il tema al centro di tutte le esperienze (quella digitale in primo luogo) è basato sulla personalizzazione. Ma il sistema dell’offerta di istituzioni e imprese non è allineato. Anzi, comincia a comprendere, ma di fronte a un cambiamento strutturale offre ancora risposte congiunturali: «C’è bisogno di un nuovo approccio culturale nel quale la persona abbia una parte attiva. Non c’è più spazio per un atteggiamento tradizionale da parte delle imprese», afferma Andrea Farinet, autore di Socialing e docente di Economia e gestione delle imprese alla Liuc-Università Cattaneo, introducendo l’incontro di Eumetra Monterosa incentrato sulla presa del potere da parte del consumatore.

Il nuovo individuo critico e con idee chiare

E che si tratti di una rivoluzione alle porte lo indica Remo Lucchi quando dice che dalla combinazione di cambiamenti sociali e crisi vi è uno spostamento dell’attenzione sulla relazionalità, sugli altri, sul contesto, si attiva il desiderio di partecipazione. Vi è insomma la presa di coscienza di sé come individui. «E mentre si ridefiniscono nuovi progetti di vita, ci si attende un cambio anche delle strategie dell’offerta. La gente oggi ha idee più chiare che in passato, sa che cosa vuole e sa giudicare, è capace di decidere se punire o premiare», sintetizza Lucchi. «Di più, lo spostamento dell’attenzione sulla relazione con gli altri riempie di senso aree di valori come l’etica e la sostenibilità, con un progressivo passaggio dall’avere all’essere. In questo modo i consumi si giustificano per i significati che veicolano: territorio, memoria, autenticità, emozioni, cultura, esperienze, benessere. In particolare da parte delle persone vi è la definizione di un progetto di vita basato sul benessere armonico, disegnato su una vita sana di corpo e di mente in un futuro di tranquillità sociale e relazionale, in un contesto ambientale meritevole auspicando un futuro di tranquillità economica». Ma nella ricerca di questo benessere armonico il cittadino e il consumatore diventa cittadino e consumatore critico, secondo la tesi esposta inizialmente. E la domanda che l’istituto di ricerca si pone è se le istituzioni e le imprese sono in grado di dare ciò che le persone richiedono.

Italiani insoddisfatti

Sembra proprio di no, se solo il 31% degli italiani dichiara soddisfazione per la propria vita. Un quinto degli italiani è decisamente insoddisfatto sia quando valuta le istituzioni sia nel contesto economico e nel rapporto con le imprese. E solo il 50% della popolazione è orgogliosa di essere italiana.

Riferendosi al contesto pubblico e istituzionale, Renato Mannheimer lo spiega così: «Sono più insoddisfatti le categorie meno centrali socialmente: anziani, disoccupati, persone con basso titolo di studio. Ma il segnale allarmante è che tra gli elementi di soddisfazione per il territorio in cui si vive, gli aspetti strutturali (il verde, l’ambiente, i servizi per la collettività, i divertimenti, la cura e la sicurezza del territorio, le opportunità di lavoro) raccolgono livelli di soddisfazione intorno al 30% massimo. E proprio il lavoro è il tema più importante del quale dovrebbe occuparsi il Governo, che raccoglie valutazioni negative dall’80% degli intervistati. E così l’insoddisfazione per lo Stato italiano arriva al 60%, traducendosi in distacco e disaffezione dalla politica, alimentando un voto di protesta da settori sociali diversi. È l’individualità delle decisioni a emergere così in maniera decisa».

Fig. 1 – I temi di cui dovrebbe occuparsi il Governo in questo momento

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Fonte: Eumetra Monterosa

Se quindi nella mappa che correla benessere e livelli di soddisfazione l’area pubblica non è messa bene, anche il sistema economico è in una posizione che lascia ampi margini di miglioramento.

Fig. 2 – Mappa delle variabili: correlazione benessere-soddisfazione

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Fonte: Eumetra Monterosa

 

Dalla mappa si rileva infatti che solo le variabili più tradizionali (famiglia, casa, salute, alimentazione) si trovano in una posizione di consolidato equilibrio tra benessere e soddisfazione. Tutte le altre variabili denotano un deficit di soddisfazione, anche se è elevata la correlazione con il benessere, come il caso, tautologico, del denaro.

Gdo e grandi marche: giudizio positivo

«Il denaro  è  un  tema  critico, nell’universo del benessere», sintetizza Gabriella Calvi Parisetti. «Per la famiglia, la criticità del denaro si situa a doppio livello: la scarsità/precarietà degli «ingressi» (e, viceversa, la inesorabilità delle uscite) e l’incertezza/aleatorietà del suo valore, nelle varie forme (in particolare se smaterializzata). Come risposta il bilancio della famiglia viene organizzato tenendo saldamente nelle mani la gestione della doppia criticità, grazie a un esercizio di competenza e di esperienza costantemente aggiornato. Le strategie adottate sono impegnative, ma il loro risultato è soddisfacente: oltre il 70% delle famiglie dichiara di avere una situazione economica invariata rispetto all’anno precedente e pù dell’80% guarda con fiducia al futuro ritendendo che migliorerà ancora nel corso di quest’anno.

