Contro lo spreco alimentare la soluzione è di filiera
Illustrate in un convegno le linee guida Ecr Italia per la gestione delle eccedenze alimentari nella filiera del largo consumo
Prevenire è meglio che curare. Anche quando si parla di eccedenze alimentari.
In estrema sintesi è questo il messaggio più forte che proviene dal convegno “La lotta allo spreco alimentare: soluzioni e approcci di filiera”, organizzato da GS1 Italy | Indicod-Ecr, che ha fatto il punto sui lavori svolti da Ecr Italia per la gestione delle eccedenze alimentari lungo la filiera fornendo, come di consueto, specifiche indicazioni operative.
I contorni più aggiornati della questione, che è stata uno dei temi centrali del semestre di Expo, sono i seguenti, come rileva lo studio del Politecnico di Milano e Fondazione Banco Alimentare. Le eccedenze alimentari in Italia (intese come cibo prodotto e distribuito ma non venduto né consumato) assommano a 5,6 milioni di tonnellate, cioè il 16% di 35 milioni di tonnellate di cibo venduto. La buona notizia è che le eccedenze sono in calo del 5% rispetto a quattro anni fa, così come sono in aumento del 10% le quantità recuperate e redistribuite, che oggi sono pari a 500 mila tonnellate.
«Delle eccedenze il 20% è generato da industria e distribuzione, mentre il 43% è appannaggio dello spreco domestico - puntualizza Silvia Scalia, coordinatore di Ecr Italia – ed è su questo 20% che abbiamo concentrato l’attenzione. Senza però dimenticare che anche la sensibiltà al riguardo del consumatore sta cambiando, sta diventando più attento alla responsabilità sociale d’impresa. Dobbiamo porre attenzione anche ai trend di consumo, che vedono primeggiare il biologico, i freschi, i prodotti naturali. Hanno tutti una shelf life più breve e di conseguenza generano una maggiore complessità nella gestione delle eccedenze alimentari. Per questi motivi è importante capire quali ambiti dei processi devono essere monitorati». Anche perché se la lotta allo spreco ha indubbie valenze etiche e sociali, ha anche un contenuto economico da non sottovalutare.
Fig 1 – Le eccedenze alimentari in Italia
Il gruppo di lavoro Ecr Italia, cui hanno aderito venti aziende dell’industria e della distribuzione si è infatti mosso lungo due direzioni: quella della prevenzione e quella della gestione delle eccedenze, proprio con l’obiettivo di definire dei modelli da proporre alla filiera. «Nel caso della prevenzione – spiega uno dei protagonisti del gruppo di lavoro, Renato Di Ferdinando, SoE Manager Customer Logistic Development Mondelez – abbiamo individuato cinque assi di intervento (misurare per intervenire, coinvolgere, prevedere, disegnare, semplificare), ognuno dei quali rivolto ad aree specifiche. Ma abbiamo individuato alcune indicazioni fondamentali. La prima è il fatto che la lotta allo spreco non riguarda i singoli individui o le singole funzioni aziendali, ma per essere efficace ed efficiente deve essere adottato dalle organizzazioni a livello interfunzionale. La seconda è che, per la maggior parte delle aziende, le eccedenze derivano dal raggiungimento della data di scadenza e dalle rotture nella movimentazione. La terza, che molte aziende hanno un sistema di analisi ex post del fenomeno. Ciò determina che in quelle che non hanno un sistema di controllo e gestione delle eccedenze l’80% di queste si trasforma in spreco».
Fig 2 - Gli assi di intervento per la prevenzione delle eccedenze
Nella gestione delle eccedenze sono quattro invece le variabili da considerare. Le illustra Marco Melacini, docente di Logistics e Operations Management del Politecnico di Milano: «Si tratta di quattro aree di intervento che consentono di identificare un percorso all’interno delle singole aziende. Percorso che prevede la misurazione delle eccedenze, la formalizzazione del processo, il coordinamento tra gli attori e l’impostazione del processo di conferimento, secondo un livello di sistematizzazione che va da processi meno strutturati a processi più strutturati».
