Belli e invincibili, alla fine hanno vinto gli outlet
La crisi ha svuotato ipermercati e centri commerciali, ma non gli outlet. Hanno continuato a crescere, grazie agli sconti ma soprattutto grazie a concerti, mostre e comici. E a tanti turisti: prima erano i russi, ora i villaggi commerciali sono il regno dei cinesi.
Alla fine hanno vinto loro, gli outlet, contro quelli che li guardavano dall’alto in basso e contro questa infinita crisi. Anno dopo anno i consumi si stiracchiavano, con qualche breve illusione di ripresa e qualche mazzata che cambiava i connotati dei centri storici e metteva in ginocchio anche quelli che nei ruggenti Novanta sembravano invincibili: i centri commerciali e i loro ipermercati. Gli outlet no, sono andati avanti come se avessero un’armatura. Degli oltre 20 che sono presenti sul territorio italiano, uno solo è in difficoltà: quello di Soratte, a nord di Roma, dove sono aperti circa 35 negozi e i cui immobili sono all’asta.
Altri centri hanno rischiato di avvilupparsi nella sindrome della vetrina vuota: a Molfetta (ex insegna Fashion District) si era arrivati a 50 negozi vuoti su 150, prima che la proprietà fosse rilevata, assieme a quella di altri factory outlet center (foc, per gli appassionati), dal fondo americano Blackstone. Ma il formato dei villaggi dove si trovano i grandi marchi a prezzi scontati nel complesso ha retto. Solo, è cambiato, seguendo i trend di consumo.
La spesa che in Italia destiniamo ai vestiti negli anni è scesa, quella per la ristorazione è salita. E per metterci in auto e farci un’ora e mezza di strada abbiamo bisogno di qualcosa che ci motivi. Durante i saldi gli sconti sugli sconti (una sorta di anatocismo al contrario) sono sufficienti. Durante il resto dell’anno la ricetta trovata è quella degli eventi: parliamo dei concerti - e se pensate ai rimasugli dei talent segnatevi i nomi di tali Francesco De Gregori e Antonello Venditti -, ma anche delle mostre, delle installazioni. O delle sagre, perché è pur sempre il sabato del villaggio.
Infatti uno dei pilastri dell'outlet è l’intrattenimento. Nel solo outlet di Serravalle Scrivia (Alessandria) di McArthurGlen, tra la fine di giugno e quella di luglio al Summer night festival all’Outlet hanno suonato Fiorella Mannoia, Antonello Venditti, Mario Biondi, Elio e le Storie Tese, Fedez, Norma Jean Martine. Guardando per i cartelloni nei vari centri si trovano nomi usciti da talent e Sanremo, ma anche glorie come Francesco De Gregori, Patty Pravo, Edoardo Bennato e così via. Spesso i concerti finiscono alle 22.30, lasciando un’ultima mezz’ora di shopping ai visitatori.
Il turismo è il secondo pilastro della tenuta del settore e passa anche, per gli tutti gli outlet, dalle pubblicità sulle riviste distribuite sugli aerei, accordi con i tour operator e con gli alberghi vicini.
Un factory outlet come quello di Palmanova (Udine) ha in media quattro visitatori su dieci stranieri. D’estate arriva al 60 per cento. In quel caso sono austriaci, sloveni, croati, che spesso usano gli autobus a 30 euro tra andata e ritorno. Magie delle decine di tour operator che da anni offrono la specialità shopping scontato: si parte, si arriva all’outlet, si ritorna a casa in giornata. Altrove la miniera d’oro sono i cinesi. Il loro itinerario tipico, in Italia, è brevissimo: Roma, Firenze, Venezia, spesso il tutto in un giorno e mezzo. Come quarta tappa è frequentissimo il passaggio di una mezza giornata in un outlet, dove viene ormai speso un terzo dei acquisti dei turisti stranieri in Italia (dati Global Blue). I beneficiati sono soprattutto le cittadelle che stanno nei pressi di un qualche svincolo lungo questa direttrice.
Mettete assieme la possibilità di tax refund in aeroporto (per recuperare l’Iva), la mancanza di tasse per l’importazione e gli sconti sui marchi di moda globali e otterrete una spesa media che ha superato i 3.500 euro a testa, volo escluso (fonte: Canadean, via Welcome Chinese).
Perché il turismo cinese è anche questo: voli a prezzi stracciati e giro nei negozi convenzionati con i tour operator, che si prendono una bella fetta dei ricavi.
Il terzo pilastro si chiama ristorazione. «È forse l’elemento più evidente della svolta degli outlet - spiega Luigi Maurizio Villa, esperto di retail che per anni ha gestito le operation in un grande outlet del Nord - un tempo la ristorazione era poca e poco caratterizzata». Oggi, sulla scorta di quanto è già successo nei centri commerciali, «si stanno creando delle verie food court», le piazze della ristorazione. I nuovi progetti arrivano ad avere il 20% della superficie affittabile dedicata al cibo, con insegne varie, dall’etnico agli hamburger di fascia alta.
Anche per il futuro, sarà questa la strada da seguire. Tutto il mondo cambia velocemente, non è possibile pensare che non lo faranno anche gli outlet.
A cura di Fabrizio Patti - leggi tutto l'articolo su Linkiesta
I factory outlet center sono uno dei capitoli analizzati dall'Osservatorio Non Food di GS1 Italy, lo studio dedicato al comparto non alimentare che censisce annualmente i punti di vendita della distribuzione moderna mappandoli nelle diverse “agglomerazioni commerciali” (centro commerciale, parco commerciale, centro città, factory outlet, ecc.).