Tuttavia la famiglia non vuole essere lasciata sola: dalle imprese chiede, anzi pretende alleanza». Esemplificando: è già giudicato buono l’aiuto proveniente dalle grandi marche, dalla distribuzione, dal mondo internet, mentre gli ostacoli maggiori arrivano dalle utilities e dai vari “tartassatori" (Equitalia, i Comuni, la pubblica amministrazione). Curiosamente indifferenti sono le banche e le assicurazioni. Insomma, il sistema economico sta a guardare, anche se vi sono diversi posizionamenti dei vari settori nella mappa di correlazione tra benessere e soddisfazione.

Fig. 3 – Mappa delle variabili: correlazione benessere-soddisfazione per settori 

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Fonte: Eumetra Monterosa

Imprese lontane

La medesima incapacità ad agire si riscontra nel sistema dell’offerta dei beni e dei servizi che, valutato certamente meglio rispetto al contesto pubblico, è comunque percepito come distante, centrato su se stesso, e non più di tanto soddisfacente anche per i due ruoli di offerta di lavoro e di offerta di prodotti, beni, servizi.

«La valutazione che viene fatta – spiega Lucchi – è che i due ruoli siano interpretati di fatto solo nel proprio interesse, a maggior ragione quando non c’è l’imprenditore (condizionamenti da obiettivi di breve periodo).

Le imprese sono sentite «lontane». Facendo valutare quelle dei cui prodotti si è clienti abituali, emergono almeno dati particolari: non più del 50% dà valutazioni di ampia soddisfazione, a fronte di un 30% che ha riserve (mera sufficienza), e di un 20% che da un giudizio negativo.

Questo 50% critico o negativo (30+20) si concentra  nei «delusi-arrabbiati» non tanto  dal brand, i cui prodotti si consumano, ma dalla vita in tutte  le sue manifestazioni. Si tratta di gente sopraffatta dagli eventi, che fa fatica ad andare avanti. La critica non riguarda quindi il prodotto consumato,  ma altre variabili. Riguarda la vera assunzione di responsabilità sociale nell’esercizio di impresa (ed è un’esigenza pretesa) per il consumatore e in quanto attore sociale (ed è un’esigenza auspicata) per l’individuo.

Nel primo caso sono quattro le direzioni indicate da Lucchi: 

  • Creare un contesto lavorativo differente, molto più orizzontale ed alleato, senza logiche gerarchiche e di contrapposizione.
  • Creare continuità lavorativa abbandonando il ricorso alla mobilità come soluzione e investendo invece nella rigenerazione continua del business. Proiettarsi un un futuro intelligente è la via da seguire.
  • Produrre in modo onesto e trasparente.
  • Trattare sempre i clienti in modo perfetto, tendendo a dare loro più di quanto si possano aspettare.

«La responsabilità sociale viene dopo: un’impresa deve prioritariamente far bene il proprio mestiere, nel rispetto di tutte le esigenze viste prima. Ma in quanto attore sociale importante e credibile, si desidererebbe che si facesse carico anche di altri bisogni degli individui e della società», conclude Lucchi.

La risposta: il benessere armonico

Qual è allora la soluzione per riattivare la relazione con il cittadino-consumatore? Secondo Eumetra è tutta nella ricostruzione di un’economia centrata sul suo benessere.

«Il benessere è una prateria di opportunità per ogni brand in termini di strategie, innovazioni, narrazioni», sostiene Fabrizio Fornezza che di Eumetra Monte Rosa è il presidente. E la ricetta proposta è concreta e disegnata su una nuova gerarchia di bisogni. In sintesi le indicazioni sono le seguenti:

  • La marca deve diventare una wellness company per il suo cliente (dare certezze, fondare un “marketing a tasso zero”: zero manipolazioni, zero fregature, ecc.).
  • Il contratto con il nuovo consumatore deve essere molto più rispettoso, sia nella forma che nella sostanza.
  • La proattività a favore del consumatore deve essere la regola.
  • Il prodotto-servizio deve nascere dal dialogo con il consumatore (e non dal solipsismo aziendale), con maggior valorizzazione del ruolo relazionale (anche in termini di co-creazione) e di connessione emozionale fra azienda e consumatore-cittadino.
  • Il personale dell’azienda (quel capitale umano che spesso è oggi visto come un costo) ha in questo un ruolo molto importante, difficilmente risolvibile con approcci di puro efficientamento tecnologico.
  • La tecnologia deve abilitare e dare reale empowerment al consumatore, che oggi spesso reagisce con un implicito downgrading tecnologico, non usando le tecnologie a disposizione nel loro pieno potenziale. Oggi siamo sovrastati dalla complessità della moderna tecnologia e lo saremo ancora di più nel prossimo futuro. Questo apre nuove necessità e bisogni a cui dare risposta. Un punto che non obbliga certo le aziende a tornare indietro, ma a ripensare in modo profondo le modalità di relazione fra la loro innovazione tecnologica e gli italiani (e non solo loro).

A cura di Fabrizio Gomarasca