sostenibilità

Per una grammatica della sostenibilità nel food system

Gestione e prevenzione delle eccedenze alimentari, ruolo del packaging, inclusione degli operatori più deboli e prossimità informativa e relazionale. Tre direzioni di intervento individuate dall’Osservatorio Food Sustainability del Politecnico di Milano verso la trasformazione sostenibile del sistema agroalimentare

Nel mondo ogni anno vengono sprecate 1,3 miliardi di tonnellate di cibo (un terzo di quello prodotto), per un valore di mille miliardi di euro. E in Italia nel 2019 lo spreco assommava a 5,1 milioni di tonnellate. A fronte di ciò a livello globale, stima la Fao, vi sono 746 milioni di persone senza accesso al cibo, che diventano 1,2 miliardi considerate “food insecure”, mentre in Italia 4,5 milioni di persone nel 2019 erano in condizione di insicurezza alimentare moderata o grave. E la pandemia ha avuto effetti gravi sull’accesso al cibo, soprattutto nei contesti urbani.

Affrontare questo paradosso è una questione decisiva per la sostenibilità nel suo complesso: infatti nell’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite, 22 target (sui 169 previsti dai 17 obiettivi) riguardano proprio il settore agroalimentare.

È questo contesto a fare da sfondo alla quarta edizione dell’Osservatorio Food Sustainability della School of management del Politecnico di Milano, che assegna, nella risposta alle sfide emergenti, un ruolo importante alle startup agrifood, attraverso nuove soluzioni e nuovi modelli di business, che accelerano il fermento innovativo del settore. Negli ultimi cinque anni sono state censite 7.120 startup agrifood, di cui 1.808 perseguono uno o più degli obiettivi di sviluppo sostenibile inclusi nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Gli SDG prioritari per le startup sono la transizione a sistemi di produzione e consumo più responsabili (SDG 12), dove si concentra il 35% delle soluzioni proposte dalle nuove imprese, la lotta alla fame (SDG 2) con il 21% e la crescita economica sostenibile e inclusiva (SDG 8) con il 17%.

Figura 1 - Gli obiettivi di sostenibilità più perseguiti dalle startup agrifood

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio Food Sustainability” 2021

Nella classifica dei paesi censiti, l’Italia si colloca solo in dodicesima posizione per concentrazione di startup agrifood sostenibili (prima è la Norvegia) con 22 startup sulle 76 nuove imprese agrifood censite (29%), ma presenta un mercato in evidente crescita rispetto allo scorso anno: 15 startup sostenibili in più (erano 7 nel 2019, il 13% del totale) e 23 milioni di dollari di investimenti raccolti contro i 300 mila dollari di un anno fa, pari a un finanziamento medio di un milione di dollari.

«Grazie all’innovazione – afferma Alessandro Perego, direttore scientifico Osservatori Digital Innovation – l’intero comparto può aumentare la propria competitività, trasparenza e sostenibilità attraverso l’accresciuta interconnessione e cooperazione delle risorse che vi operano: gli asset fisici, le persone, le informazioni. L’innovazione è insomma un alleato chiave per rispondere alle sfide della sostenibilità nell’agroalimentare».

Contrastare il paradosso alimentare

Il fattore chiave per il raggiungimento degli obiettivi sono la collaborazione e il coinvolgimento degli attori del sistema agroalimentare, lungo tre direzioni.

Nel contrastare il paradosso di insicurezza alimentare e spreco di cibo sono importanti i modelli innovativi di recupero e ridistribuzione delle eccedenze alimentari a fini sociali, in particolare in ambito urbano, visto che le città sono il teatro principale di questo paradosso. L’esperienza innovativa degli Hub di quartiere contro lo spreco alimentare a Milano mostra infatti come la collaborazione tra attori diversi, in grado di mettere a sistema conoscenze, attività e risorse (Politecnico di Milano, Comune di Milano e Assolombarda, Programma QuBì di Fondazione Cariplo, imprese, istituzioni pubbliche e terzo settore), è un fattore chiave per la ridistribuzione delle eccedenze alimentari.

Partito nel 2019 con l’Hub del quartiere Isola, cui si è aggiunto presto quello di Lambrate, nel 2020, nonostante le interruzioni delle attività a causa della pandemia, il progetto di Milano ha permesso di raccogliere 76 tonnellate di alimenti, per un valore economico di oltre 310 mila euro, redistribuite a 3.300 nuclei familiari. Nei primi 4 mesi del 2021 sono state già raccolte oltre 60 tonnellate di eccedenze, per un valore economico di oltre 250.000 euro, redistribuite a 27 organizzazioni non-profit.

