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Non Food: tra fisico e digitale, scelgo .. entrambi

Giunto alla quattordicesima edizione, l’Osservatorio Non Food di GS1 Italy certifica, finalmente, un’inversione della tendenza negativa che aveva caratterizzato i mercati non alimentari considerati negli ultimi anni, registrando un +1,4% nel 2015 sull’anno precedente. Ma indaga anche il percorso di acquisto compiuto dal consumatore lungo tutti i touchpoint fisici e digitali. Con qualche sorpresa

I consumi non alimentari calcolati dall’Istat costituiscono un mercato che vale circa 149,4 mld di euro che rappresenta il 14,8% del totale consumi delle famiglie italiane (comprensivo della voce dei servizi) con un peso inferiore rispetto al 16,3% del 2011, ma con una crescita in valore assoluto (+1,6%) nel 2015 superiore rispetto ai beni grocery (+1,2%).  Assommano invece a 101 miliardi di euro i consumi monitorati dall’Osservatorio Non Food di GS1 Italy, giunto quest’anno alla quattordicesima edizione.

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Scarica l'estratto dell'Osservatorio Non Food di GS1 Italy

«Finalmente dopo tanti anni i consumi nel 2015 si sono riportati sui livelli del 2011», afferma l’economista Luca Zanderighi, fondatore e partner di TradeLab. «Si tratta di una ripartenza lenta, che fa prevedere un segno positivo nel 2016, anche se i comparti analizzati dall’Osservatorio si muovono con velocità e intensità diverse».

Quanto ai canali, cresce certamente l’e-commerce (e non potrebbe essere altrimenti), ma  le quote della distribuzione moderna sono ancora rilevanti, andando dall’80% circa degli elettrodomestici al 35% del bricolage e al 25% dell’arredamento. Ma all’interno della distribuzione moderna, le grandi superfici alimentari, quelle despecializzate, lottano aspramente per mantenere le posizioni nel Non Food.

Quali touch point sono più rilevanti?

L’Osservatorio Non Food di GS1 Italy prosegue anche il percorso sull’analisi della multicanalità cominciato qualche anno fa e giunge oggi a mettere in discussione (almeno in parte) tante certezze che sono andate sviluppandosi in questi anni di trasformazione e cambiamento. Che per esempio il consumatore fosse entrato nell’era digitale a piedi uniti e che passasse il suo tempo dedicato all’acquisto tra raccolta bulimica di informazioni, scambio di notizie sui social vari, verifica dei prezzi sullo smartphone davanti alla vetrina del prodotto agognato, fotografia e condivisione del nuovo abito provato nel camerino virtuale, ordine online e ritiro nel punto vendita, o viceversa, in una customer journey che attraversa decine di touchpoint. Tutto questo c’è, esiste e con ogni probabilità diventerà sempre più rilevante, almeno per una buona parte della popolazione.

Ma c’è dell’altro. E la ricerca condotta da Gfk per l’Osservatorio Non Food è andata a cercarlo intervistando 750 persone, rappresentanti degli italiani digitalizzati (il 50% circa della popolazione) riguardo al loro comportamento nell’acquisto effettuato nel canale fisico o in quello digitale in almeno una categoria tra elettronica, elettrodomestici, libri e videogiochi.

cover_Osservatorio_NonFood_2016.png«La prima sorpresa – segnale Edmondo Lucchi, responsabile dipartimento new media GfK – è che per le tre aree merceologiche considerate il punto vendita fisico è il touchpoint principale sia per l’acquisto sia per la ricerca di informazioni. Seguono poi nelle fonti informative utilizzate: la raccolta di informazioni presso amici o parenti e il contatto con il prodotto al di fuori del punto vendita. Da rilevare inoltre che i processi informativi sono di intensità media o ridotta: non si usano canali informativi molteplici sovrapponendo “n” fonti differenti. Ciò sta a significare che è il canale d’acquisto in cui ci si trova il touchpoint principale. Peraltro il “cross-checking” fra canale fisico e canale digitale non è particolarmente diffuso ed è relativamente simile fra i due. Inoltre non emerge un presidio marcato di uno rispetto all’altro. Analizzando poi le fonti informative per canale, nel punto vendita fisico conta molto sia l’esposizione del prodotto, sia il contributo del personale di vendita; ma mentre il canale fisico si identifica con il punto vendita, nel digitale il sito o la app in cui si acquista ha un ruolo orientativo molto più aperto alle “entità esterne”: motori di ricerca, recensioni, commenti online, comparatori di prezzo, e altro».

Questione di fiducia

Nella scelta del punto vendita la convenienza strutturale o episodica e la relazione sedimentata (fiducia o abitudine) costituiscono la motivazione principale, mentre nella scelta del canale è diffusa una prevalenza di quello fisico al quale si attribuiscono vantaggi in termini di servizio e di supporto pre e post vendita. Al canale digitale si riconoscono invece maggiore concorrenza di prezzo, rapidità e risparmio di tempo, praticità e ampiezza di scelta. «Come a dire che il canale digitale vince per efficienza (economica, temporale, logistica) e quello fisico vince per efficacia» chiosa Lucchi. È però significativo il fatto nella ricerca di informazioni e nell’acquisto non vi sia esclusività dell’uno sull’altro. Vi è anzi una certa complementarietà, cosa che depone a favore di una loro convivenza e non di uno scontro diretto per il futuro. Tanto più che dalla ricerca dell’Osservatorio non sembra esserci una deriva generazionale forte come si potrebbe pensare. Anzi sono le fasce d’età mediane che colgono il vantaggio del canale digitale, proprio perché ricercano maggiore efficienza nell’organizzazione del proprio tempo «perché siamo di fronte a una situazione di tipo pragmatico, non di entertainment» sottolinea Lucchi. «Dopo 20 anni di digitalizzazione di massa, e a fronte dei risultati raccolti in questa ricerca, appare fondata l’ipotesi che il punto di vendita fisico possiede una prestazionalità specifica, magari poco verbalizzabile, ma sostanziale e antropologicamente fondata, quindi destinata a perdurare. Vi è un’antropologia comune dietro ai processi di acquisto: la relazione con i canali di acquisto esprime strutture molto simili anche su merceologie molto differenti».

