Il retail che i consumatori vogliono
Come affrontare le molteplici sfide che il sistema dei consumi, e in particolare il retail che ne è il punto terminale di contatto con il cliente, si trova a dover affrontare, stretto com’è tra calo delle vendite, deflazione, rilevanza delle tecnologie digitali e consumatore informato?
Luca Pellegrini, docente di marketing allo Iulm di Milano, con la consueta lucidità d’analisi, ha proposto al pubblico presente a Ordine ed Extra-Vaganze, l’annuale convegno di Popai, quattro direzioni da seguire riunite sotto il cappello del ritorno ai basilari del fare retail. «Il retail mette a disposizione dei consumatori beni e servizi con le modalità appropriate nel modo più efficace e più efficiente possibile», puntualizza Pellegrini. «Ma che cosa si aspetta, che cosa chiede il consumatore»?
Ecco, il ritorno ai basilari - back-to-basic - parte proprio dalla risposta a quest’ultima domanda.
Meno beni, più servizi
«A prescindere dagli effetti della crisi, negli ultimi decenni abbiamo assistito a un capovolgimento del rapporto tra consumi per beni e consumi per servizi – spiega il docente – e oggi sono questi ultimi a costituire il 52,6% dei consumi contro il 47,4 % dei beni. Ciò si è verificato sia per un fenomeno di crescita economica contraddistinta dal prevalere del mercato, sia per fattori demografici, con la crescita di famiglie più piccole con bassa economia di scala. A Milano, il 50% delle famiglie è costituito da una persona. Quali le implicazioni? Che occorre cominciare a vendere servizi, come fa Eataly che è sì un luogo di vendita ma per oltre la metà è luogo di consumo o come fa Lush che sul versante della cura della persona ha affiancato la spa alla vendita di prodotti cosmetici pensando in chiave di bell’essere. Senza servizi si perdono fatturato e valore aggiunto».
Contesti più stimolanti
I consumatori non vogliono usare il proprio tempo per reperire ciò di cui necessitano facendo fatica. «Altrimenti l’alternativa del picking di prodotto c’è: si chiama Amazon», afferma Pellegrini. «Viceversa vogliono trovare facilmente prossimità (fisica o virtuale è indifferente), comfort e intrattenimento, giocare, imparare qualche cosa: fare esperienze». Ikea, con i suoi ristoranti, Zodio, con il suo concetto di comunità di interesse, Kiko con i suoi ambienti sono gli esempi più immediati.
Una relazione fluida
La personalizzazione della relazione, sia online sia offline, è un’altra delle richieste principali dei consumatori. «L’omnicanalità e l’interazione social vanno bene – sostiene Pelegrini – a patto che ci siano contenuti reali nelle app e un’offerta in grado di coinvolgere il cliente riguardo ai suoi interessi e di risolvere i suoi problemi. Omnicanalità, quindi, supportata dall’attenzione ai contenuti e da competenze in aree di bisogni rilevanti». Gli esempi che propone sono nell’area proprio delle diverse interpretazioni dell’omnicanalità: i locker, che non sono certamente quanto di più relazionale ci sia, ma rispondono a un bisogno di tipo logistico; il click & collect di Tesco che riporta il cliente nel punto vendita, così come in parte l’order & collection point di Ikea e l’interpretazione di Decathlon che utilizza il click & collect per portare il cliente in un altro spazio di vendita, più concentrato, dove poter fare cross merchandising, dove il cliente trova una dimensione diversa. Per finire con Bonobos, dove i capi di abbigliamento non si portano via, ma si provano e si acquistano per poi riceverli a domicilio.
Convenienza intelligente
Il capitolo prezzi è decisivo nelle scelte dei consumatori. Ce lo dicono ormai tutte le ricerche. «Non siamo tutti ricchi, ma abbiamo le stesse aspirazioni», spiega Pellegrini. «Qualche volta siamo disposti a spendere qualcosa in più, ma molto più spesso vogliamo una convenienza intelligente. Qui il discorso è semplice: bisogna passare dal low price al low cost, tagliando i costi della filiera e ricercando una coerenza tra politiche di prezzo e contesto. L’attenzione allo stile non implica per forza il lusso». Lo dimostrano Primark, ma anche Lidl con il nuovo formato di punto vendita di Verona che dovrebbe essere adottato in tutta la rete. «E poi i consumatori si aspettano che i retailer comunichino di più e in maniera più creativa».
Le implicazioni future
In sostanza il retail ideale è quello che offre beni e servizi su aree di bisogno importanti, che propone un’offerta facilmente reperibile online e offline in un contesto stimolante e confortevole («quanti ipermercati hanno non dico un’area relax, ma due panche dove riposarsi? E quanti punti vendita hanno un bar che sia tale?», si chiede Pellegrini), dimostrando empatia verso il cliente con una disponibilità fluida e atteggiamento trasparente.
«Le implicazioni per il settore della distribuzione sono importanti: dal tramonto delle grandi superfici per il puro approvvigionamento alla necessità delle piccole superfici di inserirsi in contesti di offerta con una regia forte («Nel centro commerciale di Arese, l’ipermercato non è più l’ancora della galleria, ma è a supporto di questa»), alla fine dei punti vendita fotocopia. Il contesto omnichannel, poi, porterà a un aumento degli showroom e alla diminuzione dei classici negozi. Ma in generale ci sarà selezione e polarizzazione, cioè meno negozi, presenti però nelle location che contano», conclude Pellegrini.
A cura di Fabrizio Gomarasca