L’Italia può diventare il prossimo paradiso per le startup
Parla Luigi Capello di LVenture Group, uno dei (pochi) fondi di venture capital presenti in Italia: «La burocrazia uccide le startup nella culla, va cambiata la cultura imprenditoriale di questo Paese»
Nel 2015, nei soli Stati Uniti d’America, gli investimenti di venture capital hanno lambito i 60 miliardi di euro.Il 35% in più rispetto al 2014. Solo una volta, negli ultimi vent’anni, si è fatto meglio. Anche in Europa si vola: 13,4 miliardi di investimenti, la cifra più alta di sempre, il 78,4% diretti verso startup che producono nuove tecnologie.
Fin qui, tutto normale. Quel che sorprende è la performance dell’Italia. Mercato ancora piccolo, per i grandi capitalisti di ventura globali, ma in rapida e forte crescita. Certo, i 133 milioni di investimenti dello scorso anno sono poca roba rispetto alle cifre americane, ma si tratta comunque di un mercato che cresce come nessun altro in Europa: +11% rispetto al 2014 e un numero di accordi chiusi che nel 2013-2014 è cresciuto del 208% rispetto al biennio precedente. Oggi, in Italia ci sono 5413 startup innovative, il 10% circa in più rispetto a dodici mesi fa.
«Il mercato si sta muovendo e la relativa scarsità dei capitali ha fatto selezione naturale e oggi abbiamo startupper bravi e competenti, ma la normativa italiana è troppo complicata. Troppa burocrazia uccide le startup. Ma la strada per cambiare la cultura imprenditoriale di questo paese è lunga». A parlare è Luigi Capello, ceo di LVenture Group e fondatore di Luiss Enlabs, il più grande acceleratore d’impresa italiano, situato al piano superiore della Stazione Termini di Roma: «Siamo innovativi: un po’ venture capital, un po’ acceleratore d’impresa - spiega a Linkiesta -. Di solito investiamo in una startup attorno ai 300 mila euro, insieme ad altri superiamo il milione. Dopo di noi normalmente arrivano i fondi di VC che investono 2-4 milioni. Noi diventiamo follower e ovviamente ci auguriamo di guadagnare dalla exit».
Bisogna imparare a gestire il rischio. E poi, qui parlo più in generale, bisogna avere cultura delle regole internazionali. Le regole locali, che valgono solo per l’Italia, imbrigliano le start up, non la rendono vendibili nel mondo
Luigi Capello
Partiamo dall’inizio, però. Se un giovane avesse un’idea e volesse creare una startup in Italia, dove li trova i soldi?
Tra parenti e amici, prima di tutto.
E se non avesse parenti e amici coi soldi sotto il materasso?
Ci sono i business angels, e in Italia, a dire il vero, non sono molti.
Quanti, per la precisione?
Sono circa trecento in tutta Italia quelli che sono associati. Non si muovono ognuno per conto proprio, altrimenti ci sarebbe il rischio che ognuno metta i suoi soldi sullo startupper che gli è più simpatico, o quello che abita vicino a casa. Si aggregano in club che fanno analisi strutturate e che decidono assieme quali idee finanziare.
Quanti ce ne sono di questi club, in Italia?
Pochi. Uno è il nostro, che si chiama Angel Partner Group, poi Italian Angels for Growth, c’è il Club Investitori e Iban. E sopra a questi quattro gruppi, aggiungo, c’è una nuvoletta che si chiama equity crowdfunding.
Che cos'è?
La possibilità per le società non quotate di raccogliere risorse finanziarie dal pubblico a fronte di quote azionarie. In altre parole, invece del prodotto o di un gadget, come avviene su Kickstarter, se finanzi l’azienda diventi, quota parte, suo proprietario.
Siamo stati i primi in Europa ad avere una legge sull’equity crowdfunding.
Siamo stati i primi, ma ci siamo dati una normativa inapplicabile. La Gran Bretagna è arrivata dopo, con una legge bella, e lì l’equity crowdfunding sta esplodendo. A volte arrivare primi serve a poco.
Come mai la nostra legge non è bella?
Perché c’è troppa burocrazia. Da noi dove c’era il business è arrivata la regolamentazione “fuori mercato” che lo ha ammazzato in culla.
Perché parla al passato?
Perché adesso stanno uscendo nuove disposizioni. Perlomeno se ne sono accorti, che non andava bene.
Facciamo un passo indietro: chi sono i business angel in Italia? Quanti anni hanno, che mestiere fanno?
È gente che ha fatto l’imprenditore, o il manager, o il consulente, e che in diversi casi lo fa ancora. Ci sono molti ex consulenti di Accenture, ad esempio.
E perché lo fanno?
Perché è una cosa divertente, alla fine. Investire una piccola parte del proprio patrimonio in qualche fondo del sudest asiatico ti fa guadagnare due soldi in più magari, ma non c’è l’ebrezza dell’investimento. Qui invece ci metti i soldi e le competenze. Lo chiamano smart money, non a caso. Qui puoi partecipare come promotore, come supporto, come advisor nella crescita della startup. È molto più gratificante.
a cura di Francesco Cancellato