Lucchi ridimensiona anche il ruolo della ricerca informativa, meno elevato e meno digitalizzata di quanto ci si potrebbe aspettare con l’aumento della componente digitale mobile nelle attività lavorative, sociali e di consumo. In un sistema con informazione molto fluida e distribuita, i processi competitivi tendono ad allineare molte prestazioni e molti differenziali di prezzo rendendo quindi meno cruciale un processo informativo molto completo e dettagliato.

«Se si trova in un punto vendita fisico il prodotto che soddisfa le esigenze di partenza, si parte dal presupposto che i prezzi non siano troppo differenti da altri punti vendita e c’è un’offerta speciale – esemplifica Lucchi – non si hanno ragioni per continuare nella ricerca e ci si ferma lì. In sostanza raggiunto un certo livello di saturazione informativa, si delega a chi è noto e in grado di sostenerci, cioè alla marca, al prodotto, al prezzo, all’insegna».

Centri commerciali e piattaforme digitali

Ma le aziende, i retailer come affrontano questa realtà in rapida evoluzione?

Secondo Zanderighi sono essenzialmente tre i punti sui quali le imprese devono focalizzare l’attenzione:

  1. l’interazione con i consumatori, attraverso le sfide che le imprese stanno affrontando come la ricerca online e l’acquisto offline (Ropo), il click & collect, il try & buy (prova nel punto vendita e acquisto online).
  2. La seconda riguarda l’integrazione tra i canali. «È in corso un processo di razionalizzazione delle reti fisiche già da alcuni anni: oggi si parla di circa 4 mila punti vendita in meno con un bilancio, tra aperture e chiusure, nel 2015, pari al -0,8% in un anno, con modalità diverse tra comparti e polarità commerciali, con l’obiettivo di trovare un punto di equilibrio tra tenuta dei margini e produttività» chiarisce Zanderighi.
  3. Infine vi è l’interconnessione dei diversi touchpoint (significativo però il fatto che il 16% delle imprese non abbiano un presenza in Facebook e in Twitter) che sottolinea l’importanza dei diversi strumenti di revenue growth management per misurare l’elasticità al prezzo a livello di Sku.

Sul campo, i casi esposti durante l’evento di presentazione dell’Osservatorio, testimoniano di una forte varietà di approcci: dalla scelta digital mobile di Vodafone, all’integrazione tra fisico e digitale con il book on demand di Mondadori Retail, al centro commerciale 2.0 di Finiper, alla piattaforma mobile pervasiva di Alibaba, che ha creato un ecosistema arricchito di tutto quanto serve per fare e-commerce e per rispondere a tutte le possibili esigenze dei cinesi nel loro viaggio quotidiano attraverso i territori del consumo, dall’acquisto dei beni, alla prenotazione del cinema, ai viaggi, alla baby sitter, in un sistema di soluzioni che hanno consentito ad Alibaba, un po’ PayPal, un po’ Amazon, un po’ YouTube e un po’ Expedia, di fatturare più di Wal Mart.

Sull’altro fronte, Francesco Ioppi direttore immobiliare Gruppo Finiper traccia l’idea del centro commerciale 2.0 che sottende all’avventura de Il Centro di Arese, macchina da guerra che in due mesi ha attirato 2 milioni di visitatori e nei giorni di picco ne ha contati 100 mila. Anche in questo caso il focus de Il Centro è la «soddisfazione dell’experience, la vera leva di differenziazione che permette di optare tra l’online e l’offline» ha detto Ioppi. «Fino a ieri il compito nostro era di caricare i prodotti a scaffale. Oggi dobbiamo dare valore aggiunto». Così il centro commerciale è un luogo da vivere. Non è sufficiente essere bravi commercianti. Da qui l’accento sui servizi (struttura medico sanitaria, servizio di baby sitting, ecc.) e sull’architettura degli spazi. In più in questa esperienza, i negozi della galleria diventano degli hub per le vendite online, si trasformano da spazi di vendita in luoghi di showrooming. Il valore non risiederebbe, quindi, nel ‘cassetto’ a fine giornata, ma nell’affluenza. In questa lettura, il centro commerciale diventa alleato dell’industria in quanto canale di sbocco.

È una trasformazione radicale, che richiede un vero cambio di mentalità e organizzativo.

«È necessario – esorta Zanderighi – avere un nuovo approccio manageriale. Il passaggio epocale per il management è dalla cultura della standardizzazione alla cultura della varietà, dell’efficienza versus l’efficacia. È necessario sviluppare una cultura manageriale adeguata ai tempi del cambiamento, con competenze più trasversali e umanistiche. L’accento cadrà più sul perché fare determinate scelte che sul come farle».

A cura di Fabrizio Gomarasca

È possibile acquistare la versione integrale dell’Osservatorio Non Food 2016.

Per chi si è iscritto all’evento del 22 giugno 2016 è previsto il 10% di sconto sull’acquisto.