Chiaramenta variano le prospettive a seconda che si tratti di un produttore o di un distributore. Per esempio il concetto di limite di scadenza commerciale per un produttore assume connotazioni che riguardano i differenti limiti temporali a seconda dei canali (la gdo richiede un tempo superiore rispetto al normal trade, per esempio) e gli interventi possono riguardare la rilavorazione dei prodotti, l’applicazione di scontistiche, il trasferimento a un canale secondario, l’attivazione di promozioni. «Ogni alternativa - sottolinea Melacini – ha un impatto economico diverso. L’impostazione delle alternative segue sostanzialmente la gerarchia di convenienza economica, con chiarezza all’interno dell’azienda su «quando» attivare le diverse alternative. Esiste quindi un buon grado di libertà nello svolgimento del processo, tanto che non è detto che la donazione debba essere l’ultima delle alternative. Per esempio un’azienda, pur potendo vendere l’eccedenza generata a mercati secondari (grossisti esteri o aziende di trasformazione), ha deciso di riservare una determinata quantità di eccedenza alla donazione, che in questo caso è legata a motivazioni essenzialmente sociali».
Diversa è invece la prospettiva della distribuzione che ha due nodi generatori di eccedenze: il Cedi (assimilabile per processo al produttore) e il punto vendita. Il fattore più critico nel punto vendita è la scadenza del prodotto, che si misura in giorni, non più in settimane o mesi, intesa come limite per l’esposizione a scaffale. Per il punto vendita le azioni si riducono infatti a interventi di marketing, all’avvio alla discarica o alla donazione.
Ed è proprio riguardo alla donazione che il gruppo di Ecr Italia ha fornito delle linee guida individuando quattro modelli di rapporto tra retailer ed ente non profit in funzione della frequenza di raccolta (sporadica o periodica) e tipo di gestione (proattiva o reattiva, cioè chiamata all’ente o chiamata dall’ente). «Tanto più l’aspetto “tempo” è rilevante, tanto più occorre lavorare a frequenza costante. Per ridurre i costi di gestione sembrerebbe preferibile una gestione pro-attiva», afferma Melacini, che aggiunge: «Le eccedenze generate a livello di punto vendita sono prodotti con vita utile residua breve. L’impostazione ottimale sembrerebbe la definizione di un flusso ‘teso’ con un giorno fisso per il ritiro dei prodotti da parte dell’ente non profit e chiamata da parte dell’ente per gestire eventuali anomalie (es. variazioni quantità). Tanto più il processo è strutturato, tanto maggiore è quindi la capacità di recupero (e quindi minore lo spreco)».
Lo studio ha anche evidenziato la presenza di eccellenze all’interno della filiera nella gestione delle eccedenze, ma ha anche indicato le possibili aree di collaborazione: per esempio i prodotti a marchio del distributore o caratterizzati da un formato speciale, la gestione della data di scadenza e della data di sell-in, quella delle eccedenze nel punto vendita con accordi con il produttore per evitare il ritorno dei prodotti, il coinvolgimento degli operatori logistici, per esempio attraverso l’utilizzo di piattaforme multiproduttore anche per l’aggregazione delle eccedenze alimentari generate da più aziende, consentendo di raggiungere un quantitativo di merce sufficientemente elevato da giustificare il passaggio per la raccolta da parte dell’ente non profit.
Il ruolo della logistica
Proprio sul ruolo dell’operatore logistico, Marco Candiani, direttore operativo Logistica di Stef (specializzata nei freschi), sottolinea almeno due aree di collaborazione. La prima è l’elaborazione di soluzioni per ridurre rotture e danneggiamenti delle merci. L’esempio è quello dei vasetti di yogurt, per i quali è stata studiata un’interfalda in materiale plastico che sostituisce i pallet. «Ma sono pochissimi i retailer che l’utilizzano», lamenta Candiani. «Eppure minori rotture significa minore spreco, e questa soluzione permette una maggiore saturazione dei mezzi, una movimentazione più facile e la riduzione del rischio di scambio dei legni e dei prodotti rotti».