Figura 2 – Quantità di cibo recuperato attraverso gli Hub Isola e Lambrate a Milano
gennaio-dicembre 2020, in kg

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio Food Sustainability” 2021

«Gli indicatori di performance individuati, vale a dire l’incidenza delle donazioni sulla produzione (stabile nel periodo) e l’incidenza delle donazioni sulle eccedenze (in aumento per la crescita delle donazioni), dimostrano il valore del fare sistema e indicano una via replicabile per combattere efficacemente lo spreco alimentare, anche se la misurazione delle eccedenze non è ancora sistematica nelle diverse fasi del ciclo del prodotto e resta un ambito su cui lavorare e investire per introdurre processi più strutturati ed efficaci», commenta Marco Melacini, responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability.

Gestire le eccedenze nella filiera

La seconda linea di azione individuata dall’Osservatorio riguarda la prevenzione e la valorizzazione delle eccedenze generate lungo la filiera, facendo leva su pratiche organizzative e soluzioni tecnologiche e di packaging per la circolarità a livello di singola azienda e di supply chain.

Le imprese stanno adottando iniziative per recuperare e valorizzare le eccedenze generate con una logica di economia circolare, definendo priorità strategiche e criteri gestionali, ma le difficoltà operative di gestione, la scarsa conoscenza delle soluzioni disponibili, le incertezze normative e una limitata comunicazione di filiera rappresentano ancora le barriere principali all’adozione di pratiche di economia circolare.

Secondo un sondaggio condotto dall’Osservatorio su 109 centri di trasformazione (stabilimenti produttivi e depositi di distribuzione) di imprese con fatturato superiore a 50 milioni di euro, l’attenzione del comparto della trasformazione alimentare si concentra sulla prevenzione attraverso la programmazione flessibile della capacità produttiva (87% del campione), il miglioramento della previsione della domanda (83%) e l’adozione di soluzioni di packaging innovativo (62%) e di tecnologie per migliorare la conservabilità dei prodotti (56%),  pratiche particolarmente diffuse nel segmento del fresco e a cui puntano anche la distribuzione e la ristorazione collettiva.

Figura 3 – Le pratiche di prevenzione – Trasformazione (percentuale di rispondenti)

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio Food Sustainability” 2021

La priorità di gestione delle eccedenze generate, invece, ricade sulla ridistribuzione per consumo umano, preferibilmente attraverso la donazione a organizzazioni non-profit (70%). Il riutilizzo per consumo animale è praticato dove possibile, mentre il riciclo in altri prodotti e il recupero energetico sono ancora poco esplorati per le difficoltà e i costi di implementazione.

Tutto ciò, però non basta. Per Salvatore Castiglione, corporate affaires director Danone, occorre rompere il paradigma della data di scadenza: «Dobbiamo lavorare in maniera collettiva per evitare che parte del cibo diventi rifiuto perché scade e passare dal paradigma “da consumarsi entro” a quello “da consumarsi preferibilmente entro”, offrendo tutte le necessarie garanzie sulla sicurezza del prodotto e sul rispetto della catena del freddo».

Il packaging e le tecnologie

L’adozione di nuove soluzioni tecnologiche e di packaging in grado di migliore la conservabilità dei prodotti, anche estendendone la shelf life, è un ambito di particolare attenzione e verso cui crescono, come visto, gli investimenti. Il food packaging può abilitare la prevenzione delle eccedenze alimentari o migliorarne la gestione. Nello specifico, secondo tre declinazioni: il design (facilità d’uso, risigillabilità, porzionamento), la logistica per favorire impilabilità, standardizzazione, efficienza di manipolazione, le tecnologie integrate al packaging, che possono essere tacite (come gli assorbitori per preservare la freschezza del cibo) o parlanti, quando creano connessioni informative con i consumatori o lungo la supply chain per la tracciabilità.

È il caso delle etichette che all’avanzare della data di scadenza mostrano livelli crescenti dello sconto sul prezzo di vendita grazie alla digitalizzazione delle informazioni e all’uso di materiali intelligenti o alle etichette smart con barcode dinamico (fresh code di Pps) che grazie all’uso di inchiostro cromogenico tengono facilmente monitorata la temperatura degli imballaggi di primo, secondo o terzo livello lungo la supply chain.

