L’ambiente non può fermarsi al marketing
«"Consumo” non è una parola buona. Fino a 50 anni fa il consumo era un disvalore: si consumavano le suole e le giacche, ed era un problema. Poi, con l’abbondanza, è diventato addirittura un valore. Ma dobbiamo ricordarci che il consumo è solo un brevissimo passaggio tra la miniera e la discarica». Tutto ci si poteva attendere, in un incontro annuale organizzato da una catena di negozi, tranne che frasi del genere. A pronunciarle è stato il meteorologo e climatologo Luca Mercalli, uno degli ospiti invitati al “Green Day” di Leroy Merlin, a Milano, davanti a 400 dipendenti dell’insegna arrivati da tutta Italia. Così come a essere state pronunciate sono state parole delicate come “greenwashing”, cioè la tinteggiatura di verde delle aziende che vogliono sembrare ambientaliste. Mentre, in concreto, non fanno nulla o fanno danni. Pratiche che le associazioni come Greenpeace cercano da anni di smascherare.
«Il “fare” non basta, questo formicolare di “fare” a tutti i costi nasconde dei limiti in termini di sostenibilità - ha continuato Mercalli -: ci sono aziende che semplicemente non sono sostenibili, altre che fanno solo greenwashing, altre che in buona fede provano a fare cose sostenibili. Solo che, facendo dei calcoli, ci si accorge che sostenibili non sono. Per questo è arrivato il momento di fare delle scelte. Se non le fa la politica, le devono fare gli utenti, ma anche chi vende».
Quella di Mercalli è stata quasi una sfida, che però ha ricevuto una risposta spiazzante da Luca Pereno, coordinatore dello Sviluppo Sostenibile di Leroy Merlin Italia. «Poco dopo la pubblicazione dell’enciclica di papa Francesco dedicata all’ambiente (Laudato Sì, ndr), sono stato invitato a parlare di sostenibilità ambientale in un convegno. Ho letto l’enciclica e ho trovato un passaggio nel quale si denunciava che la sostenibilità troppo spesso è solo marketing e comunicazione. Ho capito che come Leroy Merlin non facevamo abbastanza».
Il responsabile della sostenibilità dice che l’azienda fa già molte attività: usa legno da foreste sostenibili contrassegnato dal marchio Fsc (in questo la filiale italiana è stata all’avanguardia nel gruppo), ha programmi di riciclo dei materiali e di risparmio energetico. Ma questo non si poteva considerare sufficiente. «Da questa consapevolezza è nata l‘idea di creare qualcosa di diverso, che dovevamo partire da tre parole: rete, ossia il coinvolgimento tanti individui e associazioni, senza calare le cose dall’alto; processo, perché non si possono fare cose che si concludono con la realizzazione di un progetto; e infine “valore sociale”, perché volevamo che chi beneficiasse di determinati interventi si mettesse a disposizione per dare una mano in quelli successivi». Con queste promesse, aggiunge, è partito un progetto chiamato “Agorà dell’abitare”». Si tratta di una rete che mette insieme aziende, associazioni, enti, amministrazioni, persone qualsiasi che vogliono trovare soluzioni concrete al problema dell’abitare: ristrutturare case per persone in difficoltà, scuole, spazi comuni di accoglienza o di aggregazione oppure progettare parti di spazio urbano. Nel 2016 è prevista la nascita dell’Agorà dell’abitare nelle città di Roma, Torino, Piacenza e Palermo.
Non è stato l’unico progetto di sostenibilità sociale presentato dall’azienda. Quello più sostanzioso si chiama “Bricolage del cuore”. Sono progetti di volontariato che consistono nel selezionare una serie di situazioni meritevoli di aiuto e nella sistemazione degli ambienti, con lavori di intonacatura e tinteggiatura, ma anche nel loro arredo. In sette regioni lo scorso anno ne sono stati messi in atto 53, con un coinvolgimento di 604 addetti. «Hanno lavorato durante l’orario di lavoro», spiega Pereto. Il budget non è stato stratosferico: circa 5-10mila euro a progetto, con un investimento complessivo di 200mila euro, comprese le 5.272 ore degli addetti (90.000 senza contare le ore). Sette di questi progetti sono stati presentati davanti ai dipendenti, ciascuno accompagnato da un video. Si va dalla sistemazione delle case di due famiglie in difficoltà a Bastia Umbria (Perugia), in un’operazione che ha visto il coinvolgimento di 32 partner tra istituzioni e fornitori. Alla sistemazione di una casa di accoglienza per minori con difficoltà psico-sociali a Piacenza, gestita dall’associazione Epicurea. «Nessun progetto è stato calato dall’alto, sono stati tutti identificati dai negozi o dai singoli uffici della sede centrale», dice Pereno, che rivendica come in questo genere di iniziative l’Italia abbia abbondantemente superato la Francia, dove c’è la sede centrale del gruppo. Su cento progetti di volontariato realizzati a livello europeo, oltre la metà viene dall’Italia.
Tra le altre iniziative c’è “Cantieri fai da noi”: è prevista l’assegnazione di una borsa cantiere destinata all’avvio dei lavori per sistemare delle abitazioni in modalità di microcredito. La restituzione non deve essere fatta in denaro, ma in cantieri di valore simile alla somma erogata o in lavori a vantaggio di persone in difficoltà, curati dai beneficiari del primo intervento. «Il primo “Cantiere fai da noi” è stato avviato nel febbraio 2016 a Biella in collaborazione con la Caritas diocesana del territorio», spiega Olivier Jonvel, amministratore delegato di Leroy Merlin Italia. Un’altra iniziativa si chiama “La casa ideale”: sono stati selezionati 30 progetti di accoglienza e inclusione sociale proposti da organizzazioni non profit. Ad esse Leroy Merlin vende i propri prodotti a prezzo ridotto rinunciando al proprio margine di profitto.