La seconda area di collaborazione è l’ottimizzazione della vita utile del prodotto attraverso il monitoraggio della movimentazione dei prodotti, con tracciabilità dei lotti e delle singole unità logistiche. «La shelf life del prodotto - chiarisce Candiani - non è nella disponibilità del provider logistico: la vita utile definita dal produttore non coincide con quella definita dal distributore. E per ridurre gli sprechi deve essere velocizzato il processo decisionale della gestione del prodotto che esce dalla shelf life commerciale».
Dalle eccedenze alle donazioni
Secondo il modello elaborato dal gruppo di lavoro Ecr Italia e dallo studio di Melacini, nella fase compresa tra il limite alla vendita a mercati secondari e quello al consumo umano si situa la donazione a enti non profit.
Secondo Carlo Delmenico, direttore Responabilità sociale d’impresa Sma (Simply) la devoluzione è una delle soluzioni alla lotta allo spreco per un’azienda distributiva, con la consapevolezza, però, che nel fare commercio è insito il fatto che bisogna fare i conti con una parte di prodotto invenduto. E quindi il retailer mette in atto sistemi di informazione che consentono oggi di conoscere, per punto vendita, per settore merceologico, per giorno, per item i dati relativi alla dimensione del fenomeno. La conoscenza delle serie storiche consente per esempio di definire dei livelli di stock ottimali a fine giornata per i prodotti freschi, il riordino assistito nella gestone del punto vendita permette di intervenire con le opportune rettifiche, la gestione a deposito dei lotti per data di scadenza facilita le attività promozionali e riduce le aree di rischio. Inoltre la progressiva conoscenza dei valori e volumi di spreco sono oggi oggetto di attenta analisi e di formulazione di precisi obiettivi per singolo negozio/reparto che sono seguiti gestionalmente
«Ma la devoluzione – sottolinea Delmenico – è l’ultima fase. E anch’essa richiede una standardizzazione nei tempi e nelle modalità, una selezione dei partner e delle singole organizzazioni territoriali. La sostanza è che il tema dello spreco alimentare va visto in tutte le sue fasi e l’interazione tra i protagonisti di fasi collegate è fondamentale. È però necessario trovare un equilibrio economico per tutti gli attori del processo. «Oggi in Italia – aggiunge Delmenico - la devoluzione è un atto di volontà etica alla quale si dà una lettura sociale e ambientale. In altri paesi come Francia e Spagna vi sono incentivi alla donazione. Nel nostro Paese, il paradosso è che anche se si dona cibo, evitando di generare rifiuti, la tassazione è quantificata non sui volumi di rifiuti generati, ma sulla superficie del punto vendita. E questo è un potente fattore di disequilibrio economico. Oggi sarebbe più conveniente gettare le eccedenze che donarle!».
Nonostante sia l’ultima fase del processo di gestione delle eccedenze, il recupero del cibo per gli enti caritatevoli, dovrebbe essere inserito nei processi aziendali, come le altre fasi. È quanto sostiene Giuliana Malaguti, responsabile approvvigionamento di Banco Alimentare, secondo la quale solo con la sottoscrizione di accordi vincolanti per entrambe le parti (donatori ed enti riceventi) per stabilire una relazione strutturata e la condivisione delle procedure operative può consentire di superare i maggiori fattori di criticità nella filiera del recupero, costituiti per i retailer dalla donazone “all’ultimo minuto” e dalla scarsa attenzione alla qualità dei prodotti e per l’ente ricevente dalla mancanza di struttura organizzativa adeguata, comprese le celle di stoccaggio, dalla mancanza di autorevolezza, dalla carenza o inadeguatezza nell’applicazione delle procedure igienico-sanitarie.
Alla stessa conclusione giunge anche Melacini, che riporta i risultato di una survey condotta tra i distributori e produttori riguardo agli ostacoli alla donazione e agli sviluppi futuri. «Ai primi tre posti - sintetizza il docente - si trovano la poca chiarezza delle normative, la mancanza di informazioni adeguate e il rischio di immagine, che può essere superato con una maggiore visibilità e collaborazione proprio con le organizzazioni non profit. Quanto agli sviluppi futuri, il tema della gestione delle eccedenze è trasversale a più funzioni aziendali. La collaborazione interfunzionale nelle aziende e tra aziende della filiera può rappresentare il più valido supporto alla riduzione dello spreco».
A cura di Fabrizio Gomarasca