Le tecnologie sono pertanto in grado di amplificare e trasmettere in maniera diretta al consumatore finale informazioni in merito alle date critiche, alla composizione, all’origine dei materiali e alle modalità di conferimento dell’imballaggio stesso, ma anche riguardo l’origine dei prodotti, i rapporti di filiera e le modalità di produzione, estendendo l’esperienza del consumatore ben oltre la fase di acquisto e consumo.

«Ma l’impatto è positivo sull’intera supply chain, poiché abilita trasparenza e prossimità informativa, facilita la gestione del cibo e previene gli sprechi», afferma Barbara Del Curto, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability.

Verso filiere corte sostenibili

La prossimità relazionale, lo scambio e la condivisione di informazioni di valore dal produttore al consumatore finale, attraverso accordi di filiera, sistemi di tracciabilità e reporting e soluzioni di packaging “parlante” sono al centro della terza direzione di intervento: comunicare e promuovere comportamenti sostenibili e favorire l’inclusione degli attori più deboli “from farm to fork”.

A livello globale, il 90% delle aziende di produzione agricola rientra tra le “family farms”, ovvero piccole realtà a conduzione familiare, mentre in Europa il dato sale al 95%. Lo stadio della produzione agricola è un anello fondamentale della filiera, ma è anche il più fragile per le dimensioni ridotte e lo scarso potere contrattuale di queste realtà che determinano una diseguaglianza nella distribuzione dei rischi e dei benefici e alimentano le diseguaglianze nella distribuzione dei redditi lungo la filiera e la povertà rurale.
Oggi lo sviluppo delle aree rurali e il supporto ai produttori di piccola scala, anche alla luce delle complessità emerse nello scenario pandemico, rappresentano sfide davanti alle quali la “filiera corta sostenibile”,  facendo leva in particolare sulla dimensione della prossimità relazionale, può portare risposte più concrete rispetto alla semplice filiera locale.

La formazione dei produttori, la condivisione dei rischi e dei benefici, la determinazione congiunta del prezzo equo sono iniziative aggiuntive che, secondo i ricercatori dell’Osservatorio, rafforzano la vicinanza tra gli attori della trasformazione e i produttori.

Orogel, per esempio sviluppa la prossimità relazionale con i produttori attraverso l’impiego di tutte queste iniziative aggiuntive: un contratto di partnership esclusiva con i 1500 agricoltori presenti nel raggio di due ore dagli stabilimenti di produzione, investimenti congiunti in risorse, mezzi tecnici e know-how, condivisione dei rischi, programmazione congiunta delle coltivazioni, formazione dei produttori su temi utili alla produzione. Dal canto suo Coop Italia sensibilizza costantemente i fornitori sui temi della durata di vita dei prodotti, ma è sui partner dei prodotti a marchio del distributore che riesce a incidere in maniere puntuale con azioni caso per caso.

«Specialmente nei confronti delle PMI è il momento di promuovere una grammatica della sostenibilità. Dobbiamo riuscire a promuovere la consapevolezza che la sostenibilità non è un peso per le imprese ma una opportunità di mercato. Molto può fare l’innovazione tecnologica, grazie anche all’impegno previsto da PNRR per le infrastrutture per la trasformazione digitale, soprattutto se collegato all’educazione al consumo responsabile dei cittadini e delle imprese per un giusto approccio», afferma Angelo Riccaboni, professore di Economia, Università degli studi di Siena

«Il traguardo di una transizione sostenibile e inclusiva “from farm to fork” si potrà raggiungere solo lavorando sulla circolarità delle risorse, sull’integrazione delle diverse innovazioni disponibili, sullo sviluppo e aggiornamento delle competenze degli operatori del settore e sulla costruzione di relazioni più solide e dirette fra i diversi attori della filiera agroalimentare», puntualizza Raffaella Cagliano, responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability.

E Alessandro Perego conclude: «Un approccio integrato ai diversi obiettivi di sostenibilità richiede la partecipazione di tutti gli attori del sistema agroalimentare e lo sviluppo congiunto di innovazioni di carattere sociale, tecnologico, organizzativo e istituzionale, con una visione di lungo periodo».

a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab